L’UE continua la ricerca dell’“equità” nei processi penali: introdotte regole comuni per il processo penale minorile

Il 21 maggio 2016 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali, la quale entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione.

I lavori sul testo della direttiva erano stati intrapresi nel mese di novembre 2013 con la presentazione, da parte della Commissione europea, di un pacchetto di misure che includeva anche la proposta di direttiva COM (2013)822 def. Tuttavia, l’elezione e l’insediamento del nuovo Parlamento, nonché il rinnovo della stessa Commissione europea ne hanno rallentato le negoziazioni (cfr. L. Salazar, in Diritto e Giustizia minorile, 2015, fasc. 1, p. 34).

Riprese le discussioni sul testo, è stato dapprima raggiunto, il 16 dicembre 2015, un accordo politico tra i delegati di PE, Consiglio e Commissione, (cfr. Council document 15272/15 of 2016-12-16 e Council document 5096/16 of 2016-01-11); è seguita, il 9 marzo scorso, l’approvazione da parte del Parlamento europeo in prima lettura con una larghissima maggioranza (613 voti favorevoli, 30 voti contrari e 56 astensioni, v. comunicato stampa del PE) ed, infine, il 21 aprile, la direttiva è stata formalmente approvata dal Consiglio dell’Unione europea riunito in formazione “Giustizia e Affari Interni” (v. comunicato stampa del Consiglio).

La direttiva (UE) 2016/800 potrebbe sembrare, all’apparenza, di facile lettura; svela, tuttavia, alcune criticità che possono essere adeguatamente comprese soltanto esaminando il contesto entro cui la stessa si colloca e rivolgendo un’attenzione particolare al funzionamento della giustizia penale minorile nei diversi Stati membri dell’UE.

 

  1. Il contesto della proposta di direttiva. Il pacchetto di misure della Commissione europea del 27 novembre 2013: un ulteriore tassello della roadmap sui diritti processuali di imputati ed indagati

La direttiva esaminata in questa sede si colloca tra le misure di ravvicinamento delle legislazioni nazionali aventi ad oggetto i diritti della persona nella procedura penale, che possono essere adottate, da PE e Consiglio – a norma dell’art. 82 par. 2 lett. b)TFUE – «laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale».

Come noto, la risoluzione adottata dal Consiglio il 30 novembre 2009 (denominata tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali), ha messo in luce che il presupposto indispensabile per il consolidamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell’UE e per il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale è costituito dalla garanzia dell’«equità nei procedimenti penali» ed ha invitato le istituzioni ad approvare quattro iniziative volte ad attuare i principi regolatori del giusto processo (espressi dalla CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE) al fine di renderli un’«entità tangibile»: misura A) traduzione e interpretazione; misura B) informazioni relative ai diritti e all’accusa; misura C) consulenza legale e assistenza legale gratuita;  misura D) comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari; e misura E) garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili.

In linea di continuità con tale disegno, nel 2010, il Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini), ha rimarcato (punto 2.4.) l’importanza dei diritti della persona nella procedura penale quale «valore fondante dell’Unione, essenziale per garantire la reciproca fiducia degli Stati membri e la fiducia dei cittadini nei riguardi dell’Unione» ed ha invitato le istituzioni a procedere nell’attuazione di tale agenda politica, ma altresì a prendere in considerazione la necessità e l’opportunità di introdurre eventuali ulteriori garanzie processuali.

In tale contesto, con il dichiarato obiettivo di progredire nell’attuazione dell’agenda europea sui diritti procedurali elaborata a Stoccolma, il 27 novembre 2013, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure (COM (2013)820 def.) che includeva – oltre alla proposta della direttiva in esame (COM(2013)822 def.) – altre quattro iniziative (due proposte di direttiva e due raccomandazioni): i) la proposta di direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza ed al diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (COM (2013) 821 def.); ii) la proposta di direttiva sull’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo (COM (2013) 824 def.); iii) la raccomandazione della Commissione riguardante le garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate in procedimenti penali ed, infine, iv) la raccomandazione della Commissione relativa al diritto al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati in procedimenti penali.

Le prime quattro iniziative basate sulla tabella di marcia del 2009 si sono già tradotte nell’adozione di altrettante direttive del PE e del Consiglio: la direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali che ha attuato la misura A) della roadmap del 2009; la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, la quale, invece, ha concretizzato la misura B) della roadmap; nonché la direttiva 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari, conformemente alle misure C) e D) della stessa tabella di marcia. A queste si è affiancata, proprio il 9 marzo 2016, anche la direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza ed al diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, presentata – unitamente alla direttiva ivi oggetto in esame – con il pacchetto di misure del 27 novembre 2013.

L’adozione del testo della direttiva sulle garanzie processuali per minori imputati ed indagati attua, invece,  la misura E) della summenzionata roadmap essendo volta – come chiaramente espresso nel considerando n. 1 – ad introdurre garanzie supplementari in considerazione delle speciali esigenze di «indagati o imputati che non sono in grado di capire o di seguire il contenuto o il significato del procedimento per ragioni ad esempio di età o di condizioni mentali o fisiche», nell’ottica di assicurare la ricercata «equità nei procedimenti penali».

  1. Il Programma dell’Unione europea per i diritti dei minori ed il principio del “the best interest of the child” alla base del contemperamento tra finalità processuali ed esigenza di una tutela differenziata

Oltre a rappresentare un passo ulteriore nell’attuazione della ricordata tabella di marcia su diritti processuali di indagati ed imputati, la direttiva in parola concorre a perseguire l’obiettivo, più generale, caldeggiato dal punto 2.1. del programma dell’Unione europea per i diritti dei minori, di adeguare i sistemi giudiziari degli Stati membri alle esigenze dei minori, offrendo un livello di tutela differenziato in considerazione della loro speciale condizione di soggetti “vulnerabili”.

Ciò è imposto dall’art. 3, par. 3, TUE, che mette in primo piano la promozione e la tutela dei diritti dei minori, ma anche dagli impegni assunti, dalla pressoché totalità degli Stati membri dell’UE, sul piano internazionale. In tale ottica si ricorda, in particolare, la Dichiarazione sui diritti del fanciullo, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1959, che ha introdotto – come noto – il principio del “best interest of the child”, o “superiore interesse del minore”,la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (ratifica e resa esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003, n. 77), nonché la stessa Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848).

Nel contesto dell’ordinamento dell’Unione europea, il criterio di valutazione della necessità e proporzionalità dell’intervento normativo e giurisdizionale ispirato al superiore interesse del minore ha trovato consacrazione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (proclamata a Nizza nel 2000 ed elevata, per effetto delle modifiche apportate dal trattato di Lisbona, a fonte di rango primario dall’art. 6, par. 1, del TUE), il cui art. 24, sancisce che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

In sede di accertamento della responsabilità penale, in particolare, il criterio fondamentale per cui l’interesse del minore deve essere valutato come preminente trova concretizzazione nel contemperamento tra le finalità di accertamento dei fatti di reato e l’esigenza di assecondare le specificità dei suoi bisogni, tenendo conto – nell’ottica di recupero e di reinserimento sociale – del grado di maturità raggiunto e delle sue fragilità. Sin dalla metà del 1900, tale convincimento è stato fatto proprio da numerose dichiarazioni di carattere programmatico, tra cui vale la pena menzionare (senza pretesa di esaustività) le Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile delle Nazioni Unite, adottate a Pechino il 29 novembre 1985, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sui nuovi modi di trattare la delinquenza giovanile ed il ruolo della giustizia dei minori [REC (2003)20] e Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, promosse, tra l’altro, dall’Unione europea e adottate il 17 novembre 2010. Questi strumenti già da tempo sanciscono, pur senza alcun valore vincolante: il diritto del minore ad essere adeguatamente informato dei propri diritti (cfr., ad esempio, art. 10 delle Regole minime), nonché ad essere ascoltato e ad esprimere le proprie opinioni (cfr., tra l’altro, linee guida del 2010, parte prima, par. IV, lett. D, punto 3); il diritto all’assistenza ed alla rappresentanza legale (cfr, tra l’altro, linee guida del 2010, parte prima, par. IV, lett. D, punto 2); l’importanza dell’effettiva partecipazione dei genitori (o dei tutori) al procedimento nell’ottica di favorire assistenza e sostegno al minore, ma anche una presa di coscienza delle loro responsabilità nei confronti dei comportamenti criminosi dei minori (cfr. in particolare la raccomandazione del Consiglio d’Europa, par. III); l’importanza delle “inchieste sociali” (cfr. in particolare l’art. 16 delle Regole minime) «sui precedenti del minore, sulle sue condizioni di vita e le circostanze nelle quali è stato commesso il reato»; la necessità di una specializzazione dei servizi di polizia e di tutto il personale che si occupa della giustizia minorile (v. in particolare gli artt. 12 e 22 delle regole minime), con particolare importanza di una formazione interdisciplinare (v. ancora linee guida del 2010), il diritto alla protezione della vita privata (cfr. art. 8 delle Regole minime), impedendo la divulgazione di dati ed immagini; la promozione del ricorso a misure extra-giudiziarie (cfr. art. 11 delle regole minime).

3. Gli studi condotti dalla Commissione europea e dalla European Union Agency for Fundamental Rights

Malgrado tali petizioni di principio, i sistemi di giustizia penale minorile degli Stati membri non sempre presentano norme coerenti con tali dichiarazioni. Il considerando n. 3 del testo della direttiva definitivamente  approvato osserva infatti che, nonostante gli impegni assunti sul piano internazionale, la scarsa attenzione riservata da alcune legislazioni all’esigenze del minore non consente agli Stati membri di riporre, allo stato attuale, un sufficiente grado di fiducia nei rispettivi sistemi di giustizia penale, con ciò scoraggiando la piena operatività degli strumenti di reciproco riconoscimento.

Nel 2014 uno studio della Commissione europea (i cui esiti sono stati pubblicati nel documento di sintesi Summary of contextual overviews on children’s involvement in criminal judicial proceedings in the 28 Member States of the European Union) ha infatti evidenziato che il trattamento dei minori coinvolti in procedimenti giudiziari penali differisce, in maniera significativa, da Paese a Paese. A tale ricerca si è affiancata, tra le altre iniziative, un’intervista condotta dall’agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA) rivolta ai professionisti del sistema giudiziario minorile di dieci Stati campione (Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Polonia, Regno Unito, Romania e Spagna) che ha rivelato la preoccupazione degli operatori per la mancata adozione di protocolli che adeguino lo svolgimento del processo alla condizione di fragilità e vulnerabilità del minore.

Limitandoci alle differenze più significative, lo studio condotto dalla Commissione europea ha rilevato, in primo luogo, che nonostante tutti gli Stati membri prevedano una età minima al di sotto del quale il minore non può essere processato, alcune giurisdizioni contemplano una soglia di imputabilità particolarmente bassa: 10 anni nel Regno Unito, 12 anni per Irlanda e Paesi Bassi. Gli Stati membri attribuiscono, inoltre, una diversa funzione a tale soglia: ad esempio, in Irlanda, Belgio e Polonia il mancato raggiungimento della soglia minima di imputabilità impedisce di procedere nei confronti del minore per i soli crimini gravi, ma non anche per i reati di minore gravità.

In 9 Stati membri (Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro, Finlandia, Svezia e Slovacchia) non esiste una giurisdizione minorile specializzata (o, per lo meno, non esiste in tutte le regioni o amministrazioni locali); in tale contesto i minori sono processati dinanzi alle corti ordinarie, al pari degli adulti.

La maggior parte degli Stati membri, inoltre, non impone una formazione specialistica alle istituzioni chiave della giustizia penale (forze di polizia, giudici inquirenti e requirenti), né impone protocolli specifici per gli operatori che, nel corso dell’esperienza giudiziaria, entrano in contatto con il minore. La Commissione lamenta inoltre che, anche laddove esistano istituzioni specializzate (quali corpi di polizia addestrati), queste non sempre sono concretamente disponibili.

Diversi Stati membri incoraggiano un approccio multidisciplinare della giustizia minorile, riconoscendo l’importanza di condurre (attraverso il coinvolgimento di operatori di diverse discipline) un’indagine trasversale sulla personalità del minore, che tenga in debita considerazione, tra l’altro, i profili psicologici ed il contesto sociale in cui il minore vive ed è immerso, al fine di adattare le misure penali, riabilitative e di protezione ai suoi specifici bisogni. Tuttavia, in alcuni Stati membri (tra cui figurano Ungheria, Lituania, Romania) l’esigenza di un approccio multidisciplinare non è enfatizzata nella legislazione né nella prassi. Anche laddove previste, comunque, le sinergie tra gli operatori dei vari settori (legale, psicologico, sociologico) raramente risultano essere davvero istituzionalizzate; in almeno dieci giurisdizioni, la cooperazione tra gli operatori è, infatti, meramente informale. Inoltre, anche se all’interno dello Stato membro esistono protocolli volti a favorire la cooperazione, l’attuazione non è sempre uniforme; solo cinque giurisdizioni (Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Slovenia, Inghilterra e Scozia) hanno creato istituzioni volte a garantire che le attività pluridisciplinari siano praticate in tutti i casi in modo coerente.

Ad eccezione dell’Ungheria e della Scozia, le altre legislazioni deli Stati membri contengono disposizioni relative al diritto del minore di ricevere un’informazione specifica circa i suoi diritti e circa gli aspetti generali del procedimento penale. Tuttavia permangono macroscopiche differenze nelle tempistiche, nei contenuti ed in relazione alle modalità con cui il minore riceve tali informazioni. Per quanto concerne le tempistiche, nella maggior parte dei casi l’informativa è fornita al minore al momento del primo contatto con le autorità; e come tale, di regola, è fornita dalla polizia. Ciò, comunque, non accade in Germania, Italia, Bulgaria, Svezia e Spagna. In questi Paesi l’espletamento di tale procedura viene posticipato al momento della sottoposizione al primo interrogatorio da parte del pubblico ministero, al momento della formale incriminazione o, ancora, direttamente all’inizio del processo. Ancora a tale proposito, i professionisti intervistati dall’agenzia FRA hanno dichiarato di essere preoccupati dalla mancanza di regole chiare e precise sull’individuazione del personale incaricato, con la conseguenza che in molti casi il minore viene di fatto privato di tale garanzia e ciò concorre a rendere la partecipazione al procedimento un’esperienza traumatica. Quanto ai contenuti del diritto all’informazione, la comunicazione rivolta al minore all’avvio del procedimento penale risulta di varia estensione. In Danimarca, ad esempio, il minore è informato esclusivamente delle accuse a proprio carico e del diritto a rimanere in silenzio. Come in Danimarca, anche in Svezia, non grava alcun obbligo sulle autorità di informare il minore del diritto di accesso ad un difensore. Non tutti i Paesi membri, inoltre, riconoscono ai tutori del minore il diritto di ricevere le stesse informazioni. Gli operatori intervistati dalla FRA lamentano che carenze informative si registrano anche all’esito del procedimento e riguardano i rimedi giurisdizionali esperibili rispetto al provvedimento assunto dall’autorità giudiziaria. Nella maggior parte dei Paesi, infine, non esiste alcuna disposizione che imponga alle autorità competenti di informare il minore con modalità tali da assicurare la piena comprensione.

Lo studio condotto dalla Commissione europea si sofferma anche sull’assistenza legale, morale e psicologica del minore nel corso del procedimento. Per quanto concerne il primo profilo, il diritto alla difesa tecnica soffre ancora di alcune limitazioni in alcuni Stati in determinate fasi del procedimento penale.

Il diritto del minore ad essere assistito anche “moralmente” è assicurato in quasi tutte le legislazioni attraverso la presenza di una figura rassicurante per il minore, normalmente il genitore, il tutore ovvero un’altra persona di sua fiducia. Tuttavia, il diritto del minore a contattare un parente o un’altra persona di sua fiducia al momento dell’arresto da parte delle forze dell’ordine continua a non essere assicurato in almeno sei Paesi membri (Austria, Repubblica Ceca, Germania, Finlandia, Ungheria, Polonia). In alcuni Stati membri, inoltre, è limitata la possibilità di tali soggetti di partecipare ad alcune fasi del procedimento. Ad esempio, in Grecia ed in Svezia genitori e tutori non sono autorizzati ad assistere ai colloqui con le forze dell’ordine. In altri casi, la presenza è condizionata all’età del minore. In altri casi ancora (Francia ed Irlanda) l’autorizzazione è a discrezione delle forze di polizia.

Le disposizioni legislative di tutti gli Stati membri riconoscono la centralità dell’ascolto del minore nel corso del procedimento penale, contemplando espressamente – in maniera più o meno estesa- il diritto del minore ad essere sentito. Alcuni Paesi, tuttavia, conoscono stringenti limitazioni: ad esempio in Romania, il minore può essere sentito dal giudice in un’unica occasione nel corso del processo.

Anche le modalità con cui il minore viene ascoltato nel corso del processo possono, peraltro, rendere meno effettivo tale diritto e contribuire a rendere traumatica l’esperienza giudiziaria. Esclusivamente alcune giurisdizioni prevedono la possibilità che il colloquio si svolga in un’aula separata (Repubblica di Cipro, Irlanda e Svezia) o in un ambiente più familiare (Polonia) e soltanto alcuni Stati ricorrono a speciali tecniche audio-visive che consentono di limitare i contatti tra il minore ed altre parti o soggetti coinvolti, a vario titolo, nel giudizio (Cipro, Paesi Bassi e Lettonia). Con l’eccezione di Estonia, Grecia, Portogallo ed Irlanda del Nord, negli altri Stati membri l’interrogatorio è svolto, prevalentemente con i accorgimenti, quali, ad es., la direzione e gestione dell’interrogatorio da parte di personale specializzato, l’obbligatoria presenza del difensore o di psicologi. Infine, soltanto Francia, Italia, Paesi Bassi e Svezia (anche se questi ultimi due Stati esclusivamente per i minori di età inferiore a 12 e 15 anni), impongono l’utilizzo di strumenti di video registrazione dei colloqui tra l’autorità giudiziaria ed il minore, anche al fine di scongiurare che l’esperienza debba essere ripetuta nelle diverse fasi del giudizio, salvo il caso in cui non sia strettamente necessario.

In otto Stati membri (Regno Unito, Irlanda, Belgio, Spagna, Estonia, Malta, Portogallo e Svezia) le udienze che vedono coinvolte minori sono, di regola, aperte al pubblico, salvo che l’autorità giudiziaria decida diversamente. Fanno eccezione i casi che riguardano abusi sessuali (non però nel Regno Unito ed Irlanda). Germania, Danimarca, Lituania, Paesi Bassi e Croazia, invece, prevedono un’analisi caso per caso. Repubblica Ceca e Italia, al contrario, prevedono che i minori di età superiore, rispettivamente, ai 15 ed ai 16 possono chiedere che l’udienza sia pubblica.

Soltanto in dodici giurisdizioni, i media si sono dotati di una regolamentazione che protegga la privacy del minore coinvolto in un procedimento penale.

Per concludere, meno di dieci Stati membri prevedono che il casellario giudiziale del minore sia cancellato o reso non accessibile al raggiungimento della maggiore età, o prevedono che il minore possa accedere a specifici programmi di recupero e risocializzazione.

4. Un primo esame dei contenuti della direttiva

Il testo della direttiva approvato da PE e Consiglio – che ricalca, salva solo la diversa numerazione delle disposizioni, quello approvato dal trilogo il 16 dicembre 2015 – consta di un totale di 27 articoli e di ben 71 considerando.

A-     L’ambito di applicazione

Prima di esaminare nel dettaglio i contenuti della direttiva, occorre spendere alcune considerazioni in ordine all’aspetto più preoccupante del testo, ovvero il suo ambito di applicazione.

La direttiva si applica al minore indagato, imputato ovvero oggetto di un procedimento di esecuzione di un mandato d’arresto europeo (art. 1). L’art. 3, punto 1), adotta una nozione autonoma di “minore”, assicurando l’applicazione del novero delle attese garanzie ad ogni «persona di età inferiore ad anni diciotto», a prescindere, dunque, dalla nozione accolta dagli ordinamenti dei diversi Paesi dell’UE.

Per quanto riguarda la determinazione dell’età, il considerando n. 13 precisa che «gli Stati membri dovrebbero determinare l’età del minore sulla base delle sue dichiarazioni, dei controlli dello stato civile, di ricerche documentali e altre prove e, se non sussistono prove o non sono risolutive, sulla base di un esame medico». Quest’ultimo dovrebbe essere effettuato in ultima istanza e nel rigoroso rispetto dei diritti, dell’integrità fisica e della dignità umana del minore. In ogni caso, la direttiva è chiara nel prevedere che in tutte le ipotesi in cui non sia possibile determinare con sicurezza l’avvenuto compimento del diciottesimo anno di età, la minore età è presunta (ancora v. art. 3).

Quanto al momento in cui la “minore età” assume rilevanza ai fini dell’applicazione della direttiva, esso coincide non con la commissione del reato, bensì con l’avvio del procedimento penale. Le garanzie apprestate dalla direttiva trovano, infatti, applicazione a partire dal momento in cui il minore assume la veste di indagato o imputato in un procedimento penale, o diviene “ricercato”, in quanto soggetto al procedimento di esecuzione di un mandato d’arresto europeo (artt. 2 e 17).

E’ stato correttamente messo in luce dai primi commentatori della proposta (v. in particolare D. Sayers), che ciò comporta la conseguenza che chi sia accusato di un reato commesso quando era minore, ma abbia raggiunto la maggiore età prima di essere sottoposto a procedimento penale ovvero durante il processo, non possa accedere alle garanzie previste dalla direttiva. A questo proposito risulta un mero “palliativo”, la previsione dell’art. 2 par. 3 (introdotta a seguito di un emendamento proposto dal PE con la risoluzione legislativa del 12 febbraio 2015 ed accolto dai gruppi di lavoro) che si limita ad incoraggiare l’estensione delle garanzie anche a coloro che abbiano raggiunto la maggiore età dopo il fatto di reato, prima ovvero durante il processo, quando « tale estensione appaia appropriata alla luce delle circostanze del caso, tra cui la maturità e la vulnerabilità della persona interessata» (art. 2, par. 3, e considerando n. 12). Anche in tal caso, resta ferma peraltro la discrezionalità degli Stati membri di circoscrivere l’applicazione della direttiva ai soli infra-ventunenni (art. 2, par. 3).

Altrettanto criticabile appare la precisazione contenuta nel considerando n. 17 in base alla quale sarebbe opportuno che la presente direttiva non trovasse applicazione rispetto a procedimenti diversi da quelli penali, in particolare ai procedimenti specificamente destinati ai minori e che potrebbero comportare misure di protezione, correttive o educative. In merito, occorre ricordare che il PE aveva proposto due emendamenti al testo della proposta – poi bocciati – insistendo perché venisse introdotto un nuovo considerando recante la seguente dicitura «la natura penale di un procedimento non può essere sempre determinata attribuendo esclusivo rilievo alla qualificazione di tale procedimento e delle relative possibili sanzioni secondo il diritto nazionale». Con tale integrazione, il PE auspicava che nell’applicazione della direttiva si avesse riguardo non solo alla qualificazione formale del procedimento nell’ordinamento nazionale, ma anche alle ricadute del procedimento nella vita e nello sviluppo del minore, suggerendo che il minore dovrebbe beneficiare delle garanzie in essa previste ogni qual volta dal procedimento possa risultare un’annotazione nel casellario giudiziale (emendamento n. 4) e, con i dovuti adattamenti, in tutti quei procedimenti che, pur non importando l’applicazione di una sanzione, possano concludersi con una decisione che affermi, anche solo implicitamente, la responsabilità del soggetto in ordine al reato ascrittogli, incidendo sul processo personale ed evolutivo del minore (emendamento n. 6).

Con il testo da ultimo approvato, invece, si è preferito, da un lato, non recepire i predetti emendamenti; dall’altro lato, è stata accolta (inspiegabilmente) la proposta di superare la qualificazione formale del procedimento nell’ordinamento interno limitatamente alle sole ipotesi in cui il minore sia sospettato ovvero accusato della commissione di reati minori (minor offences) e l’accertamento di tali fatti sia demandato ad un’autorità diversa da quella giurisdizionale, la cui decisione non possa comportare l’adozione di una misura privativa della libertà personale e sia comunque sempre ricorribile davanti all’autorità giudiziaria competente in materia penale (art. 2, par. 6, considerando nn. 14 e 15). In tale ipotesi la direttiva dovrebbe applicarsi solo ai procedimenti dinanzi ad un giudice o tribunale, competenti in materia penale, aditi in seguito a ricorso o deferimento (considerando n. 15). Ciò si spiegherebbe, stando al considerando n. 16, in quanto alcuni Stati membri considerano “reati” anche infrazioni di minore gravità, quali le infrazioni al codice della strada, le violazioni minori dei regolamenti comunali generali o le violazioni dell’ordine pubblico, per cui – stando all’opinione degli estensori del testo consolidato -apparirebbe –sproporzionata l’applicazione integrale delle garanzie della direttiva. La scelta appare incoerente e desta non poche perplessità.

Fermo quanto precede, è previsto che l’applicazione dei diritti stabiliti dalla direttiva deve essere garantita sino alla decisione definitiva, incluse le eventuali fasi di impugnazione (art. 2, par. 1). I medesimi diritti procedurali devono essere garantiti anche nel caso in cui il minore, originariamente non sospettato o accusato, assuma la veste di indagato o imputato nel corso dell’interrogatorio della polizia o di altra autorità (art. 2, par. 4).

Per completezza, va precisato, infine, che resta impregiudicata – come chiarito espressamente dall’art. 2 par. 5 – l’applicazione delle norme nazionali che stabiliscono l’età minima a partire dalla quale il minore può essere perseguito penalmente. L’eterogeneità delle legislazioni nazionali sul punto continuerà, anche per il futuro, a limitare l’operatività dello strumento mandato d’arresto europeo, in quanto, come noto, l’art. 3 della DQ 2002/584/GAI (DQ MAE) prevede un motivo di non esecuzione obbligatoria del mandato nel caso in cui una persona, “a causa della sua età” non può essere penalmente responsabile dei fatti all’origine del mandato in base alla legge dello Stato di esecuzione.

A-     Il diritto all’informazione (art. 4)

Per quanto riguarda i diritti oggetto di armonizzazione, la direttiva dedica la prima disposizione (art. 4) al diritto del minore a ricevere una celere e completa informazione, circa i propri diritti e circa le modalità di svolgimento del procedimento. Non ritenendo sufficiente la generica previsione, indirizzata ad indagati ed imputati “vulnerabili”, contenuta all’art. 3, par. 2, della citata direttiva 2012/13/UE relativa al diritto all’informazione dei soggetti adulti nei procedimenti penali, il legislatore dell’UE ha infatti ritenuto necessario introdurre una serie di garanzie complementari intese a tener conto della specifica vulnerabilità del minore.

La direttiva estende, anzitutto, l’oggetto dell’informativa agli «aspetti generali dello svolgimento del procedimento» (art. 4, par. 1). Pertanto, oltre a prevedere che il minore venga informato – come gli adulti – del diritto all’assistenza di un legale, del diritto di conoscere l’accusa a suo carico; delle condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio; del diritto all’interpretazione ed alla traduzione degli atti, nonché della facoltà di non rispondere, la direttiva invita le autorità competenti a fornire al minore una breve spiegazione circa le fasi della procedura e sul ruolo delle autorità coinvolte (considerando n. 19). Il dettame in parola tiene evidentemente in considerazione le opinioni di professionisti e operatori dei sistemi giudiziari nazionali raccolte dall’agenzia FRA, e, specialmente, l’osservazione per cui il diritto all’informazione è funzionale, non solo all’effettiva e consapevole partecipazione al procedimento, ma anche al benessere psicologico del minore, contribuendo ad «alleviare l’ansia dovuta al fatto di affrontare, presumibilmente per la prima volta, un sistema giudiziario potenzialmente intimidatorio» e ad ingenerare sicurezza, fiducia e tranquillità nel minorenne. Ciò non toglie che la norma risulti comunque piuttosto generica, dal momento che non precisa – benché ciò fosse stato suggerito dagli operatori intervistati dalla FRA – quale autorità sia deputata ad informare il minore. Spetterà dunque a ciascuno Stato membro, in sede di trasposizione, rendere concreto l’esercizio di tale diritto.

Il minore dovrà essere posto in condizione di conoscere anche le ulteriori prerogative garantite dalla direttiva. In particolare, egli dovrà essere informato «tempestivamente», del diritto a che venga informato il titolare della responsabilità genitoriale (art. 5) e della facoltà di essere da questi accompagnato durante determinate fasi del procedimento diverse dall’udienza, nonché dell’inderogabilità del diritto all’assistenza legale e dei suoi contenuti (art. 6). In aggiunta, il minore avrà diritto di ricevere, «nella prima fase appropriata del procedimento», la comunicazione del diritto ad una valutazione individualizzata ai sensi dell’art. 7; del diritto ad essere sottoposto ad una visita medica ed a ricevere assistenza medica (art. 8); del diritto alla registrazione audiovisiva dell’interrogatorio; del diritto ad accedere a misure alternative alla pena detentiva (compreso il diritto al riesame periodico della detenzione, conformemente agli artt. 10 e 11), ed, in ogni caso, di essere presente personalmente al processo e di essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale anche nel corso delle udienze. Infine (art. 4, par. 1, lett. c) per l’eventualità che il minore sia sottoposto ad una misura di privazione della libertà personale, dovrà essere contestualmente informato del trattamento specifico che dovrà essergli riservato in conformità con l’art. 12 del testo in esame.

Circa le modalità con cui il minore ha diritto a ricevere l’informativa avente i contenuti descritti, la direttiva non impone – come sarebbe stato auspicabile – che la comunicazione avvenga in forma scritta. Non soddisfa neppure la mera indicazione che la comunicazione avvenga «in modo semplice e con un linguaggio accessibile», che, peraltro, nulla aggiunge a quanto già previsto dal ricordato art. 3, par. 2, della direttiva 2012/13/UE: sarebbe stato senza dubbio preferibile che fosse posto l’accento sull’effettiva comprensione da parte del minore, sottolineando – come prescritto dalle Linee guida del Consiglio d’Europa – l’importanza di tenere in debita considerazione anche l’età e la maturità del minore e la cultura di appartenenza (cfr. D. Sayers).

B-     Il diritto all’informazione del titolare della responsabilità genitoriale (art. 5)

In base all’art. 5 della direttiva, l’informativa di cui è destinatario il minore ed avente i contenuti descritti all’art. 4 deve venir rivolta anche ai soggetti titolari della responsabilità genitoriale.

Diversamente dalla versione originaria, la disposizione contiene una, ancorché generica, indicazione di natura temporale, stabilendo che la comunicazione debba essere resa «al più presto».

L’informazione potrà, eventualmente, essere rivolta ad un altro soggetto adulto «idoneo», diverso dal titolare della responsabilità genitoriale (e che sarà designato su indicazione del minore ed approvato dall’autorità giudiziaria, ovvero designato direttamente dal Tribunale), quando l’informazione dei soggetti esercenti la potestà genitoriale: i) risulti contraria al superiore interesse del minore; ii) non sia possibile, in quanto – nonostante siano stati compiuti ragionevoli sforzi – nessuno dei titolari della responsabilità genitoriale è reperibile o l’identità è ignota; iii) ed, infine, in tutti i casi in cui il loro coinvolgimento potrebbe compromettere l’accertamento dei fatti e l’esito del procedimento (esemplificativamente, come precisato dal considerando n. 23, laddove le prove potrebbero venir distrutte ovvero alterate, o i titolari della responsabilità genitoriale siano coinvolti nell’attività criminosa insieme al minore).

La direttiva ristabilisce però l’obbligo di informare i soggetti esercenti la titolarità della responsabilità genitoriale nel caso una delle cause in esame venga meno nel successivo corso del procedimento.

Anche in tal caso, come specifica il considerando n. 22, l’informativa potrà avvenire indifferentemente in forma scritta o in forma orale, con l’unica precisazione che deve essere tale da garantire il concreto esercizio dei diritti sanciti dalla direttiva.

C-     Il diritto all’assistenza di un difensore (art. 6)

Conformemente ai principi generali sanciti dall’art. 6, par. 3, CEDU, nonché dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ed altresì dalle norme generali contenute nella direttiva 2013/48/UE, l’art. 6 assicura, poi, il diritto del minore a ricevere l’assistenza di un difensore nel corso del procedimento.

L’obbligo di assistenza legale sorge a partire dal momento in cui il minore sia informato dell’avvio di un procedimento penale a suo carico ovvero, se precedente, a partire dal primo tra tali momenti (art. 6, par. 3): a) prima che esso sia interrogato dalla polizia o da un’altra autorità di contrasto o giudiziaria; b) quando le autorità inquirenti o altre autorità competenti procedono ad atti investigativi o altri atti di raccolta delle prove conformemente al par. 4, lett. c); c) senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale; d) qualora sia stato chiamato a comparire dinanzi a un giudice competente in materia penale, a tempo debito prima che compaia dinanzi a tale giudice.

Il par. 7 dell’art. 6 della direttiva aggiunge, a tale proposito, che quando il difensore non sia presente in una delle predette circostanze, l’autorità procedente è tenuta a rinviare l’interrogatorio del minore, nonchè l’attività di compimento di atti di indagine e di raccolta delle prove di cui al par. 4 lett. c), per un tempo ragionevole al fine di attendere l’arrivo del difensore o, qualora il minore non ne abbia nominato uno, provvedere essa stessa alla nomina.

Quanto al contenuto di tale diritto, l’art. 6, par. 4, non differisce dall’art. 3, par. 3, della direttiva 2013/48/UE, prevedendo che l’assistenza del legale debba includere, tra l’altro: a) il diritto dell’imputato minorenne di incontrare in privato e comunicare con il difensore cui è stato conferito mandato, anche prima dell’interrogatorio da parte della polizia o di un’altra autorità di contrasto o giudiziaria (con la precisazione che tutte le comunicazioni con il proprio difensore devono considerarsi riservate); b) la presenza e partecipazione effettiva del difensore all’interrogatorio, secondo le procedure previste dal diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l’effettivo esercizio o l’essenza del diritto in questione; c) nonché, infine, la presenza ed effettiva partecipazione del difensore al compimento almeno dei seguenti atti di indagine e raccolta delle prove, quali ricognizioni di persone, confronti e ricostruzione confronti e ricostruzione della scena del crimine, «ove tali atti siano previsti dal diritto nazionale all’indagato o all’imputato sia richiesto o permesso di essere presente all’atto in questione».

Innovativa e specifica è, invece, la previsione» (già prevista nella proposta originaria; in merito, per approfondimenti, v. L. Salazar, p. 33-41) relativa all’irrinunciabilità da parte del minore al diritto di accesso ed assistenza del difensore, la quale prevede espressamente che «nulla nella presente direttiva [ivi compreso il richiamo alla direttiva 2013/48/UE ] pregiudica tale diritto.

Tuttavia, la portata della disposizione appare immediatamente ridotta (all’art. 6, parr. 6 e 8) in quanto è consentito agli Stati membri di derogare all’obbligo disposto dal citato art. 6, par. 3, in due ipotesi eccezionali: i)quando tale garanzia risulti sproporzionata alla luce delle circostanze del caso, in considerazione della gravità e della complessità del caso e delle sanzioni che possono essere irrogate, a patto che non possa essere comminata una pena detentiva o il minore sia attualmente detenuto né sottoposto a procedimento dinanzi ad un’autorità giudiziaria; ii) in circostanze eccezionali, e solo nella fase pre-processuale sulla base di uno dei seguenti motivi imperativi, la necessità impellente di evitare gravi conseguenze negative per la vita, la libertà personale o l’integrità fisica di una persona, il rischio di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale in relazione ad un reato grave qualora non vi sia un intervento immediato delle autorità inquirenti.

Anche in questo caso regola di chiusura e di equilibro del sistema rimane pur sempre il principio del superiore interesse del minore (art. 6, par. 8), che tuttavia mantiene in questa previsione contorni ancora incerti.

D-    Il diritto ad una valutazione individuale (art. 7)

Tra le disposizioni più significative del testo in esame figura la norma contenuta all’art. 7, il quale trasponendo il principio del superiore interesse del minore in una norma di più immediata “precettività” (pur sempre con i limiti di uno strumento, la direttiva, che per sua natura fissa per gli Stati un mero obbligo di risultato) sancisce espressamente il diritto ad una valutazione individuale, avente ad oggetto la personalità e maturità del minore, la sua situazione economica, sociale e familiare, nonché eventuali vulnerabilità specifiche.

L’articolo chiarisce che l’obiettivo della valutazione individuale è di stabilire le informazioni e le caratteristiche individuali del minore che potrebbero essere utili al fine di: a) determinare misure specifiche a beneficio del minore; b) valutare l’adeguatezza o l’efficacia di eventuali misure cautelari rispetto al minore; c) assumere decisioni o linee d’azione anche in sede di pronuncia della sentenza.

Con riguardo a tempistiche e modalità, la direttiva incoraggia a procedere alla valutazione individuale prima della formulazione dell’imputazione, salvo che il superiore interesse del minore renda preferibile procedervi in un diverso momento. La valutazione deve in ogni caso essere condotta da personale qualificato, con un approccio per quanto possibile multidisciplinare e, ove opportuno, con il coinvolgimento del titolare della responsabilità genitoriale o di altro adulto idoneo.

La deroga all’obbligo di effettuare la valutazione è ammessa quando sia richiesta dalle circostanze del caso (art. 7, par. 9), purché sia compatibile con l’interesse superiore del minore.

Questa disposizione suggerisce un parallelismo con le garanzie corrispondenti contenute nella direttiva 2010/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GA, e relative dunque al minore che non sia indagato o imputato, bensì vittima di reato. Gli artt. 1 par. 2 e 22 della direttiva 2010/29/UE non sembrano tuttavia prevedere alcuna possibilità di deroga rispetto all’obbligo di sottoporre la vittima minorenne ad una valutazione individuale.

E-     Registrazione audiovisiva dell’interrogatorio (art. 9)

Innovativa è anche la previsione contenuta all’art. 9 della direttiva, in base al quale gli Stati membri devono garantire che l’interrogatorio del minore, condotto dalla polizia oda altre autorità di contrasto durante il procedimento penale,sia oggetto di registrazione audiovisiva.

Tuttavia, è lo stesso par. 1 a circoscrivere l’operatività della garanzia alla sola ipotesi in cui ciò risulti «proporzionato in base alle circostanze, tenendo conto, tra l’altro, della presenza o meno del difensore e della circostanza che il minore sia detenuto». L’invito rivolto alle autorità ad effettuare una valutazione di proporzionalità limita evidentemente la portata della previsione, con ciò vanificandone l’obiettivo, quanto meno duplice, di assicurare un controllo sull’effettiva attuazione delle ulteriori garanzie previste dalla direttiva e, nondimeno, di scongiurare il rischio che il minore debba ripetere l’esperienza, traumatica, dell’interrogatorio nel corso della stessa o di diverse fasi del giudizio.

F-     Le garanzie accordate al minore privato della libertà personale (artt. 8, 10, 11 e 12)

Nel testo consolidato, così come nella proposta originaria, alcune disposizioni sono dedicate specificamente al minore che si trovi in stato di detenzione o che sia altrimenti privato della libertà personale.

L’art. 8 impone che gli Stati membri garantiscano, senza indebito ritardo, che il minore privato della libertà personale – o, per lui, il soggetto esercente la responsabilità genitoriale o, ancora, il difensore – possa richiedere che venga effettuato un esame medico. La ratio della previsione è di valutare lo stato fisico e mentale generale del minore, e di stabilirne, tra l’altro, la capacità di partecipare ad atti di indagine o all’interrogatorio. Diversamente dalla proposta della Commissione, la versione definitiva contiene la precisazione – inserita a seguito di un emendamento proposto dal PE il 12 febbraio 2015 – che l’esame medico deve essere il meno invasivo possibile ed essere effettuato da un medico o da un altro professionista qualificato. Nel caso in cui l’esito dell’esame renda necessaria assistenza medica, questa deve essere fornita. Non possono nascondersi perplessità in ordine alla limitazione di tale garanzia al solo minore in stato di privazione della libertà personale.

Gli artt. 10 e 11 della direttiva confermano la natura della detenzione come extrema ratio, incoraggiando gli Stati membri a favorire il ricorso a misure alternative nonché prescrivendo che, quando indispensabile, la privazione della libertà personale debba pur sempre essere limitata al più breve tempo possibile.

L’art. 12 riconosce, infine, il diritto del minore detenuto a ricevere un trattamento differenziato, prevedendo principalmente che venga recluso in strutture nelle quali non sia posto a contatto con soggetti adulti, a meno che ciò non sia preferibile nel suo interesse.

Anche in questo caso, tuttavia, si ammette che, in circostanze eccezionali, laddove tale separazione non sia in concreto praticabile, il minore possa essere detenuto insieme agli adulti. A temperare l’eccezione è la condizione che ciò sia compatibile con il suo interesse superiore. La disposizione appare vaga, contraddittoria, ed insuscettibile di una pratica applicazione, essendo difficile credere che le ragioni per cui lo Stato non possa fare a meno di detenere insieme adulti e minori siano compatibili con l’interesse superiore di questi.

G-    Diritto alla protezione della vita privata (art. 14)

Nel prevedere il rispetto alla vita privata del minore, l’art. 14 consegna al legislatore nazionale la scelta tra due alternative, tra loro ben diverse e non egualmente garantiste: a) optare per introdurre la regola generale dell’udienza a porte chiuse; b) prevedere unicamente la possibilità che il giudice possa eventualmente stabilire di trattare l’udienza con tali modalità.

Ancora in merito alla protezione della vita privata del minore, la disposizione si limita ad incoraggiare i media ad adottare misure di autoregolamentazione.

L’unica parte apprezzabile della disposizione è la previsione che debba essere adottata ogni misura appropriata per garantire che le registrazioni audiovisive degli interrogatori del minore non siano rese pubbliche.

H-    La partecipazione del minore al processo: il diritto di essere ascoltato e il diritto ad essere accompagnato

Si è detto che pressoché la totalità degli ordinamenti deli Stati dell’UE riconosce la rilevanza dell’ascolto del minore nel corso del procedimento. In merito, l’art. 16 della direttiva conferma il diritto del minore di partecipare al processo, di essere ascoltato e di esprimere la propria opinione.

L’art. 15 stabilisce il diritto del minore ad essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale, ovvero da un altro adulto idoneo (negli stessi casi previsti dall’art. 5, par. 2), durante la partecipazione alle udienze.

Per quanto riguarda, invece, le fasi del procedimento diverse dalle udienze, la partecipazione di tale figura “rassicurante” può essere accordata, stando all’art. 15, solo se l’autorità competente ritiene che sia nell’interesse superiore del minore e la presenza di tale persona non pregiudichi lo svolgimento ovvero l’esito del procedimento.

I-       La Formazione (art. 20)

Infine, da non sottovalutare è la previsione – contenuta nell’art. 20 della direttiva – dedicata alla formazione del personale che opera a contatto con il minore indagato, imputato o ricercato.

Appare però criticabile l’ingiustificata differenziazione tra le professionalità che intervengono nel corso del procedimento penale. Se, infatti, al par. 1, è introdotto l’obbligo di una formazione specialistica «sui diritti del minore, sulle tecniche appropriate di interrogatorio, sulla psicologia minorileesulla comunicazione in un linguaggio adattato al minore», per il personale delle autorità di contrasto e delle strutture di detenzione, il par. 2, si limita a prevedere che i giudici e i magistrati inquirenti che si occupano di procedimenti penali a carico di minori abbiano una competenza specifica (non meglio qualificata) o, in alternativa, abbiano effettivamente accesso ad una formazione. Ancora meno pregnante è, infine, la previsione di cui al par. 3 che si limita a richiedere agli Stati membri di adottare misure appropriate per promuovere «l’offerta della formazione specifica» per i difensori, senza che ciò costituisca dunque un onere per l’avvocato che si occupi della difesa del minore, quanto meno per il difensore d’ufficio.

 5. Considerazioni conclusive

Nel complesso la direttiva si presenta come un testo dalle “maglie” fin troppo “larghe”: da un lato, si limita a riprodurre in modo generico principi già consolidati, senza tradurli – come auspicato dal Consiglio della ricordata tabella di marcia del 2009 – in «un’entità tangibile»; dall’altro lato, la portata dei diritti sanciti dalla direttiva è temperato da ampi margini di derogabilità delle previsioni.

Nel testo si registrano, inoltre, alcune lacune: per esempio, nulla viene disposto in merito al casellario giudiziale del minore.

L’aspetto più criticabile è tuttavia, senza dubbio, l’ambito di applicazione, che finisce – come si è detto – per rendere sostanzialmente inapplicabili le garanzie stabilite dalla direttiva in quei casi in cui il soggetto, accusato di aver commesso un reato quando era minore, abbia raggiunto l’età adulta prima o nel corso del giudizio e dunque sia privato della possibilità di beneficiare dell’applicazione della direttiva.

Si rileva, da ultimo che, Danimarca, Regno Unito e Irlanda hanno scelto di non partecipare all’adozione della direttiva a e non saranno, in ogni caso, vincolati dalla sua applicazione.

Quanto al prevedibile impatto sull’ordinamento interno, il Ministero della Giustizia ha trasmesso alle Camere apposita relazione ai sensi dell’art. 6, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, rilevando che le disposizioni contenute nella direttiva sono già «in linea con le garanzie previste dal nostro ordinamento» (cfr. scheda del Senato della Repubblica, p. 7). In particolare, per quanto riguarda gli aspetti innovativi della direttiva, la relazione evidenzia che il nostro diritto interno prevede l’obbligatorietà della registrazione audio o video dell’interrogatorio, svolto in udienza, dell’indagato o imputato minore che sia stato privato della libertà personale (v. art. 142 bis c.p.p., applicabile al processo minorile in ragione del rinvio operato dall’art. 1 del D.P.R. 1998, n. 448). Per quanto riguarda, infine, il diritto riconosciuto ai minori di partecipare di persona al giudizio, di cui all’art. 16 della direttiva, la norma va a collocarsi nel contesto della questione generale relativa alla conoscenza effettiva del processo da parte del minore.

 


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