Le Conclusioni del Consiglio del 16 dicembre 2014 “Rafforzare lo Stato di diritto”: un significativo risultato dalla Presidenza italiana

1. Il Consiglio (affari generali) dell’Unione, sotto la Presidenza italiana, in occasione della seduta del 16 dicembre 2014, ha adottato le Conclusioni sullo Stato di diritto (“rule of law”). Queste Conclusioni sono il frutto di un’attività condotta pazientemente e con un certo equilibrismo lungo il filo “spinato” rappresentato dall’art. 4 TUE con il corredo dei principi che esso custodisce (principio di competenze di attribuzioni e soprattutto rispetto dell’identità nazionale/costituzionale degli Stati membri). L’iniziativa è apparsa fin dall’inizio come una sfida che ha tentato la quadratura del cerchio intorno all’esigenza di salvaguardare i valori dell’Unione (art. 2 TUE) nel rispetto delle prerogative statali garantite dai Trattati.

Lo Stato di diritto è uno dei valori fondamentali (art. 2), inteso come elemento essenziale dell’identità europea, che le istituzioni europee si sono impegnate non solo a salvaguardare ma anche a promuovere (artt. 3 e 13 TUE). Il Trattato, nel caso di grave violazione (o di rischio di violazione) di uno di quei valori da parte di uno Stato membro, consente l’attivazione di un meccanismo sanzionatorio che rappresenta tuttavia un rimedio estremo, una sorta di “arma letale” mai utilizzata per ora fino alle estreme conseguenze (art. 7 TUE). Nell’ambito della procedura sanzionatoria, il Consiglio detiene un ruolo centrale. Spetta infatti ad esso, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea” e “previa approvazione del Parlamento europeo”. E’ il Consiglio che, prima di procedere a tale constatazione, “ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura”. Inoltre, è il Consiglio che deve verificare regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. Qualora, infine, sia constatata l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori dell’Unione, in base all’articolo 7, paragrafo 3, del TUE, il Consiglio può sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei Trattati, compresi il diritto di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio.

L’iniziativa della Presidenza italiana ha inteso valorizzare ulteriormente il ruolo del Consiglio, ma in una logica essenzialmente preventiva, con l’obiettivo di favorire la diffusione di una cultura dello Stato di diritto nell’Unione europea.

2. Per comprendere la portata dell’iniziativa occorre ricostruire brevemente taluni passaggi che l’hanno preceduta. Innanzitutto, con una lettera del 6 marzo 2013 inviata al presidente della Commissione e alla presidenza (all’epoca irlandese) del Consiglio, i ministri degli affari esteri di Danimarca, Finlandia, Germania e Paesi Bassi (si noti che il ministro degli esteri olandese era all’epoca Timmermans, oggi vice Presidente della Commissione responsabile proprio per il tema della “Rule of law”) sollecitavano una riflessione su un possibile meccanismo per garantire lo Stato di diritto e gli altri valori fondamentali nell’Unione europea.

La prima discussione generale sull’argomento ha avuto luogo nella sessione del Consiglio “Affari generali” del 22 aprile 2013.

Il 6 giugno 2013 il Consiglio “Giustizia e affari interni”, dopo aver affermato che “il rispetto dello Stato di diritto è un presupposto per la protezione dei diritti fondamentali”, invitava la Commissione a “proseguire, in conformità con i trattati, il dibattito sull’eventuale necessità e sulla forma di un metodo sistematico e basato sulla collaborazione per affrontare la questione”.

Nel corso del 2013 e del 2014, il Parlamento europeo ha più volte sollecitato le altre istituzioni dell’Unione ad avviare una riflessione comune sugli strumenti necessari all’Unione per adempiere agli obblighi imposti dal trattato in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, evitando nel contempo qualsiasi rischio di applicazione di due pesi e due misure tra i suoi Stati membri, e ha sottolineato l’importanza di garantire il mantenimento della conformità ai valori fondamentali dell’Unione e ai requisiti della democrazia e dello Stato di diritto (tra le diverse risoluzioni sul tema, si veda in particolare quella del 12 marzo 2014 sulla valutazione della giustizia in relazione alla giustizia penale e allo Stato di diritto).

L’11 marzo 2014 la Commissione ha pubblicato una Comunicazione su un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto. La Comunicazione si concentra sulla fase preliminare all’eventuale esercizio da parte della Commissione del potere di presentare una proposta motivata a norma dell’articolo 7, paragrafi 1 o 2, del TUE, facendo salvo il suo potere di avviare procedure di infrazione a norma dell’articolo 258 del TFUE in caso di violazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE (ivi, p. 5).

Il Consiglio “Affari generali” del 18 marzo 2014 si è limitato a un primo scambio di opinioni sulla Comunicazione, convenendo di tornare sulla questione.

Il 27 maggio 2014, il Servizio giuridico del Consiglio ha reso noto un parere in cui ha espresso riserve di ordine giuridico verso il nuovo quadro proposto dalla Commissione. Il Servizio giuridico denuncia innanzitutto la mancanza di competenza, osservando che non vi è alcuna base giuridica nei Trattati che autorizzi le istituzioni a creare un sistema di supervisione del rispetto dello stato di diritto da parte degli Stati membri, diverso da quello stabilito dall’articolo 7 del TUE. Un nuovo meccanismo richiederebbe o la modifica dei Trattati oppure dovrebbe essere definito nell’ambito di un accordo internazionale (si veda, in tal senso, H. Legal, Keynote address to the General Assembly: the Rule of Law, EUROPEAN LAW INSTITUTE – ELI, Zagreb 2014). Tuttavia, l’ipotesi di un accordo internazionale in materia di rule of law, ispirato al modello del Fiscal compact, ha suscitato anche qualche perplessità nella dottrina (v. C. Closa, D. Kochenov, J.H.H. Weiler, Reinforcing Rule of Law Oversight in the European Union, RSCAS 2014/25 , Global Governance Programme-87); in ogni caso, l’eventuale accordo internazionale non dovrebbe inficiare la possibilità, per l’Unione, di avvalersi delle competenze di cui all’articolo 7 del TUE e agli articoli 258, 259 e 260 del TFUE.

Il programma elaborato dal Trio di presidenze italiana, lettone e lussemburghese del Consiglio, con l’Alto Rappresentante della Politica estera, indica che l’UE ha un ruolo fondamentale da svolgere nella realizzazione del nuovo quadro universale, che dovrebbe fondarsi sulle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale, ambientale) e integrare le questioni relative alla governance, allo Stato di diritto, ai diritti umani, alla parità di genere e alle società pacifiche”. Il programma conferma, in particolare, che nelle relazioni internazionali l’UE continua a sostenere le riforme nei settori dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in diversi paesi terzi e che per essere credibili andrebbe garantito il pieno rispetto dello Stato di diritto, innanzi tutto all’interno dell’UE. In questa linea viene chiarito che il Consiglio “seguirà da vicino i futuri sviluppi di un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto, che mira a risolvere future minacce sistemiche per lo Stato di diritto negli Stati membri prima che si verifichino le condizioni per l’attivazione del meccanismo previsto dall’articolo 7 del TUE”.

3. In questo contesto si colloca l’iniziativa della Presidenza italiana concretizzatasi nelle Conclusioni del 16 dicembre 2014. Le Conclusioni sono state adottate dal Consiglio e dagli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, per evitare dispendiosi e fuorvianti dibatti sull’allocazione della competenza a seconda del settore interessato e soprattutto per rispondere a una precisa richiesta di salvaguardia delle prerogative gelosamente rivendicate da alcuni Stati membri.

La ratio sottesa alle Conclusioni è di favorire la diffusione di una cultura del rispetto dello Stato di diritto nell’Unione europea, che si fondi sul mutuo apprendimento grazie allo scambio delle migliori pratiche nazionali. Non si è voluto creare un nuovo meccanismo di monitoraggio ed è stato escluso un qualsiasi intento persecutorio o punitivo da parte del Consiglio.

Gli Stati membri si sono pertanto impegnati ad instaurare in seno al Consiglio un dialogo nell’ottica di promuovere e garantire lo Stato di diritto nel rispetto delle norme dei Trattati. Le Conclusioni ribadiscono che l’iniziativa non pregiudica il rispetto del principio dell’attribuzione delle competenze (artt. 4 e 5 TUE), dell’identità nazionale degli Stati membri insita nelle loro strutture politiche e costituzionali fondamentali (art. 4 n. 2 TUE) e deve svilupparsi in ossequio al principio di leale cooperazione, inteso in tutte le sue proiezioni, quindi riferito ai rapporti tra gli Stati, tra questi e le istituzioni e tra queste ultime (art. 13 TUE).

E’ inoltre sottolineato che il dialogo dovrà basarsi sui principi di obiettività e non discriminazione, assicurando la parità di trattamento tra tutti gli Stati membri. Al fine di scongiurare strumentalizzazioni, esso dovrà basarsi su un approccio imparziale e su elementi fattuali desumibili da fonti affidabili. Si intende così scongiurare il rischio di creare uno strumento persecutorio nei confronti di taluni Stati.

Dal canto suo, il Consiglio intende operare nel rispetto del principio di complementarietà con le altre istituzioni dell’Unione (in particolare con la Commissione) e con le altre organizzazioni internazionali attive nel settore (segnatamente con il Consiglio d’Europa). In una logica di semplificazione, il Consiglio mira ad evitare duplicazioni procedurali e, per questa ragione, auspica un utilizzo sinergico di tutti gli strumenti e delle informazioni disponibili in materia di Stato di diritto. Gli esempi, in tal senso, sono molteplici. Si pensi, in primo luogo, all’EU Justice Scoreboard della Commissione europea, uno strumento volto a rafforzare il funzionamento dei sistemi giudiziari nazionali attraverso la comparazione e la condivisione di best practices. Per quanto tale strumento sia, al momento, limitato all’esame della qualità, dell’indipendenza e dell’efficienza della magistratura, esso potrebbe essere conoscere uno sviluppo più generale in futuro (si vedano le Questions & Answers: EU Justice Scoreboard del 27 marzo 2013). Inoltre, meritano di essere menzionate le iniziative dell’Agenzia dell’Unione europea dei diritti fondamentali (FRA; per un suo recente simposio sul tema del rispetto della rule of law, si veda qui), del Consiglio d’Europa e, in particolare, della Commissione di Venezia (soltanto nel 2013, il Consiglio d’Europa ha prodotto almeno 46 Rapporti concernenti gli Stati membri dell’Unione: v. qui, pp. 236-237) nonché, infine, delle Nazioni unite (nel 2013 si contano almeno 25 rapporti relativi agli Stati membriadottati in tale contesto; ivi, pp. 244-245).

Quanto alle modalità del dialogo, gli Stati convengono che esso si terrà una volta l’anno in seno al Consiglio nella formazione “Affari generali” e sarà preparato dal Coreper. Oltre al dibattito annuale, il Consiglio, in presenza di circostanze particolari, potrà comunque decidere di avviare dibattiti su tematiche specifiche. Spetterà alla Presidenza del Consiglio assicurare il pieno rispetto dei principi che devono guidare il dialogo (obiettività, non discriminazione, parità di trattamento, imparzialità e complementarietà).

E’ stato convenuto di valutare i risultati dell’iniziativa ed eventualmente di avviare una riflessione per rivedere le modalità del dialogo entro il 2016.

4. Le Conclusioni del Consiglio del 16 dicembre racchiudono un potenziale di cui è ancora difficile prevedere lo sviluppo. Merito sicuramente ascrivibile alla Presidenza è quello di aver portato la questione al centro degli interessi del Consiglio, di aver collocato quest’ultimo nel panorama istituzionale e di aver posto le basi per avviare un dialogo tra tutti gli Stati membri, riuscendo a convincere anche i più recalcitranti. E’ importante sottolineare che l’iniziativa non intende creare un nuovo meccanismo, ma mira a favorire nell’ambito della normativa vigente un dibattito politico in seno al Consiglio destinato ad esprimere una forza persuasiva sugli Stati membri, in grado di prevenire e di eliminare la necessità di fare ricorso all’utilizzo della procedura sanzionatoria dell’art. 7 TUE.

Spetterà alle Presidenze future del Consiglio promuovere il dialogo, assicurarne il corretto svolgimento sulla base dei principi ricordati e favorire un sapiente utilizzo sinergico della pluralità di fonti rinvenibili in materia nel panorama europeo e internazionale (si veda, a proposito, il rapporto redatto da L. Moxham, J. Stefanelli, Safeguarding the Rule of Law, Democracy and Fundamental Rights: A Monitoring Model for the European Union, 2013, p. 33). Per assicurare un maggiore grado di efficacia e superare la parzialità e la frammentarietà di questi strumenti, sarebbe importante un coordinamento delle attività riferibili ai vari soggetti coinvolti (in particolare, Commissione, FRA e Consiglio d’Europa) e comunque un momento di sintesi dei risultati delle stesse.

Per quanto riguarda le condizioni temporali, come si è detto, in aggiunta al dialogo annuale, il Consiglio potrà proporre un dialogo occasionale, in ragione di una specifica tematica che riguardi orizzontalmente tutti gli Stati oppure di una situazione di emergenza o patologica particolare, possibilità quest’ultima respinta dagli Stati timorosi di un intento persecutorio.

In definitiva, considerata la cadenza (annuale) del dialogo e i criteri di organizzazione delle Presidenze (definite nella formula del trio), è ragionevole attendersi un seguito fortunato dell’iniziativa italiana: in particolare, le presidenze di Paesi considerati tradizionalmente “amici della rule of law” come Lussemburgo (secondo semestre 2015) e Olanda (primo semestre 2016) potrebbe imprimere un impulso concreto al dialogo. Le Conclusioni del 16 dicembre possono essere viste così come un seme che, per quanto gettato su un terreno tradizionalmente poco fertile, perché confinante con le sfere più gelosamente custodite dagli Stati, potrà dare frutti propizi al processo di integrazione europea.


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