L’Unione europea fornirà armamenti letali all’Ucraina. Considerazioni critiche sulla decisione del 28 febbraio 2022

Il 28 febbraio scorso il Consiglio UE ha adottato alcune importanti decisioni, rese necessarie a seguito dell’invasione, da parte delle forze armate della Federazione russa, del territorio dell’Ucraina. Queste righe intendono fornire alcune considerazioni e osservazioni critiche derivanti dalla lettura delle decisioni in parola.

Come è noto, il 24 febbraio la Federazione russa ha sferrato un attacco contro il territorio della Repubblica di Ucraina. Si è trattato di un intervento su larga scala che ha aperto un conflitto armato ai confini orientali dell’Unione europea, colpendo un paese con cui l’Unione ha sviluppato relazioni di amicizia e cooperazione, culminate nell’Accordo di associazione, che include la creazione di una “zona di libero scambio globale e approfondita” (deep and comprehensive free trade area), concluso nel 2014 ed entrato in vigore nel 2017.

In una situazione grave e complessa come quella venutasi a creare a seguito dell’aggressione, l’Unione ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti della Federazione russa e di persone ed enti legati al governo e all’economia del paese aggressore. Di fronte al concreto rischio di un pericoloso e potenzialmente devastante allargamento del conflitto in corso in caso di intervento militare degli Stati membri dell’Unione (e della NATO) a fianco dell’Ucraina, l’Unione, di concerto con i partner dell’Alleanza atlantica, ha optato per interventi non implicanti l’uso della forza armata, miranti piuttosto a destabilizzare e indebolire le capacità economiche e finanziarie della Federazione russa e a determinare il suo isolamento nel panorama internazionale.

Le misure di cui si discute qui, invece, si situano al confine tra una neutralità benevola a favore dell’Ucraina e un vero e proprio intervento nel conflitto in corso. Si tratta in particolare alla decisione (PESC) 2022/338 del Consiglio del 28 febbraio 2022, relativa a una misura di assistenza nell’ambito dello strumento europeo per la pace per la fornitura alle forze armate ucraine di materiale e piattaforme militari concepiti per l’uso letale della forza, la quale, insieme alla decisione (PESC) 2022/339, di pari data, relativa a una misura di assistenza (fornitura di approvvigionamenti non letali, quali carburante, dispositivi di protezione individuale, materiale medico) per sostenere le forze armate ucraine, dà vita a un quadro di assistenza militare alle forze ucraine senza precedenti nella storia della politica estera dell’UE, attraverso la fornitura di armamenti letali a un paese terzo, per giunta durante un conflitto in corso. È infatti la prima volta che l’Unione europea utilizza propri strumenti finanziari per la fornitura di armi a un paese terzo belligerante, tanto che la decisione è stata definita dalla Presidente della Commissione come un “watershed moment”.

Le due decisioni utilizzano lo strumento dell’European Peace Facility (EPF), uno strumento finanziario introdotto nel 2021 con decisione (PESC) 2021/509 (decisione EPF). Si tratta di uno strumento per il finanziamento dell’azione esterna, off-budget, ovvero finanziato dagli Stati membri sulla base di una distribuzione degli importi calcolata sul prodotto nazionale lordo e sul reddito nazionale lordo. Lo strumento in parola può essere utilizzato per il finanziamento di varie tipologie di missioni militari dell’UE, tra cui quelle volte al ristabilimento della pace in aree di conflitto (art. 43, par. 1, TUE), ma anche per azioni volte a rafforzare le capacità degli Stati terzi e delle organizzazioni regionali e internazionali nel settore militare e della difesa e per altre operazioni di carattere militare (si veda l’art. 1 della decisione EPF).

La decisione istitutiva dell’EPF crea anche una struttura decisionale e amministrativa e una catena di comando per le operazioni. È infatti prevista la creazione di un comitato composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri e presieduto dal presidente di turno del Consiglio, cui spetta la gestione dello strumento finanziario, nonché la nomina di un amministratore e di un contabile rispettivamente per le operazioni e per le misure di assistenza. Entrambe le figure hanno ruoli relativi alla corretta gestione finanziaria e del bilancio dello strumento.

Il controllo e la gestione operativa delle missioni e delle misure di assistenza spettano principalmente all’Alto rappresentante e al comitato, nonché al comandante designato per ciascuna operazione. La decisione EPF contiene inoltre misure procedurali, organizzative e di controllo sia operativo che finanziario, da applicarsi alle operazioni e alle misure di assistenza, oltre a richiamare i principi fondanti della politica estera e di difesa dell’Unione (perseguimento della pace, rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario, rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale). L’aderenza a tali principi e norme giuridiche è richiesta evidentemente, oltre che alle forze mobilitate dall’UE nel caso delle missioni, anche al soggetto (Stato terzo o organizzazione internazionale o regionale) beneficiario delle misure di assistenza finanziate attraverso l’EPF, e l’impegno relativo deve essere da questo assunto attraverso la conclusione di accordi tra il beneficiario e l’Alto rappresentante, che definiscono termini, condizioni, requisiti e controlli per l’attuazione delle misure deliberate ai sensi della decisione EPF (art. 62 della decisione EPF). Nonostante la sua breve vita, l’EPF è già stato utilizzato varie volte nel 2021 per l’adozione di misure di assistenza nei confronti della stessa Ucraina, della Georgia, della Moldova, del Mali, dell’Unione Africana, ma sempre per la fornitura di equipaggiamento militare non letale (equipaggiamento medico militare, mezzi di trasporto, equipaggiamento necessario per il genio civile, strumenti di sminamento, ecc.) e di sostegno all’addestramento delle forze armate del paese terzo.

La novità nella decisione 2022/338 è rappresentata dalla fornitura di materiali e piattaforme militari concepiti per l’uso letale della forza, fornitura ritenuta necessaria al fine di “contribuire a rafforzare le capacità e la resilienza delle forze armate ucraine per difendere l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina e proteggere la popolazione civile dall’aggressione militare in corso” (art. 1, par. 2 della decisione). Data la necessità di adottare le misure in condizioni di estrema urgenza, la decisione scavalca la procedura prevista dalla decisione EPF, che per la fornitura di armamenti letali esclude l’adozione di misure urgenti (art. 58), ma richiede una fase preparatoria curata dall’Alto rappresentante, cui tocca l’onere di preparare un documento concettuale “che delinei una possibile misura di assistenza, comprendente la portata e durata della misura, il tipo di azioni e i potenziali soggetti responsabili dell’attuazione, e sia corredato di un’analisi preliminare della sensibilità ai conflitti, del contesto e dei rischi, unitamente a considerazioni iniziali per una valutazione d’impatto, nonché di salvaguardie e misure di attenuazione” (art. 57, par. 1). Per le misure che includono la fornitura di armamenti letali, si richiede altresì una stima dei costi (art. 57, par. 3). La decisione 2022/338, in realtà, prevede i costi (450 milioni di euro) e la durata (24 mesi), ma tace sia sul dettaglio delle forniture, limitandosi a precisare che tipo e quantità di queste saranno definite dal comitato, sulla base delle priorità raccomandate dallo Stato maggiore dell’Unione europea (art. 4, par. 2), sia sulle altre analisi e valutazioni, peraltro estremamente difficili in un contesto di guerra. Da quanto è dato sapere, le misure sono state decise nel Consiglio (informale) Affari esteri del 27 febbraio, formalizzate il giorno successivo e discusse nel merito, sulla base delle richieste da parte del governo ucraino e delle disponibilità degli Stati membri, in un Consiglio (anch’esso informale) dei ministri della Difesa il 28 febbraio. Il massimo riserbo è stato mantenuto sia sulla tipologia e quantità di armi, sia sulle modalità pratiche della consegna.

La responsabilità per l’attuazione delle misure è conferita all’Alto Rappresentante (art. 4, par. 1), mentre l’amministratore delle misure (si tratta del Service for Foreign Policy Instruments, un servizio della Commissione, sotto l’autorità dell’Alto Rappresentante, che ha il compito di amministrare tutti i fondi UE per il finanziamento della politica estera dell’Unione, al cui interno è stato designato un amministratore per l’EPF) riferisce al comitato in merito all’esecuzione della fornitura dei materiali (art. 4, par. 3). La concreta attuazione delle misure, vale a dire la fornitura e la consegna dei materiali bellici, ai sensi del par. 4 dell’art. 4 della decisione, “può essere effettuata” dai ministeri della Difesa di tutti gli Stati membri, tranne Austria, Irlanda e Malta. Gli ultimi tre paesi hanno infatti deciso, sulla base del loro status di neutralità, di contribuire allo sforzo dell’Unione finanziando solo materiali militari non letali, pur non opponendosi all’adozione della decisione che, come è noto, richiede l’unanimità. Ai sensi dell’art. 27, par. 1, della decisione EPF, infatti, gli Stati membri che optano per l’astensione dall’adozione di misure relative alla fornitura di armamenti letali possono individuare forme alternative di assistenza verso cui dirottare il proprio contributo. L’art. 11, par. 8, lett. a) e b), della decisione EPF precisano inoltre, al riguardo, che le decisioni nel merito relativamente a un’operazione o una misura di assistenza sono assunte dal comitato con la partecipazione di tutti gli Stati membri contribuenti. Gli Stati non contribuenti assistono alle riunioni, ma senza prendere parte al voto.

L’art. 5 della decisione 2022/338 richiede inoltre il sostegno da parte di tutti gli Stati membri per quanto riguarda il transito dei materiali sul proprio territorio, incluso lo spazio aereo. Su questo punto tuttavia il governo ungherese ha sollevato obiezioni, dal momento che il primo ministro Orbán ha dichiarato l’indisponibilità dell’Ungheria al transito sul proprio territorio di armamenti letali destinati all’Ucraina. In questo modo, l’Ungheria andrebbe a violare gli obblighi assunti con la decisione 2022/338. La posizione dell’Ungheria riguardo alla decisione, peraltro, non è priva di ambiguità. Il governo di Budapest, infatti, non solo ha negato il transito sul proprio territorio in violazione dell’art. 5, ma ha anche dichiarato che fornirà all’Ucraina esclusivamente aiuti umanitari e assistenza ai profughi, ma non armi. Il punto è che l’Ungheria ha votato a favore della decisione e il ministero della Difesa ungherese figura nella lista degli Stati membri che daranno attuazione alle misure, a differenza di Austria, Irlanda e Malta.

Resta poi la questione degli accordi da concludersi con il governo beneficiario ai sensi del citato art. 62 della decisione EPF. La conclusione di tali accordi è prevista dall’art. 3 della decisione 2022/338, dove si precisa che essi conterranno l’impegno del paese beneficiario a garantire il rispetto del diritto internazionale, in particolare del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. In aggiunta a ciò, conformemente all’art. 62, par. 2, della decisione EPF, gli accordi dovranno contenere disposizioni in materia di “salvaguardie atte a garantire”, tra l’altro, l’uso corretto e la manutenzione dei mezzi e che questi non “siano abbandonati, o trasferiti senza il consenso del comitato a entità o persone diverse da quelle individuate negli accordi, alla fine del loro ciclo di vita o alla scadenza o alla cessazione della misura di assistenza”. In presenza di accertate violazioni può essere predisposta la sospensione o la cessazione dell’assistenza. Appare difficile fornire garanzie in questo senso in un contesto bellico, e altrettanto difficile verificare e garantire che nessuna violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani sia effettivamente commessa dalle forze del paese beneficiario, un paese, si ricorda, in stato di guerra a seguito di un attacco armato. Infine, risulta impossibile sospendere o cessare l’assistenza, almeno nel momento in cui tutti gli armamenti siano stati consegnati.

Per concludere, di fronte a questo momento di svolta nella politica estera e di difesa dell’Unione, e ai passi intrapresi davanti alla crisi forse più drammatica vissuta dalla comunità degli Stati europei dopo la seconda guerra mondiale (ma non dimentichiamo che l’Unione aveva già dovuto affrontare gravi crisi ai suoi confini, con le guerre nella ex Iugoslavia e la crisi del Kosovo, soprattutto), insieme all’apprezzamento per la determinazione e anche l’unità con cui l’Unione sta affrontando questa crisi, affiorano i dubbi giuridici che sono stati segnalati, oltre a una vaga inquietudine, alimentata anche dalle dichiarazioni dell’Alto Rappresentante Borrell in conferenza stampa il 27 febbraio, a conclusione del Consiglio informale Affari esteri. L’Alto Rappresentante invita tutti a chiedersi che cosa vogliamo che sia l’Europa, e risponde manifestando soddisfazione per le decisioni assunte, che vanno nella direzione di un rafforzamento della capacità militare dell’Unione e dei suoi Stati membri. Chi scrive ritiene invece che la forza e l’unità dell’Europa sarebbero meglio e più efficacemente realizzate ed espresse con il perseguimento della pace e del rispetto dei diritti umani, con l’autorevolezza e l’indipendenza della sua azione diplomatica e con una lungimirante visione del proprio ruolo in Europa e nel mondo. La Conferenza sul Futuro dell’Europa, che in questi mesi sta coinvolgendo in un ampio dibattito i cittadini europei, e soprattutto i più giovani, si sta ponendo questi stessi interrogativi, che toccano nel profondo le radici della costruzione europea e la sua visionaria prospettiva di un’unione di Stati protesa verso la salvaguardia della pace attraverso sforzi creativi, come recita la Dichiarazione Schuman.


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