Le SOA (società organismi di attestazione) esercitano pubblici poteri? La pronuncia della Corte di giustizia su rinvio del Consiglio di Stato

Il 12 dicembre scorso la Corte di giustizia si è pronunciata sul tema già noto dei minimi tariffari obbligatori in relazione alla tutela della concorrenza e alla libertà di stabilimento (causa C-327/12, Ministero dello Sviluppo economico e Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture contro SOA Nazionale Costruttori).

Nel caso in questione, la disciplina nazionale interessata è quella relativa alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, ed in particolare il sistema di qualificazione attuato dalle SOA, società organismi di attestazione. L’occasione del rinvio ai giudici della Corte di giustizia sorge nell’ambito della controversia avviata dalla SOA Nazionale Costruttori al fine di ottenere da parte dei Giudici amministrativi l’annullamento delle note rese dal Ministero dello Sviluppo economico e dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ( AVCP), con cui era stata dichiarata l’inapplicabilità ai servizi offerti dalle SOA dell’art. 2 del decreto legge cd. Bersani n. 223/2006 convertito nella legge n. 248 del 4 agosto 2006, norma che prevede l’abrogazione delle tariffe minime obbligatorie nell’esercizio delle attività professionali.

Se, in primo grado, i Giudici del Tar del Lazio avevano accolto il ricorso della SOA Nazionale Costruttori contro il mantenimento delle tariffe minime obbligatorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010 di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 123 recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, art. 70 commi 4 e 5, affermando, tra l’altro, che “l’impatto pubblicistico dell’attività espletata dalle SOA non esclude che si tratti di imprenditori operanti in regime concorrenziale”, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi dal Ministero e dall’AVCP, in sede di appello, proposto da questi ultimi (nonché dagli intervenuti a sostegno delle Amministrazioni e ad opponendum nel giudizio di primo grado, ossia la Soa Cqop S.p.a. e la Associazione Unionsoa), con la pronuncia n. 3905 del 2012, ha ritenuto invece che il riferimento, contenuto all’art. 2, comma 1 lett. a) del decreto legge n. 223/2006, alle attività libero professionali e intellettuali, non possa estendersi alle attività espletate dalle SOA che integrano una funzione pubblica di certificazione, svolta sotto la sorveglianza e l’autorizzazione dell’AVCP.

I Giudici di Palazzo Spada si interrogano sulla questione della compatibilità con il diritto dell’Unione europea delle disposizioni nazionali relative alle tariffe minime previste per l’attività di attestazione delle SOA.

Sebbene nell’ordinanza di rinvio, i Giudici richiamino correttamente la deroga alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, contenuta all’articolo 51 TFUE, e relativa ai “soggetti che partecipano all’esercizio dei pubblici poteri”, il quesito pregiudiziale viene formulato esclusivamente con riferimento ai principi comunitari in materia di concorrenza e agli articoli 101, 102 e 106 TFUE.

Poiché tali norme del Trattato sono risultate non del tutto pertinenti rispetto alla risoluzione della fattispecie in esame, su proposta della Commissione europea, l’attenzione è stata spostata dai Giudici della Corte sull’interpretazione dell’articolo 49 TFUE relativo alla libertà di stabilimento e, quindi, della deroga di cui all’art. 51 TFUE.

A seguito di una parziale riformulazione della questione pregiudiziale effettuata dalla Corte di giustizia, le Parti sono state chiamate a prendere posizione sul “nuovo” quesito relativo alla compatibilità delle tariffe minime con la libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione europea.

Nella fase orale, la Commissione europea e la Repubblica italiana si sono pronunciate in merito al quesito scritto loro sottoposto dalla Corte con l’invio della comunicazione relativa all’udienza, sostenendo posizioni del tutto opposte: ossia escludendo che l’attività delle SOA sia connessa all’esercizio di pubblici poteri, la prima, affermando invece il contrario, la seconda.

A tale proposito, per la risoluzione dell’interrogativo relativo alla configurabilità o meno, in capo alle SOA, dell’esercizio di pubblici poteri, è stata fondamentale l’approfondita analisi svolta dall’avvocato generale Villalon sulla natura dell’attività svolta da tali società.

Secondo la ricostruzione effettuata dall’avvocato generale, le SOA operano nell’ambito del sistema di qualificazione delle imprese esecutrici di lavori pubblici, previsto dall’art. 40 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006).

Tali organismi di diritto privato, appositamente autorizzati dall’AVCP, svolgono l’attestazione di qualificazione necessaria alle imprese per lo svolgimento dei lavori medesimi, obbligatoria per gli appalti di lavori superiori a 150.000 euro, ed hanno un compito puramente formale (“notarile”) che consiste nell’acquisizione di tutti i certificati di qualità (intesi come documenti cartacei) e di controllo della validità dei medesimi, senza entrare nel merito della certificazione.

Le SOA svolgono la propria attività sotto il penetrante controllo e la direzione dell’AVCP: ed infatti, non solo hanno obblighi di comunicazione all’Autorità dell’avvio del procedimento di accertamento del possesso dei requisiti da parte delle imprese che partecipano agli appalti, ma devono anche segnalare eventuali irregolarità nella presentazione della documentazione da parte delle suddette imprese; sono inoltre responsabili della conservazione della documentazione e degli atti utilizzati per il rilascio dell’attestazione, nonché di verificare il permanere del possesso dei requisiti in capo alle imprese.

Ai sensi del citato art. 40 del Codice appalti, l’attività sopra descritta deve essere svolta “nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l’assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori”. 

Sempre ai sensi dell’art. 40, le SOA svolgono funzioni di natura pubblicistica” che tradizionalmente venivano svolte dalla Pubblica Amministrazione italiana e “in caso di false attestazioni dalle stesse rilasciate si applicano gli articoli 476 e 479 del codice penale”, norme – queste ultime – che configurano due fattispecie di reati commessi da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni.

Le SOA sono inoltre sottoposte ad un rigido regime sanzionatorio, come delineato nel regolamento attuativo (di cui al DPR n. 207/2010), che prevede pene pecuniarie e interdittive, fino alla decadenza dell’autorizzazione, “per le irregolarità, le illegittimità e le illegalità commesse (..) nel rilascio delle attestazioni nonché in caso di inerzia delle stesse  seguito di richiesta di informazioni ed atti attinenti all’esercizio della funzione di vigilanza da parte dell’Autorità (..)”.

Questo contesto normativo, come rileva l’avvocato generale (al punto 31 delle conclusioni), non esclude comunque che le SOA, pur essendo incaricate di fornire un servizio di certificazione tecnica, dotato di una presunzione di legittimità, incidente sullo svolgimento delle gare d’appalto, e che tradizionalmente era svolto dalla Pubblica Amministrazione italiana, siano imprese private con fini di lucro che operano in un mercato concorrenziale.

Con riferimento all’attività svolta da tali organismi, si segnala, come sopra anticipato, che le SOA rilasciano alle imprese esecutrici di lavori pubblici l’attestazione necessaria allo svolgimento dei medesimi, qualificando le imprese per “categorie” in ragione della tipologia dei lavori che le stesse sono abilitate a svolgere, nonché “classificandole”, nell’ambito delle categorie loro attribuite, secondo gli importi delle opere che esse possono eseguire. E pertanto, come rileva l’avvocato generale (punto 49), tali imprese esercitano una “discrezionalità tecnica” che, da un lato, è svolta nell’ambito di rigidi criteri prefissati da norme adottate dal legislatore, dall’altro lato, è sottoposta ad un meccanismo di controllo e sorveglianza da parte dei pubblici poteri (Avcp).

Occorre quindi riflettere sulla nozione di “esercizio di pubblici poteri” di cui all’art. 51 TFUE che consente di derogare al principio fondamentale della libertà di stabilimento, tenendo conto del fatto che la Corte si é sempre pronunciata a favore di un’interpretazione restrittiva di tale eccezione, finalizzata a garantire quanto strettamente necessario per tutelare gli interessi, che tale disposizione permette agli Stati membri di proteggere, includendo solo le attività che costituiscono di per sé “un compito centrale dello Stato” e una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri. E ciò, nell’ottica generale di evitare che l’effetto utile del Trattato sia vanificato da disposizioni unilaterali degli Stati membri.

Si segnalano al riguardo alcune pronunce, conseguenti a ricorsi per infrazione presentati dalla Commissione contro gli Stati (Austria e Germania, ad esempio, in merito all’imposizione di uno stabilimento/infrastruttura permanente agli organismi privati di controllo dell’agricoltura biologica, C-393/05 e C-404/05) ed anche il caso dei notai (in causa C- 47/08 Commissione europea contro Regno del Belgio), in cui la Corte, nel ribadire la necessità dell’analisi preliminare della natura dell’attività oggetto di causa, si é soffermata sulla portata della deroga.

La Corte ha escluso dalla deroga le attività meramente ausiliarie o preparatorie svolte dai c.d. commissari autorizzati presso le imprese di assicurazione, rispetto alle funzioni dell’Ufficio di controllo che invece (pacificamente) esercita pubblici poteri (C- 42/92 A. Thijssen contro Controledienst voor de Verzekeringen), nonché determinate attività che non comportano l’esercizio di poteri decisionali né di poteri di coercizione né infine di potestà coercitiva.

Ed infatti, tra i criteri adottati per escludere l’esercizio dei pubblici poteri, in particolare rileva l’esistenza di un organismo di sorveglianza (che per le SOA è l’AVCP) nonché di criteri rigidi fissati dal legislatore nell’esercizio dell’attività (punto 54 della sentenza in esame).

Occorre poi osservare che, di fatto, la valutazione dell’idoneità tecnica delle imprese ad eseguire lavori pubblici, viene effettuata dalle SOA esaminando dei certificati, senza esercitare la discrezionalità propria dei poteri pubblici. Tale compito/funzione ricorda in parte quello degli organismi di revisione dei veicoli del Belgio (su cui la Corte si è pronunciata in causa C-438/08 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese), i quali svolgono un’attività organizzata in due fasi. Essi infatti sono incaricati preliminarmente di effettuare ispezioni tecniche verificando la conformità dei veicoli con le norme tecniche applicabili e di redigere un verbale di ispezione; nella fase successiva hanno invece il compito di certificare (o meno) il controllo effettuato. Se le attività svolte nella prima fase sono di ordine esclusivamente tecnico, e quindi estranee per natura all’esercizio dei pubblici poteri, la fase successiva – proprio come quella di attestazione svolta dalle SOA – comporterebbe l’esercizio di prerogative di pubblico potere in quanto si traggono conseguenze giuridiche dall’ispezione tecnica.

Come per le SOA, tuttavia, la decisione di certificare o meno il controllo tecnico, poiché si limita a constatare i risultati dell’ispezione, é sia priva dell’autonomia decisionale propria dell’esercizio di prerogative di pubblico potere, sia è adottata nell’ambito di una sorveglianza statale diretta.

Alla luce di tutte le considerazioni riportate, la Corte di giustizia ha escluso che l’attività svolta dalle SOA comporti una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri (cfr. punto 52 della sentenza), concludendo quindi per la rilevanza dell’art. 49 TFUE nel caso in esame, ma per l’inapplicabilità all’attività svolta da tali organismi della deroga alla libertà di stabilimento, prevista dall’art. 51 TFUE.

Da tale pronuncia e dalle ampie argomentazioni contenute nelle conclusioni dell’avvocato generale, pare  emergere l’intento di chiarire la distinzione tra l’esercizio della funzione di natura pubblicistica, come quella svolta dalle SOA pur sotto la sorveglianza dei pubblici poteri, e le attività che, essendo invece connesse all’esercizio di pubblici poteri, consentono di derogare alla libertà di stabilimento prevista dal Trattato.

Con riferimento infine al quesito relativo alle tariffe rispetto alla libertà di stabilimento, i giudici di Lussemburgo hanno risposto nel senso che, pur dovendo considerarsi la fissazione di tariffe minime come una restrizione allo stabilimento delle imprese di un altro Stato membro che vogliano offrire il servizio nel nostro Paese chiedendo onorari inferiori, tale normativa (art. 70 del D.P.R. n. 207/2010) appare tuttavia idonea a garantire la buona qualità dei servizi di attestazione e quindi la realizzazione dell’interesse pubblico di tutela dei destinatari dei medesimi. Pur salvando apparentemente la tariffe in questione, la Corte attribuisce però al giudice del rinvio il compito di valutare, tenuto conto delle modalità di calcolo delle medesime, se la citata normativa vada oltre quanto necessario per il conseguimento di tale obiettivo: con ciò confermando la tipica definizione consistente nel fornire i parametri di riferimento, rimettendo al giudice a quo la soluzione del caso, specie nei casi in cui occorre verificare la proporzionalità e necessarietà delle misure nazionali che derogano alle libertà fondamentali previste dal diritto UE.


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