L’assistenza consolare (e diplomatica?) del cittadino dell’Unione negli Stati terzi: prospettive attuali e future

1. Introduzione

Dalla sua istituzione, col trattato di Maastricht, ai giorni nostri, l’idea e il significato di una cittadinanza europea, nonché i diritti che da essa discendono, sono divenuti un patrimonio comune dei cittadini europei. Come ricordato anche dal Commissario europeo per la giustizia, la tutela dei consumatori e le pari opportunità, Věra Jourová, nella Relazione 2017 sulla cittadinanza dell’Unione: «87% of Europeans are aware of their status as EU citizen, which is more than even before.» Tuttavia, «awareness of certain EU citizenship rights, such as the right to consular protection, remains low».

Un simile scenario, peraltro, si evince anche dal rapporto Eurobarometro sulla cittadinanza dell’Unione, secondo il quale “solo” il 72% dei cittadini europei è a conoscenza del loro diritto di ricevere assistenza consolare e diplomatica in un Paese terzo, nel quale il proprio Paese non è rappresentato. Quasi del tutto in linea con il dato europeo è quello del nostro Paese, dato che 7 italiani su 10 dichiarano di conoscere il diritto in parola.

Questi numeri, se appaiono confortanti rispetto alla vulgata tradizionale – secondo la quale il diritto in esame è scarsamente conosciuto da parte dei cittadini europei – ciò nondimeno confermano la tesi che vede il diritto alla tutela diplomatica e consolare come il più problematico e il meno realizzato tra quelli enunciati all’art. 20 TFUE.

La ragione di questo stato di cose non può che ritrovarsi nella genesi e nella formulazione del diritto in parola – che è il risultato di una serie di compromessi, al ribasso, rispetto al testo dell’originaria proposta – nonché in un’intrinseca ambiguità di fondo circa il contenuto del diritto accordato e garantito al cittadino europeo. Occorre, pertanto, come suggerito dal titolo della Tavola rotonda, ai cui atti questo scritto è destinato, ricordare il passato per immaginare il futuro.

2. Ricordare il passato

È noto che i prodromi del diritto del cittadino europeo non rappresentato alla tutela consolare e diplomatica da parte delle autorità di qualsiasi altro Stato membro si trovano nelle conclusioni del comitato ad hoc per «l’Europa dei cittadini» – c.d. comitato Adonnino, dal nome dell’Eurodeputato italiano che lo presiedeva, istituito dal Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984 – presentate al Consiglio europeo di Milano del 28-29 giugno 1985. Tale comitato propose l’adozione di norme che garantissero ai cittadini degli Stati membri – sprovvisti, nel territorio di un Paese terzo, di una rappresentanza del proprio Stato – il diritto di chiedere protezione o assistenza presso le rappresentanze consolari di qualsiasi altro Stato membro.

Alla conferenza intergovernativa incaricata di negoziare il testo del trattato di Maastricht fu proposta, da parte della presidenza spagnola e della Commissione, l’adozione di una disposizione, affinché «ogni cittadino dell’Unione» potesse godere «nel territorio degli Stati terzi della protezione dell’Unione, così come di qualunque Stato membro alle stesse condizioni degli altri cittadini dello Stato».

Tale proposta – definita rivoluzionaria tanto perché attribuiva all’Unione la facoltà di esercitare il diritto di protezione nei confronti dei suoi cittadini, quanto perché garantiva al cittadino dell’Unione il diritto di chiedere protezione presso le rappresentanze di qualsiasi Stato membro, indipendentemente dal fatto che il proprio Paese fosse rappresentato nel territorio dello Stato in cui si trovava – fu tuttavia oggetto di negoziati e fu modificata, ridimensionando l’oggetto del diritto accordato.

Infatti, l’art. 8C TCE disponeva che «ogni cittadino dell’Unione gode, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte dell’autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato». Inoltre, si prevedeva che, entro la data del 31 dicembre 1993, gli Stati membri concordassero tra loro le disposizioni necessarie per garantire la tutela del diritto e avviassero i negoziati internazionali per stabilire con i Paesi terzi gli accordi necessari.

Tale disposizione, se, da un lato, era dotata di un forte valore simbolico – giacché rappresentava la dimensione esterna della cittadinanza europea – dall’altro lato ha subito mostrato parecchie difficoltà interpretative e applicative.

In primo luogo, il termine del 31 dicembre 1993 previsto dal trattato è stato disatteso ed è stato espunto dai successivi trattati di revisione. In secondo luogo, si è discusso se la norma in questione configurasse la tutela consolare e diplomatica quale diritto soggettivo del cittadino europeo o quale prerogativa degli Stati membri o dell’Unione europea. Infine, l’art. 8C non conferiva alle istituzioni comunitarie alcuna competenza ad adottare atti tipici vincolanti.

Tuttavia, le incertezze più rilevanti riguardavano l’oggetto stesso del diritto garantito dal trattato. Dalla lettera della disposizione in esame, infatti, non appariva chiaro se il cittadino non rappresentato beneficiasse solamente del diritto di tutela e assistenza consolare o anche della protezione diplomatica propriamente detta. Inoltre, indefinito era anche il contenuto del diritto, dal momento che esso dipendeva dal livello di tutela accordata ai propri cittadini dallo Stato interveniente.

A livello del diritto primario, i successivi trattati di Amsterdam e di Nizza non hanno apportato modifiche significative alla disposizione in esame. Inoltre, anche l’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea disciplina il diritto in parola nei medesimi termini.

Sul piano del diritto secondario, che risulta particolarmente scarno, è fondamentale richiamare la decisione 95/553/CE, adottata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, che pone in essere una disciplina minima in tema di assistenza consolare.

Innanzitutto, la decisione chiarisce che il diritto garantito è quello all’assistenza consolare. Infatti, l’art. 5 par. 1 elenca, in modo non tassativo, le situazioni in cui le autorità diplomatiche o consolari degli Stati membri forniscono assistenza consolare al cittadino europeo non rappresentato. Si tratta, in specie, dei casi di: decesso, incidente, malattia grave, arresto o detenzione. Sono altresì previsti sia l’aiuto e il rimpatrio dei cittadini dell’Unione in difficoltà, sia l’assistenza alle vittime di atti di violenza.

Quanto all’ambito di applicazione soggettivo, la decisione adotta una definizione particolarmente restrittiva di cittadino non rappresentato, dal momento che tale circostanza dipende dall’assenza di qualsiasi rappresentanza, diplomatica o consolare, dello Stato membro di cittadinanza o di un altro Stato membro che lo rappresenti permanentemente. Viene ribadito il principio di non discriminazione fondato sulla cittadinanza e si prevedono minimi meccanismi di coordinamento tra le autorità dello Stato che presta assistenza e quelle dello Stato di cittadinanza per il rimborso degli aiuti pecuniari.

Infine, il quadro normativo è completato dalla decisione 96/409/PESC, relativa al rilascio di un documento di viaggio provvisorio, a favore di cittadini dell’Unione non rappresentati, che abbiano perso il loro documento di viaggio.

3. Il diritto vigente

La mancanza di una base giuridica che attribuisse competenze alla Comunità per l’adozione di atti tipici vincolanti, la scarsa effettività della tutela delineata dalle richiamate decisioni, la necessità di acquisire – in ogni caso – un consenso da parte degli Stati terzi e, soprattutto, la constatazione della fragilità del sistema di fronte a eventi gravi e seri – come ad esempio i nuovi scenari di crisi internazionale (Siria, ISIL, Libia) e le numerose calamità naturali (basti ricordare gli tsunami del 2004 e del 2011, rispettivamente nell’Oceano indiano e in Giappone) – costituiscono i motivi che hanno condotto a una (timida) evoluzione della disciplina in materia.

In una prima direzione, il trattato di Lisbona è intervenuto sul piano del diritto primario. L’attuale art. 23 TFUE, prevede infatti, da un lato, un obbligo per gli Stati di adottare le disposizioni necessarie per garantire la tutela diplomatica e consolare, e attribuisce al Consiglio, dall’altro lato, la competenza ad adottare, secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, direttive che stabiliscono le misure di coordinamento e cooperazioni necessarie per facilitare tale tutela.

La seconda direzione, frutto di questa nuova base giuridica e di un elaborato iter legislativo, è la direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio. Tale strumento, che abrogherà dal 1° maggio 2018 la decisione 95/553/CE, pur ponendosi nel solco della disciplina vigente – in quanto non ne muta le caratteristiche di fondo –costituisce un importante approfondimento della tutela garantita al cittadino europeo.

In primo luogo, infatti, viene ampliato l’ambito di applicazione soggettivo. Non solo risulta più ampia la nozione di cittadino non rappresentato – dal momento che tale status non dipende più dalla mera assenza di una rappresentanza del proprio Stato sul territorio del Paese terzo, ma anche dal fatto che una rappresentanza del proprio Stato non sia in grado di fornire efficacemente tutela consolare in un determinato caso, in ragione, ad esempio, della sua lontananza o inaccessibilità (v. il combinato disposto artt. 4 e 6, letti anche alla luce del cons. n. 8) – ma vengono anche prese in considerazione le posizioni dei familiari, cittadini di Stati terzi, del cittadino dell’Unione (art. 5).

La direttiva, poi, prevede la possibilità di nuove forme, istituzionalizzate, di cooperazione e coordinamento in capo alle rappresentanze degli Stati membri presenti in un Paese terzo. Da un lato, gli artt. 11 e 12 dispongono che queste possano cooperare tra loro, anche per la predisposizione di piani di emergenza locali da condurre sotto l’egida di uno Stato guida. Dall’altro lato, l’art. 10 le pone in relazione con le eventuali delegazioni dell’Unione presenti in detto Paese, che offrono sostegno logistico alle rappresentanze degli Stati membri, oltre a favorire lo scambio delle informazioni.

La direttiva, inoltre, prevede delle procedure finanziarie più articolate (rispetto a quelle contenute nella decisione del 1995), che si differenziano a seconda che lo Stato di assistenza conceda un aiuto “ordinario” al cittadino non rappresentato – che, in questo caso, è tenuto a sottoscrivere il modulo di promessa di restituzione dei costi per la tutela consolare – o si trovi ad accordare una forma di assistenza, che comporti comunque un esborso finanziario, in situazioni di crisi.

La direttiva, per contro, non interviene sui tipi di assistenza consolare e riprende, riformulandolo, il contenuto dell’art. 5 della decisione del 1995. Infatti, ai sensi dell’art. 9 è prevista l’assistenza consolare: in caso di arresto o detenzione; qualora il richiedente sia vittima di reato; in caso di incidente o malattia grave; in caso di decesso; qualora il richiedente necessiti di aiuto e di essere rimpatriato in caso di emergenza. A queste situazioni si aggiunge l’assistenza relativa al rilascio di documenti di viaggio provvisori di cui alla decisione 96/409/PESC.

La direttiva deve essere recepita, ex art. 17, entro il 1° maggio 2018. Per quanto concerne la sua attuazione da parte dell’Italia, si segnala che la legge di delegazione europea 2015 (l. 12 agosto 2016 n. 170) ha conferito, a tal fine, una delega al Governo. Oltre agli usuali criteri direttivi (contenuti negli artt. 31 e 32 della l. 24 dicembre 2012 n. 234), l’art. 6 della legge di delegazione europea richiamata prevede un criterio specifico, ossia quello di «prevedere che la promessa di restituzione dei costi per la tutela consolare, sottoscritta, alle condizioni previste dall’articolo 14 della direttiva (UE) 2015/637, da un cittadino italiano innanzi all’autorità diplomatica o consolare di un altro Stato membro, [abbia] efficacia di titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro determinate o determinabili in essa contenute». Peraltro, ciò è in linea con quanto già previsto dal d.lgs. 3 febbraio 2011 n. 71 sull’ordinamento e le funzioni degli uffici consolari, il cui art. 24 comma 2 dispone che la promessa di restituzione sottoscritta dal cittadino italiano costituisce titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 cod. proc. civ.

Sempre con riferimento all’ordinamento italiano e alla sua adeguatezza a garantire il diritto in parola, si ricorda che il d.lgs. 71 del 2011 contiene due disposizioni che impongono alle nostre autorità consolari di prestare assistenza ai cittadini europei non rappresentati (anticipando, in tal modo, profili di conformità del nostro ordinamento agli obblighi imposti della direttiva del 2015). Da un lato, l’art. 23 comma 2 prevede che il capo dell’ufficio consolare «rilascia un documento provvisorio conforme alla normativa europea… ai cittadini dei Paesi membri dell’unione europea, in assenza di una loro rappresentanza consolare o diplomatica».

Dall’altro lato, l’art. 27, di chiusura del capo III, relativo alle funzioni di protezione ed assistenza, sussidi e rimpatri, prescrive che l’ufficio consolare presta assistenza ai cittadini dell’Unione, ai sensi delle vigenti disposizioni.

Infine, occorre ribadire che la tutela consolare fornita ai cittadini non rappresentati è effettiva solo se il Paese terzo esprime il proprio consenso a che uno Stato ivi rappresentato accordi assistenza anche ai cittadini di un altro Stato. In questa prospettiva, la Commissione raccomanda caldamente l’adozione, nei trattati conclusi dall’Unione o dagli Stati membri con Paesi terzi, delle cd. consular consent clause, necessarie per garantire il godimento del diritto in parola.

Un esempio è costituito dall’art. 39 dell’accordo quadro tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e l’Australia, dall’altra, secondo il quale «1. L’Australia conviene che le autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro rappresentato in Australia possono esercitare la tutela consolare per conto di altri Stati membri che non dispongano di una rappresentanza permanente accessibile sul suo territorio. 2. L’Unione e gli Stati membri convengono che le autorità diplomatiche e consolari dell’Australia possono esercitare la tutela consolare per conto di un Paese terzo e che i paesi terzi possano esercitare la tutela consolare nell’Unione per conto dell’Australia in luoghi in cui l’Australia o il paese terzo interessato non dispongano di una rappresentanza permanente accessibile».

Clausole di analogo tenore sono previste anche nelle nuove convenzioni consolari concluse dall’Italia. Così, ai sensi dell’art. 61 comma 2 della convezione consolare con la Moldova «…i funzionari consolari della Repubblica Italiana possono esercitare nel territorio della Repubblica di Moldova funzioni consolari a favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione [e]uropea che non abbiano uffici consolari nella circoscrizione di competenza di detti funzionari»

4. Immaginare il futuro

Dopo aver tratteggiato l’attuale disciplina del diritto alla protezione consolare del cittadino non rappresentato in un Paese terzo non resta che cercare di immaginare in quali direzioni si muoveranno tanto il legislatore dell’Unione europea, quanto gli Stati membri.

Da un lato, constatato che, attualmente, il contenuto del diritto garantito dall’art. 23 TFUE risulta essere la sola protezione consolare, pare arduo prospettare l’adozione, da parte del Consiglio, di norme volte al coordinamento delle discipline nazionali in materia di protezione diplomatica, istituto questo che si fonda su presupposti e ratio affatto differenti da quelli della tutela consolare. Tuttavia, una simile evoluzione non può essere del tutto esclusa a priori, sol che si pensi all’ampliamento delle competenze dell’Unione in materia di investimenti diretti esteri e a quanto stabilito dal Tribunale nella (peraltro isolata) sentenza 6 luglio 1995, causa T-572/93, Odigitria.

È invece probabile che l’Unione prosegua l’approfondimento e l’ampliamento della cooperazione in materia di tutela consolare. Al riguardo, si segnala la costituzione di un gruppo di esperti sul diritto dei cittadini non rappresentati alla protezione consolare all’estero, che si è già riunito due volte per discutere principalmente, per il momento, del recepimento della direttiva del 2015. Non è escluso, infatti, che in tale sede si possano prospettare, in futuro, nuove e più incisive forme di tutela.

Inoltre, l’attuale – e perdurante – congiuntura economica negativa potrebbe costituire uno stimolo a che Stati in difficoltà economica o Stati di medie o piccole dimensioni razionalizzino, anche grazie al diritto di cui si discute, la loro rete consolare fuori dall’Unione europea.

Funzionale al godimento del diritto in parola è anche il Piano di azione per rafforzare la risposta europea alle frodi riscontrate nei documenti di viaggio, soprattutto nella misura in cui si prospetta una modifica della decisione PESC del 1996. Peraltro, che nella maggior parte dei casi (oltre il 60%) la tutela consolare sia invocata per furto o smarrimento o danneggiamento del documento di viaggio è anche riconosciuto dalla Commissione europea nel ricordato Rapporto 2017 sulla cittadinanza europea.

In conclusione, la strada per un pieno godimento del diritto alla tutela consolare e diplomatica del cittadino europeo non rappresentato è senz’altro ancora lunga e non priva di ostacoli, derivanti sia dall’ambiguità dell’oggetto della tutela stessa, sia dal fatto che essa si basa su regimi differenti e solo parzialmente, minimamente e recentemente armonizzati dal diritto derivato dell’Unione. Ciò nonostante, al crescere della consapevolezza del diritto non potrà che crescere l’esigenza sociale di una sua più piena tutela, occasione indispensabile per ogni seria azione riformatrice.


facebooktwittergoogle_plusmailfacebooktwittergoogle_plusmail