Le conclusioni dell’Avvocato Generale Sharpston sulle Relocation Decisions: la condanna dei Paesi convenuti per preservare lo Stato di diritto e il principio di solidarietà

1.  Nel dicembre 2017, la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti di tre Stati Membri, Polonia (Causa C-715/17), Ungheria (Causa C-718/17) e Repubblica Ceca (Causa C-719/17), per il mancato rispetto delle obbligazioni loro derivanti da alcune disposizioni contenute nelle Decisioni 2015/1523 e 2015/1601.

Tali decisioni erano state adottate dal Consiglio il 14 e il 22 settembre 2015, sulla base dell’art. 78, par. 3 del TFUE, al fine di offrire adeguato supporto a Grecia ed Italia, sproporzionatamente gravate dagli ingenti flussi migratori registrati nell’estate del medesimo anno. Per questa ragione, era stato istituito un meccanismo di ricollocazione temporanea ed eccezionale, inteso a realizzare il trasferimento, nell’arco di due anni, di un totale di 160.000 richiedenti asilo dai due Paesi di “primo ingresso” verso altri Stati Membri, che divenivano competenti all’esame delle domande di asilo.

Da un lato, la scelta di attivare la facoltà di intervento normativo prevista dall’art. 78, paragrafo 3 del TFUE, fino a quel momento mai utilizzata, ha implicato il riconoscimento da parte dell’Unione dell’esistenza di una “situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi” e, dunque, di una situazione non più sostenibile autonomamente dai singoli Stati membri interessati e necessitante la previsione di misure a supporto di questi ultimi, in attuazione dei principi di solidarietà e leale cooperazione. Tuttavia, dall’altro, l’iniziativa in questione si è scontrata con la persistente ostilità di alcuni Stati membri, concretizzatasi, dapprima, nel voto contrario alla decisione del 22 settembre 2015, espresso da alcuni Paesi riconducibili al c.d gruppo di Visegrad, e successivamente, nei due ricorsi per annullamento, promossi da Repubblica Slovacca e Ungheria, rispettivamente il 2 e il 3 dicembre 2015, sempre contro la decisione del  22 settembre 2015 – entrambi rigettati da una pronuncia della Corte di Giustizia, il 6 settembre 2017 (cause riunite C‑643/15 e C‑647/15). Inoltre, a riconferma della loro contrarietà all’iniziativa, tali Stati si sono completamente o quasi astenuti dal dare attuazione agli obblighi previsti dalle decisioni, determinando il raggiungimento soltanto parziale degli obiettivi fissati dalle stesse.

Dunque, con il ricorso per inadempimento in commento, la Commissione ha contestato la completa violazione da parte di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca della disposizione contenuta nell’art. 5, par. 2 delle decisioni – concernente l’onere per gli Stati membri di indicare, a intervalli regolari e almeno ogni tre mesi, il numero di richiedenti che erano in grado di ricollocare nel proprio territorio -, nonché i conseguenti obblighi riguardanti l’effettiva ricollocazione dei richiedenti asilo (art. 5, par. 4-11). Di contro, i tre Paesi Visegrad hanno contestato l’ammissibilità del ricorso per inadempimento avviato – inammissibilità derivante dalla mancanza di interesse ad agire e da una cattiva amministrazione della giustizia, da una violazione del principio di equo trattamento e del diritto di difesa, nonché del principio di indeterminatezza del petitum -, e, pur ammettendo le allegazioni avanzate dalla Commissione e non mettendo in discussione la validità delle decisioni, hanno giustificato il loro comportamento alla luce dell’art. 72 TFUE, richiamando la loro responsabilità riguardo al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna.

2.  Il 31 ottobre 2019, l’Avvocato Generale, Eleanor Sharpston, ha pubblicato le proprie conclusioni in merito all’esito di suddetta procedura, esprimendo una posizione fortemente critica nei confronti della condotta dei Paesi membri convenuti e rappresentando la centralità del rispetto dello Stato di diritto, nonché dei principi di leale cooperazione e di solidarietà tra Stati membri per l’effettiva realizzazione degli obiettivi dei trattati.

In particolare, si è occupata di verificare l’ambito di applicazione dell’art. 72 TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, par. 2 TUE, con riferimento agli obblighi di ricollocazione discendenti dalle decisioni, avendo gli Stati convenuti rivendicato la prioritaria importanza del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, rispetto all’adempimento degli obblighi derivanti dalle decisioni.

In merito a ciò, ha evidenziato come tali decisioni presupponessero al loro interno sia la necessità di prendere in considerazione la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico per tutta la durata della procedura di ricollocazione, fino al trasferimento effettivo del richiedente (considerando n. 32), sia l’attribuzione agli Stati membri del diritto di rifiutare la ricollocazione di un richiedente qualora sussistessero fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisse un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico nel loro territorio, ovvero qualora vi fossero fondate ragioni per escludere il riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale, secondo quanto previsto dagli articoli 12 e 17 della Direttiva 2011/95/UE (art. 5, par. 7).

Ha dunque sostenuto che le difficoltà di ordine pratico addotte dai convenuti a giustificazione dell’inadempimento contestato, riconducibili alla complessità del controllo di numerose persone in poco tempo, non potessero essere considerate inerenti al meccanismo di ricollocazione e dovevano essere risolte nello spirito di cooperazione e di reciproca fiducia tra le autorità degli Stati membri beneficiari della ricollocazione e quelle degli Stati membri di ricollocazione.

Pertanto, sulla scorta di un’interpretazione dei concetti di “ordine pubblico” e “sicurezza interna” secondo una prospettiva individuale – che presuppone una verifica della condotta personale del singolo individuo al fine di valutare la sussistenza o meno di una minaccia -, l’Avvocato Generale ha sostenuto la compatibilità del meccanismo in commento con l’esigenza di ciascuno Stato di salvaguardare l’ordine pubblico e della sicurezza interna al suo territorio –  e, dunque, di poter agire sulla scorta dell’art. 72 TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, par. 2 TUE -, sottolineando come le decisioni prevedessero la facoltà di rifiutare la ricollocazione di uno specifico soggetto, che potesse ragionevolmente essere considerato una minaccia o potesse comunque essere escluso dal riconoscimento della protezione internazionale. Tant’è che altri Stati, che hanno dovuto far fronte a problemi legati all’adempimento degli obblighi di ricollocazione, in talune occasioni, hanno chiesto ed ottenuto sospensioni temporanee di suddetti oneri.

Sharpston ha anche precisato che il diritto derivato, nell’ambito dell’acquis in materia di asilo, fornisce agli Stati Membri i mezzi necessari per fronteggiare eventuali minacce alla sicurezza nazionale; quindi, il legittimo interesse degli Stati membri a preservare la coesione sociale e culturale poteva essere efficacemente salvaguardato con altri mezzi meno restrittivi di un rifiuto unilaterale e completo di adempiere ai loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione.

Infine, ha fatto richiamo di tre aspetti fondanti l’ordinamento giuridico dell’Unione – lo Stato di diritto, il dovere di leale cooperazione e il principio di solidarietà -, quali pilastri essenziali per il buon funzionamento dell’intero sistema. Nello specifico, ha rimarcato: la centralità dell’effettivo rispetto degli obblighi giuridici derivanti dai trattati e dal diritto secondario, al fine di assicurare il mantenimento di una società governata dallo Stato di diritto – ordine che, invece, appare minato da violazioni come quelle realizzate dai tre Paesi Visegrad; il necessario adeguamento degli ordinamenti nazionali alla disciplina dettata dall’Unione, così da rendere possibile una collaborazione tra Stati membri che possa risultare effettiva e basata sul principio di una mutua fiducia; l’inevitabile esigenza di accettare la condivisione degli oneri, in attuazione del principio di solidarietà.

 


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