Nasce la figura dell’avvocato specialista, anche in diritto dell’Unione europea

Finalmente si conclude il lungo e accidentato percorso verso il riconoscimento del titolo di avvocato specialista.

Sabato 12 dicembre è stato pubblicato (in GURI n. 308) il decreto del 1º ottobre 2020, n. 163 (Regolamento concernente modifiche al decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).

Un cammino faticoso in quanto, prima di essere approvate, le modifiche al d.m. n. 144 del 2015, che era stato parzialmente annullato dalle sentenze del T.A.R., poi confermate dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5575/2017, sono state sottoposte ai pareri del Consiglio nazionale forense (del 10 ottobre 2018), del Consiglio di Stato (espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza del 5 dicembre 2019) e delle Commissioni parlamentari competenti in merito alle disposizioni relative all’elenco dei settori di specializzazione e alla disciplina del colloquio diretto ad accertare la comprovata esperienza necessaria per ottenere il titolo di specialista, anche in assenza del compimento dei previsti percorsi formativi specialistici.

Il decreto n. 163 del 2020, come atteso, modifica, con il suo art. 1, par. 1, lett. b), l’elenco dei settori di specializzazione (l’art. 3 del d.m. 144/2015 è sostituito integralmente) che da 18 si riducono a 13. Alcuni settori, così qualificati in origine, divengono indirizzi (unendosi ad altre materie) che afferiscono al diritto civile, penale o amministrativo.

Il decreto 163 del 2020 modifica, poi, le modalità per lo svolgimento del colloquio che deve essere sostenuto da parte di chi chiede il riconoscimento del titolo di avvocato specialista in ragione della sua comprovata esperienza nei settori e negli indirizzi di specializzazione (modifiche all’art. 6 del d.m. n. 144 del 2015). Il colloquio non consisterà in un vero e proprio esame, ma avrà solo ad oggetto l’esposizione e la discussione dei titoli presentati e si svolgerà davanti a una commissione di valutazione composta da tre avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e da due professori universitari (un avvocato della commissione di valutazione viene nominato dal Consiglio nazionale forense, mentre tutti gli altri componenti sono nominati con decreto del Ministro della giustizia). I loro nominativi saranno individuati tra gli iscritti a un elenco tenuto presso il Ministero della giustizia e la commissione di valutazione sarà chiamata a deliberare a maggioranza dei suoi componenti.

Va detto che con le modifiche appena introdotte sarà un pò meno arduo dimostrare di possedere una comprovata esperienza professionale. Oltre ad avere maturato un’anzianità di iscrizione all’albo degli avvocati ininterrotta e senza sospensioni di almeno otto anni, l’avvocato deve provare di avere esercitato negli ultimi cinque anni in modo assiduo, prevalente e continuativo la professione in uno dei settori di specializzazione, mediante la produzione di documentazione, giudiziale o stragiudiziale, dalla quale risulti, in particolare, che egli ha trattato nel quinquennio incarichi professionali fiduciari rilevanti per quantità e qualità, almeno pari a dieci (non più i quindici originariamente previsti) per anno. I dieci (non più quindici) incarichi annuali sono necessari anche per il mantenimento del titolo di specialista.

Inoltre, all’articolo 8 del d.m. n. 144 del 2015 è aggiunto un secondo comma che consente alla commissione di valutazione, in deroga al previsto numero minimo di incarichi per anno, di tenere conto, al fine del riconoscimento del titolo di avvocato specialista, della natura e della particolare rilevanza degli incarichi documentati e delle specifiche caratteristiche del settore e dell’indirizzo di specializzazione (insomma, per alcuni settori e indirizzi è molto più problematico avere un numero elevato di incarichi e di questo la commissione di valutazione dovrà tenerne conto). Analoga previsione opera anche ai fini non già del conseguimento, ma del mantenimento del titolo.

Infine, merita attenzione l’art. 2 (disposizioni transitorie e finali) del decreto n. 163 del 2020. Tale disposizione consente a chi abbia ottenuto l’attestato di frequenza di un corso (conforme ai criteri previsti dall’articolo 7, comma 12 del d.m. n. 144 del 2015) che si sia concluso nei cinque anni precedenti all’entrata in vigore (il 27 dicembre 2020) della novella legislativa (comma 1) e a chi l’attestato di frequenza lo otterrà all’esito di un analogo corso che deve però ancora concludersi (comma 2) di conseguire il titolo, previo superamento di una prova scritta e orale.

In quest’ultima categoria rientra anche il corso di perfezionamento e specializzazione in diritto dell’Unione europea organizzato dall’Università degli Studi di Milano e giunto, nell’a.a. 2020-2021, alla sua seconda edizione, che “corrisponde” anche al secondo anno (non ancora concluso) di un percorso biennale costruito nel rispetto dei criteri previsti dal d.m. n. 144 del 2015.

Non solo, l’art. 2 del decreto n. 163 del 2020 introduce un’ulteriore possibilità. A norma del suo terzo comma, il titolo di avvocato specialista potrà essere conseguito anche da chi ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca riconducibile a uno dei settori di specializzazione.

Sull’applicazione e l’interpretazione di questo decreto si avrà modo di tornare.

Per ora, ci si rallegra del fatto che il percorso intrapreso oramai 8 anni fa con la legge 31 dicembre 2012, n. 247 sia giunto a conclusione. Ci si rallegra, altresì, che la positiva conclusione di detto percorso riguardi anche il diritto dell’Unione europea.

Come è stato ricordato nel corso del Congresso annuale (XXXI°, 23 giugno 2017, aula magna della Corte di Cassazione) dell’Unione degli Avvocati europei (UAE), unica associazione ad essere stata accreditata “come maggiormente rappresentativa” della materia e, quindi, ad essere stata inserita nell’apposito elenco istituito ai sensi dell’art. 5, comma 3, lett. a) del Regolamento 11 aprile 2013, n. 1, a un avvocato che aspiri a definirsi specialista in diritto dell’Unione europea è, oggi, richiesto un bagaglio di conoscenze non comune. Non è sufficiente conoscere qualche atto normativo dell’Unione, qualche sentenza della Corte di giustizia per essere considerati “esperti” o “specialisti” di questa materia. In quest’ottica si deve leggere l’art. 1, comma 2, del decreto n. 163 del 2020 che aggiunge all’art. 7 del d.m. n. 144 del 2015 il comma 12-bis a norma del quale il corso, di durata complessiva almeno biennale, deve includere una parte generale e una parte speciale in uno degli indirizzi afferenti al settore. Dal momento che il settore disciplinare IUS/14 non li prevede, i termini “generale” e “speciale” vanno riferiti alla materia nella sua unitarietà.

Come affermato da Bruno Nascimbene in questa Rivista (vedi qui) “lo specialista in diritto UE merita la più grande attenzione da parte di chi crede, responsabilmente, che mondo accademico e professionale debbano collaborare nella formazione e che, a maggior ragione per un diritto speciale quale è il diritto UE, sia richiesta una preparazione e formazione specialistica”.

 


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