Le procedure decisionali d’urgenza dell’Unione europea in tempi di crisi

  1. Introduzione

Dopo 60 anni di integrazione, l’Unione europea ha raggiunto un punto critico caratterizzato da situazioni complesse: l’Unione si trova, infatti, a confrontarsi con nuove sfide, che talvolta richiedono reazioni immediate, anche in via d’urgenza, come la crisi economica, i flussi migratori senza precedenti, gli attacchi terroristici. Indubbiamente queste situazioni hanno imposto all’Unione un nuovo modo di reagire e hanno suscitato diversi interrogativi sulla funzionalità e l’efficienza dei suoi metodi decisionali.

Né il Trattato sull’Unione europea, né il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea prevedono una procedura decisionale legislativa d’urgenza, al contrario di quanto avviene pressoché in tutti gli Stati membri. È possibile, tuttavia, riscontrare, all’interno dell’ordinamento dell’Unione europea, alcune disposizioni che consentono all’Unione di reagire in tempi rapidi alle situazioni di emergenza, sebbene la risposta non sia sempre efficace, anche a causa delle resistenze degli Stati. Occorre, quindi, verificare se tali strumenti siano realmente adeguati per consentire all’Unione di reagire, con misure legislative o regolamentari, a situazioni eccezionali ed urgenti o se non sia invece opportuno riflettere sulla necessità di introdurre nuove norme per realizzare un’azione più efficace.

  1. Le procedure decisionali d’urgenza previste dai Trattati

 

2.1. L’art. 78, par. 3, TFUE

Tra gli strumenti a disposizione dell’Unione per reagire a situazioni eccezionali ed urgenti, si può ricordare, in primo luogo, l’art. 78 TFUE, nell’ambito della politica di asilo, il quale afferma, al par. 3, che «qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo». Il Consiglio può adottare “misure temporanee” a favore degli Stati membri interessati, in caso di una “situazione di emergenza”, creata da “un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi”. Esso stabilisce una procedura che parte dalla proposta della Commissione europea e impone solamente la consultazione del Parlamento europeo, prima che la decisione sia adottata dal Consiglio, a differenza di quanto accade di regola per l’adozione della legislazione in materia di asilo, ove il Parlamento agisce normalmente come colegislatore. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, come prescritto dall’art. 16, par. 3, TUE. Come già sottolineato dai primi commentatori, il campo di applicazione di questa norma è stato intenzionalmente limitato alle misure di asilo dal trattato di Lisbona, mentre la versione precedente è applicabile a tutte le questioni relative all’immigrazione e all’asilo.

Questo articolo è la base giuridica per la decisione del Consiglio n. 2015/1523 del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, e per la decisione n. 2015/1601 del 22 settembre 2015, che istituisce misure provvisorie nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, che hanno previsto un sistema di ricollocamento di 160.000 persone giunte in Italia e Grecia, negli altri Stati membri dell’Unione europea. Queste disposizioni sono temporanee e provvisorie, perché dovrebbero essere in vigore solo per due anni: la Commissione europea ha adottato, successivamente, una proposta per rendere permanenti tali misure, affermando che «l’innesco del sistema di risposta alle emergenze a norma dell’articolo 78, par. 3 del TFUE deve essere il precursore di una soluzione duratura».

Come già sottolineato in dottrina, per comprendere l’uso corretto dei poteri del Consiglio, occorre definire i diversi termini menzionati all’art. 78, par. 3 TFUE: una «situazione di emergenza», «afflusso improvviso», «misura provvisoria». L’idea di una “emergenza” suggerisce una situazione che gli Stati membri trovano particolarmente difficile da affrontare. Per la nozione di provvedimenti provvisori, è facile concludere che si tratti di misure temporanee: la versione precedente di questo articolo, limitava la durata di tali misure a sei mesi, ma il trattato di Lisbona ha rimosso tale limite (per un commento all’art. 78 TFUE, cfr. A. Di Pascale, in A. Tizzano (a cura di), I Trattati dell’Unione europea, Milano, 2016, p. 833 ss.). Ci si è chiesti, inoltre, se tali misure temporanee siano idonee a modificare la legislazione esistente: dal momento che il primo paragrafo dell’art. 78 TFUE menziona la politica comune in materia di asilo, sarebbe incoerente ritenere che il Consiglio non abbia questo potere ai sensi del par. 3.

Contro la decisione 1601/2015 sono stati presentati due ricorsi di annullamento rispettivamente dalla Slovacchia e dall’Ungheria. Nel proprio ricorso, la Slovacchia ha affermato che la decisione n. 2015/1601 del 22 settembre 2015 non poteva essere adottata in base all’art. 78, par. 3, TFUE. Secondo lo Stato ricorrente, infatti, la decisione impugnata ha carattere di un atto legislativo, in virtù del suo contenuto, e avrebbe dovuto, pertanto, essere adottata mediante una procedura legislativa, che non è, invece, prevista dall’art. 78, par. 3, TFUE. Adottando la decisione impugnata, il Consiglio ha quindi violato tale disposizione e violato i diritti dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. L’Ungheria ha sviluppato un’argomentazione simile nel proprio ricorso (per un’analisi dei contenuti del ricorso v. su questa Rivista, A. Di Pascale e M. Di Filippo). In dottrina è già stata criticata l’adozione di un approccio formale e di una rigida interpretazione letterale che porterebbe a concludere per un errato utilizzo dell’art. 78, par. 3, TFUE per l’adozione delle decisioni relative ai sistemi di trasferimento: infatti, questo porterebbe a concludere che il Consiglio non possa adottare un atto legislativo dall’art. 78, par. 3, TFUE, mentre sarebbe legittimato  a farlo in virtù dell’art. 23, par. 2, TFEU, sebbene la procedura stabilita da entrambe le norme sia la stessa.

Ciò dimostra che la Corte di giustizia avrà l’opportunità di interpretare le condizioni stabilite dall’art. 78 TFUE, il suo uso per adottare un atto legislativo o non legislativo e la sua idoneità a modificare atti legislativi precedenti. Inoltre, le nozioni di “situazione di emergenza” e di “afflusso improvviso” potranno essere chiarite.

Purtroppo, la scarsa attuazione da parte degli Stati delle decisioni impugnate (v. ancora A. Di Pascale, in questa Rivista), non può che far dubitare dell’efficacia stessa dello strumento racchiuso nell’art. 78, par. 3, TFUE, forse per la resistenza degli Stati ad accettare un provvedimento adottato in via d’urgenza, secondo un procedimento che non consente agli Stati lo spazio per il dialogo (e la difesa della propria posizione) che caratterizza invece la procedura legislativa.

2.2   L’art. 122 TFUE

Un altro esempio di base giuridica che abilita un intervento dell’Unione in situazioni di emergenza è rappresentato dall’art. 122 TFUE, che al par. 1, afferma: « [f]atta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia», mentre al par. 2 sancisce che «[q]ualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa».

Il primo paragrafo ha un ambito di applicazione piuttosto ampio, che consente un intervento del Consiglio in situazioni di crisi economica degli Stati: le ipotesi menzionate dallo stesso paragrafo, infatti, devono intendersi come mere esemplificazioni e non come una lista chiusa (cfr. F. Sciaudone, Art. 122, in A. Tizzano (a cura di), I Trattati dell’Unione europea, cit., p. 1311). Questo paragrafo deve essere in ogni caso oggetto di un’interpretazione restrittiva, disponendo un intervento del Consiglio in casi eccezionali, al di là degli altri strumenti previsti dai Trattati. Il secondo paragrafo riguarda invece le ipotesi in cui la situazione di difficoltà è limitata ad un singolo Stato e consente al Consiglio di concedere assistenza finanziaria allo Stato in questione. Entrambi i paragrafi devono essere interpretati alla luce del principio di solidarietà, sebbene lo stesso sia espressamente menzionato solo nel primo.

Nella prassi, questa norma è stata la base giuridica per importanti interventi delle istituzioni di reazione alla crisi, a fianco (e talvolta in sostituzione) di interventi operati dagli Stati al di fuori del quadro istituzionale.

È interessante notare che l’art. 122, par. 2, TFUE è stato la base giuridica per il Regolamento del Consiglio 407/2010 che istituisce un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), mentre l’art. 122, par. 1, TFUE del Regolamento (UE) 2016/369 del Consiglio, del 15 marzo 2016, sulla fornitura di sostegno di emergenza all’interno dell’Unione.

Il Regolamento 407/2010, preceduto da un accordo intergovernativo degli Stati dell’Eurozona, si fonda sulla considerazione che la crisi economico finanziaria iniziata nel 2008 è una situazione eccezionale, che sfugge al controllo degli Stati Membri. Il MESF è stato, quindi, creato come misura eccezionale, per consentire all’Unione europea di intervenire per aiutare gli Stati membri in seria difficoltà per la crisi. Il regolamento 407/2010 definisce le regole per fornire assistenza finanziaria agli Stati Membri sotto forma di un prestito o di una linea di credito, sulla base della decisione del Consiglio, su proposta della Commissione. Sulla base del Regolamento 407/2010, l’Unione ha prestato assistenza finanziaria all’Irlanda e al Portogallo. Prima dell’adozione del MESF, gli Stati hanno reagito alla crisi, al fuori degli strumenti comunitari, sebbene in virtù del principio di solidarietà, con la decisione di fornire alla Grecia un supporto finanziario di 80.000.000 euro, insieme al pacchetto previsto dal Fondo Monetario Internazionale di 110.000.000 euro.

Il MESF è stato successivamente sostituito dal Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), creato da un trattato internazionale tra diciassette Stati Membri, sulla base dell’art. 136 TFUE.

Il Regolamento del Consiglio 2016/369 è, invece, diretto a istituire un quadro giuridico per consentire all’Unione di fornire un sostegno di emergenza agli Stati Membri colpiti da catastrofi naturali o provocate dall’uomo.

2.3   La clausola di solidarietà

Il Trattato prevede poi delle regole speciali in caso di attacchi terroristici o di calamità naturali all’art. 222 TFUE. Questa è la clausola di solidarietà, la quale prevede un’azione congiunta di Stati Membri e Unione europea, secondo le condizioni definite da una decisione del Consiglio, sulla base di una proposta congiunta di Commissione e Altro Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune. Il Parlamento europeo è solo informato. Questa clausola non è mai stata attivata: avrebbe potuto farlo la Francia, dopo gli attacchi terroristici del 2015, ma il primo ministro Hollande nel 2015 ha invocato, invece, l’art. 42, par. 7, TEU che prevede un’azione degli Stati Membri senza un coordinamento in seno al Consiglio, garantendo una reazione più immediata (per un’analisi, v. qui).

2.4   Gli atti delegati

Il Trattato di Lisbona ha inserito tra le fonti una nuova categoria di atti, gli atti delegati di cui all’art. 290 TFUE. Si tratta di atti non legislativi di portata generale, adottati dalla Commissione sulla base della delega contenuta in un atto legislativo del Parlamento o del Consiglio, diretti ad integrare e/o a modificare elementi non essenziali dell’atto legislativo stesso. Il Trattato precisa che «gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere».

Nella Convenzione d’intesa tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sugli atti delegati, allegata all’Accordo interistituzionale Legiferare meglio, tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, del 13 aprile 2016, è stata inserita una procedura per l’adozione di atti delegati d’urgenza, riservata a casi eccezionali, quali le questioni di sicurezza, la protezione della salute e della sicurezza, o le relazioni esterne, comprese le crisi umanitarie.
Gli atti delegati adottati con procedura d’urgenza entrano in vigore immediatamente e restano applicabili fintanto che non venga sollevata alcuna obiezione entro il termine indicato nell’atto di base (detta procedura era già prevista nel precedente intesa comune tra Parlamento e Consiglio, del 14 novembre 2011, sugli atti delegati). In caso di opposizione, la Commissione abroga l’atto immediatamente a seguito della notifica della decisione con la quale il Parlamento europeo o il Consiglio hanno sollevato obiezioni.

Occorre, tuttavia, sottolineare che gli atti delegati non sono atti legislativi e che in ogni caso necessitano di una delega, rilasciata con un atto legislativo, la cui adozione potrebbe comportare tempi più lunghi.

  1. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra, è possibile concludere che l’ordinamento giuridico dell’Unione europea prevede delle basi giuridiche che consentono un intervento dell’Unione in situazioni eccezionali, ma occorre continuare a verificare se queste risposte siano sufficientemente adeguate alla necessità di rispondere alle sfide poste all’UE oggi o se sia, invece, necessario continuare a studiare nuove procedure di risposta dell’UE alle situazioni di crisi e di emergenza. La risposta non sempre efficiente dell’Unione europea alle recenti situazioni di emergenza, anche per le difficoltà e le resistenze degli Stati, come sopra illustrato, porta a propendere per la seconda opzione.


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