L’attuazione in Italia della decisione quadro sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle sanzioni pecuniarie

1. Con il decreto legislativo 16 febbraio 2016, n. 37, è stata data attuazione alla decisione quadro 2005/214/GAI, del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie nell’Unione europea, così come stabilito dall’art. 18, lett. c), della legge 9 luglio 2015, n.114 (v. già, in questa Rivista, Amalfitano). Grazie alla nuova disciplina, sarà possibile ottenere, con procedure semplificate, l’esecuzione in un altro Stato membro di provvedimenti di autorità giudiziarie o amministrative italiane che comminano sanzioni pecuniarie; ovvero sarà data esecuzione, nel nostro ordinamento, ad eguali decisioni che provengono da autorità di un altro Stato membro, sempreché siano compatibili con i nostri principi costituzionali in tema di diritti fondamentali, di libertà e di giusto processo.

In sostanza, si tratta di una ulteriore “concretizzazione” del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie diretto a favorire, sulla base della reciproca fiducia, non solo la piena attuazione dei principi di libertà e di libera circolazione, ma soprattutto le imprescindibili esigenze di giustizia, consentendo di attivare il recupero di importi nei confronti di cittadini residenti all’estero.Invero, l’obiettivo che traspare con sufficiente evidenza è quello di non lasciare impuniti taluni reati, consentendo di avvalersi del patrimonio delle persone fisiche o giuridiche sanzionate, indipendentemente dallo Stato membro dove esso è situato. Altrettanto rilevante è la possibilità che attraverso il nuovo meccanismo possa aumentare il tasso di riscossione delle sanzioni pecuniarie, attualmente attestato su livelli molto bassi.

2. L’ambito di applicazione del decreto legislativo è esteso ad ogni decisione definitiva, con la quale sia inflitta una sanzione pecuniaria, ad una persona fisica o giuridica. Vale a dire che la decisione deve essere irrevocabile e, dunque, non più impugnabile tramite mezzi ordinari di ricorso oppure, qualora il ricorso sia ancora proponibile, non deve avere effetto sospensivo. Più precisamente, il d. lgs. n. 37/2016 riguarda le decisioni rese da un’autorità giudiziaria che ha emesso un provvedimento penale di condanna oppure da un’autorità diversa dall’autorità giudiziaria per un reato contemplato dalla legislazione, oppure da un’autorità diversa dall’autorità giudiziaria, che si è pronunciata in merito a una violazione amministrativa, sempreché alla persona interessata sia stata offerta la possibilità di essere giudicata da un’autorità giudiziaria, competente in materia penale.

L’art. 2, lett. b), precisa che per sanzione pecuniaria va intesa l’obbligazione a pagaretantouna somma di denaro a titolo di pena irrogata a seguito di condanna, ovvero quale pagamento delle spese procedimentali giudiziarie o amministrative connesse alla decisione, oppure a favore di un fondo pubblico o un’organizzazione di assistenza delle vittime, imposta dalla stessa decisione di condanna; quanto il risarcimento delle vittime prescritto dalla medesima decisione, allorché la vittima non sia parte civile nel processo penale. È di palmare evidenza che, trattandosi di sanzione fissata a seguito di condanna, essa sarà precisamente determinata ed esigibile.

L’art. 3 del decreto legislativo individua, poi, nel Ministero della giustizia e nell’autorità giudiziaria, le autorità competenti alla trasmissione o alla ricezione amministrativa delle decisioni.

3. Con riferimento agli aspetti procedurali, il decreto legislativo distingue l’ipotesi in cui lo Stato italiano sia lo Stato della decisione (Capo II – Trasmissione all’estero), da quella in cui sia lo Stato di esecuzione (Capo III – Trasmissione dall’estero).

Nel primo caso, la procedura è incentrata sulla compilazione di un “certificato”, il cui modello è allegato allo stesso atto. In particolare, è il pubblico ministero presso il tribunale che ha emesso la decisione sulle sanzioni pecuniari, o nel cui circondario ha sede l’autorità amministrativa che si è pronunciata in merito alla sanzione amministrativa, a dover trasmettere la decisione relativa alle sanzioni pecuniarie all’autorità competente dello Stato membro in cui la persona condannata dispone di beni o di un reddito, ovvero risiede e dimora abitualmente, ovvero, se persona giuridica, ha la propria sede legale (art. 4). La trasmissione deve essere effettuata nel momento in cui la decisione sia divenuta definitiva, previa traduzione del testo del certificato nella lingua dello Stato di esecuzione.Nell’ipotesi in cui l’autorità dello Stato di esecuzione non fosse nota, spetterà all’autorità giudiziaria svolgere gli accertamenti per individuarla, anche ricorrendo alla rete giudiziaria europea. Qualora poi fossero competenti le autorità di più Stati, la decisione ed il certificato dovranno essere trasmessi ad uno Stato di esecuzione per volta, così da garantire il rispetto del principio ne bis in idem ed evitare l’inutile duplicazione di procedure sanzionatorie. La trasmissione dovrà avvenire tramite un mezzo che lasci una traccia scritta, affinché lo Stato richiesto possa verificarne l’autenticità.

Se l’autorità dello Stato di esecuzione riconosce la decisione sulle sanzioni pecuniarie, l’autorità italiana non dovrà procedere all’esecuzione. Per converso, essa dovrà procedere all’esecuzione: i) se lo Stato di esecuzione comunica la sua mancata esecuzione, sia totale sia parziale; ii) nell’ipotesi in cui l’autorità dello Stato di esecuzione della decisione rifiuti il riconoscimento e l’esecuzione, anche per violazione dei diritti fondamenti o dei principi giuridici fondamentali dell’Unione europea, tranne il caso in cui il rifiuto sia dovuto all’esistenza di altra decisione, per gli stessi fatti nei confronti della stessa persona, nello Stato di esecuzione o in diverso Stato e, in tale ultimo caso, tale decisione abbia ricevuto esecuzione; iii)qualora la persona condannata ottenga l’amnistia o la grazia.

Inoltre, il pubblico ministero è tenuto a richiedere all’autorità competente dello Stato della decisione la deduzione dei pagamenti già sostenuti dalla persona condannata che ne abbia fornito la prova.

4. Nel secondo caso, qualora cioè lo Stato italiano sia chiamato a dare esecuzione ad una decisone sulle sanzioni pecuniarie adottata da autorità di altro Stato membro, la competenza a decidere sul riconoscimento spetta alla Corte di appello nel cui distretto la persona condannata dispone di beni o di un reddito, ovvero risiede e dimora abitualmente, ovvero, se persona giuridica, ha la propria sede legale nel momento in cui il provvedimento è trasmesso dall’estero (art. 8, par. 1). Qualora tale Corte dovesse riscontare motivi di incompetenza, allora con ordinanza trasmetterà gli atti alla Corte di appello competente e ne darà comunicazione, anche tramite il Ministero della giustizia, all’autorità dello Stato di decisione.

È importante notare che, affinché la Corte di appello riconosca una decisione sulle sanzioni pecuniarie, devono sussistere due condizioni: l’una di carattere soggettivo, relativa alla persona che ha commesso il reato; l’altra di carattere oggettivo, relativa alla configurazione del fatto medesimo. Specificamente, occorre che la persona disponga sul territorio italiano di beni o di un reddito, ovvero vi risieda e dimori in modo abituale, o vi abbia la propria sede legale. In secondo luogo, è necessario che il fatto all’origine della decisione di condanna sia previsto come reato dal nostro ordinamento, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione, tranne per i reati espressamente elencati all’art. 10 del decreto legislativo, e che la natura e l’entità delle sanzioni pecuniarie di cui è chiesto il riconoscimento siano compatibili con la nostra legislazione.

Va altresì segnalato che il decreto legislativo in esame conferma l’abolizione del principio della doppia incriminazione (o doppia punibilità) per l’esecuzione delle decisioni penali degli Stati membri, introdotta dalla Convenzione del 1996 sull’estradizione tra gli Stati membri e ribadita successivamente dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo che, come noto, ha reso decisamente più agevole l’accettazione degli esiti dell’attività giurisdizionale estera espletata nel rispetto di regole simili a quelle nazionali, impedendo al reo di un fatto previsto come reato dalla legge del luogo in cui sia stato commesso, di sfuggire alla punizione, rifugiandosi in un Paese in cui quel fatto non sia previsto come reato.

In perfetta sintonia con quanto appena osservato, all’art. 10 del decreto legislativo è contenuto un elenco di trentanove reati che danno luogo, senza verifica della doppia punibilità del fatto, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni nel nostro ordinamento.

Il procedimento di riconoscimento trova puntale e precisa disciplina nell’art. 11 del decreto legislativo in parola che dà mandato al Procuratore generale presso la Corte di appello competente di presentare, alla stessa Corte, un’apposita richiesta di riconoscimento della decisione da eseguire nel nostro Stato. Il giudizio innanzi a tale Corte si svolge nelle forme della camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 c.p.p. e va concluso entro il termine di venti giorni dalla data di ricevimento della decisione. Tale termine, però, può essere prorogato di trenta giorni per circostanze eccezionali, ovvero può essere sospeso, qualora la Corte di appello dovesse riscontare un’incompletezza nella documentazione ricevuta e dovesse chiedere, anche per il tramite del Ministero di giustizia, allo Stato della decisione di trasmettere un nuovo certificato.

Una volta adottata, la decisione di riconoscimento è trasmessa al Procuratore generale per l’esecuzione. Avverso di essa è ammesso ricorso per Cassazione, analogamente a quanto già previsto dalla legge 22 aprile 2005, n. 69 in materia di esecuzione del mandato di arresto europeo; in tal caso il termine per il riconoscimento è prorogato di trenta giorni.

Le autorità dello Stato di emissione saranno adeguatamente informate del riconoscimento e riceveranno copia della relativa decisione. Se, invece, il riconoscimento è negato, il relativo provvedimento deve essere trasmesso allo Stato di esecuzione ritenuto competente e, al contempo, sarà data comunicazione allo Stato di emissione, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta.

5. I motivi che autorizzano la Corte di appello a rifiutare il riconoscimento e, quindi, l’esecuzione della decisione sulle sanzioni pecuniarie sono elencati nell’art. 12. Innanzitutto, ciò può accadere qualora non si riscontrino i requisiti necessari per il riconoscimento o qualora il certificato non sia stato prodotto, non sia completo o non corrisponda alle caratteristiche stabilite. Inoltre, il rifiuto può essere opposto allorché una decisione identica nel contenuto e nel destinatario sia già stata emanata, oppure se i reati in essa contemplati si riferiscano ad atti che non costituiscano reato nel nostro Stato, ovvero qualora la sanzione sia caduta in prescrizione anche ai sensi della legge italiana.

Conformemente alla c.d. clausola di territorialità, è possibile negare altresì l’esecuzione allorquando la decisione riguardi atti che siano stati compiuti anche solo in parte nel territorio italiano. Ed ancora se gli atti siano compiuti al di fuori del territorio dello Stato della decisione e, in tali ipotesi, il nostro ordinamento non contempli l’azione penale. In egual misura, può essere opposto il rifiuto qualora la legge italiana preveda un’immunità che renda impossibile l’esecuzione della decisione; oppure la sanzione sia stata inflitta ad una persona che, a causa dell’età, non possa essere considerata penalmente responsabile per gli atti imputati.

La Corte di appello può altresì rifiutare il riconoscimento della decisione allorché la persona interessata, in caso di procedura scritta, non sia stata informata del suo diritto di opporsi al procedimento e dei termini di prescrizione; oppure non sia comparsa personalmente ed il certificato non dichiari esplicitamente che sia stata informata del procedimento, direttamente o tramite rappresentante competente, nel rispetto della legislazione dello Stato della decisione o che abbia deciso di non opporsi.

Il diniego di riconoscimento ed esecuzione della decisione può essere opposto, poi, per esiguità dell’importo della sanzione (inferiore a 70 euro). Va segnalato che la non esecuzione di sanzioni di scarsa entità potrebbe essere interpretata in modo errato, lasciando intendere che le ammende per taluni reati commessi all’estero possano essere evase una volta oltrepassata la frontiera, a discapito della realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. D’altro canto, però, sarebbe poco ragionevole mettere in atto un procedimento di esecuzione internazionale che comporterebbe spese processuali superiori all’ammenda stessa.

Infine, tra i motivi di diniego del riconoscimento e dell’esecuzione va rammentata la clausola generale di ordine pubblico e di garanzia del diritto di difesa contenuta nell’art. 6 TUE. Infatti, all’art. 20, par. 3, è espressamente previsto che il reciproco riconoscimento debba avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto.

Qualora la decisione sulle sanzioni pecuniarie trasmessa da autorità di altro Stato membro sia riconosciuta dalla Corte di appello competente, il procuratore generale procederà all’esecuzione. In ogni caso, tale Corte è competente a fissare un ammontare minore della sanzione nell’ipotesi in cui essa sia superiore al massimo edittale previsto, dalla nostra legislazione, per la commissione di atti dello stesso tipo. Allo stesso modo la medesima Corte può sottrarre, dall’ammontare complessivo della sanzione, eventuali somme già pagate e può comminare sanzioni alternative come prescritto dalla nostra normativa, qualora sia impossibile dare esecuzione, totalmente o parzialmente, alla decisione adottata da autorità di altro Stato membro.

Le somme riscosse competono allo Stato italiano, tranne nell’ipotesi in cui disponga diversamente un accordo con l’autorità dello Stato della decisione.


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