Recovery Fund

Il 9 maggio l’Europa festeggia, con l’anniversario della Dichiarazione Schuman, il suo compleanno. Quello del 2020 è evidentemente del tutto particolare: sia pur partita in tempi diversi, in poche settimane la crisi del COVID-19 ha ‘sequestrato’ i cittadini europei nelle loro case, e bloccato l’attività produttiva in tutto il Continente. La crisi economica conseguente farà registrare la peggiore caduta del PIL in Europa dalla seconda guerra mondiale, e farà risalire in maniera significativa sia i debiti pubblici che la disoccupazione.

Lo shock dell’epidemia ha anche fatto esplodere tutte le tensioni che la crisi finanziaria del 2008-2012 ha accumulato nei rapporti tra Stati membri: la risposta europea è sembrata all’inizio assente in termini di solidarietà, poi confusa, con la conferenza stampa della Lagarde, poi divisiva, con le polemiche sulla condizionalità del MES, ma pian piano il consenso si è creato tra gli Stati membri per una risposta comune che potrebbe, per certi versi, essere il primo concreto passo verso la creazione di un meccanismo, sia pur temporaneo, di trasferimenti fiscali tra Stati membri, ossia la chiave di volta che ‘chiude’ il disegno dell’Unione Economica e Monetaria apertosi venti anni fa con la nascita della moneta unica.

L’elemento strutturalmente differenziante della crisi COVID, infatti, è rappresentato dal fatto che la differenza nel rapporto debito/PIL tra Francia e Germania raggiungerà il valore più alto da quando è nata la moneta unica: la Germania, insieme ad altri stati ‘nordici’ si assesterà a fine anno intorno al 70%, mentre la Francia (insieme alla Spagna) supererà il 115%. L’Italia (con Grecia e Portogallo) sarà in zona 150%. Sulla base di questi numeri, causa gli elevati livelli di debito oltre la metà delle economie dell’area euro saranno dall’anno prossimo a rischio di stagnazione, o a rischio di default.

Senza risposte a questa faglia che si apre dentro l’eurozona, si ha un chiaro ‘rischio di collasso’, di cui molto esplicitamente parla Macron in una sua recente intervista al Financial Times.

Di questo scenario vi è al momento solo una limitata traccia negli spread, grazie agli acquisti della BCE. Ma la sola BCE non è in grado di sostenere per sempre questi livelli asimmetrici di debito con l’unico strumento della politica monetaria. Per farlo, dovrebbe continuare a comprare in proporzione sempre più debito dell’Europa del Sud, violando strutturalmente le ‘capital keys’, ossia l’impegno che la banca ha, a norma di Trattato, a mantenere una proporzione costante degli acquisti tra Stati membri. Prima o poi il consenso per questo tipo di operazione sarebbe messo in discussione da pressioni politiche, come testimoniato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul QE di Draghi.

Certo, gli strumenti proposti nel recente accordo di fine aprile al Consiglio europeo (SURE, BEI, MES) sono un punto di partenza importante, ma non possono essere risolutivi: i 36 miliardi di euro che l’Europa potrebbe prestare all’Italia via MES, o i 20 che potrebbero arrivare con il meccanismo di disoccupazione europeo SURE, sono risorse aggiuntive ma non risolvono significativamente il problema dell’aumento del debito pubblico. Da qui l’idea del ‘Recovery Fund’ europeo che, per modalità di erogazione e per ‘volume di fuoco’, possa incanalare parte delle spese pubbliche legate alla crisi COVID attraverso il bilancio dell’UE, riducendo in tal modo l’impatto della crisi sui rapporti debito pubblico/PIL.

Tale fondo sarebbe alimentato dalle risorse del bilancio comunitario, con una percentuale incrementata per un periodo limitato di tempo. A fronte della garanzia di questi introiti futuri, il Fondo sarebbe autorizzato ad emettere titoli di debito europei sui mercati finanziari, anticipando immediatamente agli Stati membri le risorse che gli stessi si impegnano a versare al bilancio in futuro. Sulla base dei volumi in gioco, il Fondo potrebbe facilmente emettere titoli per 500 miliardi di euro ed oltre.

Garanzie aggiuntive degli Stati membri, o delle istituzioni comunitarie, consentirebbero al Fondo di ottenere il massimo rating (AAA) per cui le emissioni sarebbero sostanzialmente a tasso zero, anche su maturità molto lunghe. Inoltre, le obbligazioni emesse dal Fondo sarebbero ammissibili ai riacquisti della BCE come obbligazioni sovranazionali (stesso status di obbligazioni BEI o MES), e dunque andrebbero a creare un primo, sostanziale nucleo di debito ‘europeo’.

Dettaglio fondamentale, le risorse trasferite dal Fondo agli Stati non sono solo prestiti (come nel caso di SURE o del MES), ma anche trasferimenti, attraverso il bilancio dell’UE. I trasferimenti saranno poi coperti nel tempo attraverso i maggiori (temporanei) contributi di bilancio degli Stati membri, o eventualmente da nuove risorse proprie di cui l’UE si dovesse dotare (ad esempio la lotta all’elusione fiscale delle imprese multinazionali). Dunque, per la prima volta, si andrebbe oltre il ‘mistico’ tetto dell’1.2% del PIL europeo come limite alla dimensione del bilancio comunitario, autorizzando contemporaneamente il bilancio stesso ad erogare trasferimenti temporanei tra Stati membri in funzione anticiclica, con maggiore impatto lì dove la crisi è più grave. Niente di diverso, almeno in linea di principio, da quello che il bilancio federale attua all’interno di un paese come gli Stati Uniti (su dimensioni evidentemente ben più ampie).

Ovviamente tale utilizzo del bilancio europeo non avverrebbe senza un impegno preciso sui meccanismi di spesa. Come per quanto già avviene per le spese inserite all’interno del bilancio comunitario, i fondi sarebbero gestiti da un’autorità europea centralizzata (ad esempio una Agenzia Speciale della Commissione), e sarebbero erogati in funzione della messa in opera di specifici piani di risanamento nazionali, formulati secondo le linee guida concordate con le istituzioni europee, per garantire coerenza ed efficienza degli interventi nel mercato unico tra tutti i Paesi.

Nel giorno del compleanno dell’Europa, lasciamo dunque da parte le insensate e sterili polemiche nazionali sul MES, e guardiamo dibattito in corso sul Recovery Fund. Potrebbe essere il miglior regalo di compleanno ricevuto dall’Europa da molti anni a questa parte.

Carlo Altomonte, professore di politica economica europea nell’Università Bocconi di Milano


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