L’aggressione russa all’Ucraina, l’Europa e la comunità internazionale

Il gravissimo attacco russo all’Ucraina, in pieno svolgimento, e le reazioni e controreazioni molteplici che esso sta scatenando, tanto in Europa quanto a livello più ampio, sono destinati a produrre cambiamenti profondi e di lungo periodo nelle relazioni internazionali ed in molte istituzioni operanti in ambito regionale e mondiale. La prima conseguenza è stata la paralisi del Consiglio di sicurezza, avendo il veto russo inevitabilmente bloccato il progetto di risoluzione di condanna del 25 febbraio (UN Doc. S/2022/155), pur appoggiato da 11 su 15 dei componenti del Consiglio. Il Consiglio ha peraltro convocato una sessione speciale di emergenza dell’Assemblea generale (sulla base della risoluzione Uniting for peace), la quale ha adottato il 2 marzo, con 141 voti favorevoli, 5 contrari e 35 astensioni, una risoluzione che deplora l’aggressione russa e il riconoscimento delle due presunte repubbliche di Donetsk e Luhansk nonché il coinvolgimento della Bielorussia nell’uso illecito della forza ed esige che la Federazione russa ritiri immediatamente tutte le sue forze dal territorio ucraino (cfr. UN Doc. A/ES-11/L.1).

Dato il mancato funzionamento del sistema di sicurezza collettiva (la stessa Assemblea generale non ha rivolto al momento alcuna esortazione o raccomandazione agli Stati membri al di fuori degli aggressori, nemmeno per quanto riguarda il mancato riconoscimento di atti contrari a principi fondanti del diritto internazionale o dei loro effetti, limitandosi ad appoggiare i loro sforzi per una de-escalation), numerosi Stati, specialmente occidentali (in primis gli Stati Uniti), e l’Unione europea hanno reagito unilateralmente all’invasione, con misure di vario tipo. In primo luogo sono state avviate diverse forme di assistenza all’Ucraina e alla sua popolazione. In particolare rileva la fornitura di armi, che, per quanto non configuri una forma di legittima difesa collettiva ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (azionabile a fronte di un attacco armato quale quello russo all’Ucraina), mancando una partecipazione diretta alle ostilità, va ritenuta pienamente conforme ai principi e agli obiettivi della Carta, in una situazione di paralisi della sicurezza collettiva, non potendosi in tali circostanze continuare ad applicare i parametri classici del diritto della neutralità (si vedano W. Heintschel von Heinegg, Neutrality in the War against Ukraine; A. Clapham, On War; K. Ambos, Will a State supplying weapons to Ukraine become a party to the conflict and thus be exposed to countermeasures?, in EJIL:Talk!; P. Rossi, La compatibilità con la Costituzione italiana e il diritto internazionale dell’invio di armi all’Ucraina, in SIDIBlog). L’Unione europea, in particolare, ha compiuto il passo senza precedenti dell’invio di armi ad un paese in guerra con decisione (PESC) 2022/338 del Consiglio del 28 febbraio 2022, adottata nel quadro dello Strumento europeo per la pace (SEP) (vedi M. Vellano, La decisione dell’Unione europea di fornire alle forze armate ucraine armamenti concepiti per l’uso letale della forza e le relative implicazioni giuridiche, in BlogDUE). Contemporaneamente l’Unione ha finanziato, sempre nel quadro del SEP, ulteriori misure di assistenza alle forze armate ucraine quale la fornitura di carburante e dispositivi di protezione (decisione (PESC) 2022/339).

L’Unione europea, così come altri paesi, ha altresì messo in atto un piano immediato per l’accoglienza ai profughi, un’altra immane conseguenza di questo conflitto, dal momento che già nel giro di pochi giorni si stanno riversando al di fuori delle frontiere ucraine milioni di persone: l’Unione è intervenuta con decisione di esecuzione del Consiglio del 4 marzo 2022, che accerta l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina ai sensi della direttiva 2001/55/CE, attivando dunque a loro favore, con effetti immediati, il regime di protezione temporanea (cfr. A. Di Pascale, Volere è potere! L’attivazione della protezione temporanea per l’accoglienza dei profughi ucraini nell’Unione europea, in questa Rivista; E. Colombo, Il Consiglio adotta la decisione di esecuzione della direttiva sulla concessione della protezione temporanea: lo strumento più adatto per far fronte all’afflusso massiccio di sfollati ucraini, in BlogDUE).

Allo stesso tempo, gli stessi Stati e l’Unione hanno intensificato le sanzioni in molti casi già in vigore contro la Russia adottate a partire dal 2014 a seguito dell’invasione e annessione della Crimea e del conflitto nel Donbass, di cui l’attuale conflitto armato costituisce una evoluzione, per quanto su scala e con intensità non comparabili. In particolare, a partire dal 23 febbraio 2022, data del riconoscimento da parte della Federazione russa delle pseudo-repubbliche di Donetsk e Luhansk, l’Unione è intervenuta, a seguito di un coordinamento in sede di G7, con una serie di misure restrittive, che ampliano ed estendono ad un numero crescente di soggetti le sanzioni adottate in un primo tempo, sulla base dell’art. 215 TFUE, con i regolamenti (UE) 269/2014 e 833/2014 del Consiglio, a loro volta fondati sulle decisioni (PESC) 2014/145 del 17 marzo 2014 e 2014/512 del 31 luglio 2014. Tali sanzioni comprendono, in specifico, misure restrittive sia settoriali (cioè relative a determinati prodotti, ad esempio quelli dual use) sia individuali (includenti il congelamento dei beni del presidente Putin e del ministro degli esteri Lavrov nonché queste e altre sanzioni individuali nei confronti di esponenti del regime e di oligarchi sostenitori dello stesso); la chiusura dei cieli dell’Unione agli aeromobili di nazionalità russa; l’interruzione delle transazioni finanziarie con la Banca centrale russa; la sospensione della diffusione dei media russi Sputnik e Russia Today; l’esclusione di alcune banche russe dall’accesso al circuito dei pagamenti internazionali Swift (cfr. C. Beaucillon, Les mesures restrictives de l’UE contre la Russie – fonction, contenu, efficacité, in blog.leclubdesjuristes.com). Misure analoghe sono state poste in essere, anche in questo caso in aggiunta alle sanzioni già in vigore, nei confronti della Bielorussia, in virtù dell’appoggio diretto dato dalla stessa all’aggressione russa. Dal punto di vista del diritto internazionale tali misure si qualificano quali ritorsioni, laddove non incidano su obblighi internazionali precedentemente in vigore, o, in caso contrario, quali contromisure collettive, cioè adottate unilateralmente da Stati (nel caso in esame per il tramite di un’organizzazione intergovernativa) non specialmente lesi da violazioni di obblighi erga omnes. La liceità di tali contromisure, sempre sostenuta dai paesi occidentali, è ancora dibattuta, sebbene non sia dubbio che nel caso di specie tali misure contribuiscano, almeno negli obiettivi, all’attuazione dell’obbligo gravante su tutti gli Stati di cooperare al fine di porre fine a gravi violazioni dello ius cogens, tantopiù trattandosi di un’aggressione (art. 41 degli Articoli sulla responsabilità degli Stati per illeciti internazionali). Va comunque ricordato, ed in ciò le misure adottate da vari Stati e dall’Unione presentano profili potenzialmente problematici, che le contromisure non devono comportare la lesione di diritti fondamentali delle popolazioni degli Stati destinatari né la lesione ingiustificata di diritti individuali.

Se le misure di cui sopra, per mancanza di adesione universale, non sono sufficienti di per sé a determinare un isolamento completo della Russia nella comunità internazionale, di certo il paese si avvia verso l’esclusione definitiva dal consesso europeo: come già ricordato in questa Rivista (I. Anrò, La Russia annuncia (senza sorpresa) il recesso dal Consiglio d’Europa), all’indomani dell’attacco all’Ucraina la Russia è stata sospesa dalla rappresentanza al Comitato dei ministri e all’Assemblea parlamentare della principale organizzazione paneuropea ai sensi dell’art. 8 dello Statuto e rischia nuove sanzioni a seguito della sessione plenaria straordinaria del 14 e 15 marzo dell’Assemblea stessa, sembrando comunque intenzionata a recedere. Grave sarà la perdita per il sistema europeo di protezione dei diritti umani, anche se la permanenza nello stesso di uno Stato responsabile di una così grave aggressione e ormai così palesemente lontano dai precetti dello Stato di diritto appare difficilmente sostenibile.

Il Consiglio dell’OCSE ha posto fine alla procedura di adesione della Russia, già sospesa dal 2014, e ha deciso di sospendere Russia e Bielorussia dalla partecipazione ad organi dell’ente. Altre misure si prospettano nel quadro di altre organizzazioni internazionali, anche a livello mondiale: i paesi del G7, riunitisi l’11 marzo a Berlino, hanno deciso che revocheranno lo status di nazione più favorita della Russia in relazione a prodotti chiave delle aziende di quel paese e che impediranno alla Russia di beneficiare di finanziamenti del FMI, della Banca mondiale e della BERS (G7 Leaders’ Statement); lo stesso giorno la presidente della Commissione von der Leyen ha preannunciato un’azione tesa a sospendere i diritti della Russia quale membro dell’OMC e del FMI (Statement by President von der Leyen on the fourth package of restrictive measures against Russia).

Altre conseguenze dell’aggressione russa si producono e si produrranno a livello giudiziario: il 1° marzo 2022 la Corte europea dei diritti umani, destinataria di un decimo ricorso dell’Ucraina in relazione alle vicende che hanno interessato l’Ucraina dal 2014 (domanda n. 11055/22), in aggiunta ai numerosi ricorsi individuali, ha adottato, su richiesta del paese vittima di attacco armato misure provvisorie urgenti nei confronti della Russia (v. I. Anrò); l’Ucraina aveva nel frattempo adito, il 26 febbraio, la Corte internazionale di giustizia (un secondo ricorso dopo quello pendente del 2014) sulla base della Convenzione contro il genocidio, contestando alla Russia l’abuso di tale convenzione, avendo quel paese addotto senza alcun fondamento quale giustificazione del suo intervento militare un presunto genocidio che l’Ucraina avrebbe commesso ai danni degli abitanti russofoni del Donbass (cfr. Ukraine v. Russian Federation, Application instituting proceedings). Il giorno successivo l’Ucraina richiedeva alla Corte l’adozione di misure cautelari (cfr. L. Acconciamessa, L’Ucraina chiede alla CIG misure provvisorie contro la Russia, sulla base della Convenzione contro il genocidio: interpretazione “talmente creativa che potrebbe funzionare” o eccessiva forzatura?, in SIDIBlog): la Corte sta deliberando.

Le speranze maggiori di riaffermazione dell’ordine giuridico internazionale violato dall’aggressione russa riposano peraltro forse sugli strumenti offerti dal diritto internazionale penale (cfr. S. Vasilev, Aggression against Ukraine: Avenues for Accountability for Core Crimes, in EJIL:Talk!; C. Meloni, Il senso della giustizia penale internazionale di fronte alla guerra in Ucraina, in Questione giustizia). In particolare, sembra promettente la prospettiva dell’attivazione della Corte penale internazionale. Già il 25 febbraio il procuratore della Corte, Karim Khan, annunciava l’intenzione di richiedere l’autorizzazione all’apertura di un’indagine, resa possibile, pur in assenza di ratifica dello Statuto da parte di Russia e Ucraina, dall’accettazione della giurisdizione della Corte intervenuta da parte di quest’ultima nel 2014, in relazione a crimini internazionali commessi sul suo territorio a far data dal novembre 2013. Nei giorni successivi, peraltro, la Lituania, seguita da altri 38 paesi, inclusa l’Italia, riferiva la situazione ucraina all’attenzione della Corte, permettendo al procuratore di avviare subito le indagini e la raccolta delle prove. L’11 marzo si sono aggiunti il Giappone e la Macedonia del nord, portando il totale degli Stati esercitanti il referral a 41 (v. questo link). La Corte potrà così indagare sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità, che paiono purtroppo, a più di due settimane dall’inizio del conflitto, drammaticamente evidenti, ed eventualmente sul crimine di genocidio (nel frattempo, il 4 marzo il Consiglio dei diritti umani ha deciso di istituire con urgenza una Commissione d’inchiesta internazionale indipendente per indagare sulle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse nel corso del conflitto). In assenza di ratifica dello Statuto da parte dei due Stati coinvolti, la Corte non potrà invece indagare sul crimine di aggressione (art. 15 bis dello stesso). Occorre peraltro ricordare che la giurisdizione della Corte penale internazionale è complementare rispetto a quella dei giudici interni: quelli ucraini, quelli russi (improbabile una loro attivazione non fittizia, finché la Russia sarà sottoposta all’attuale regime) o quelli di un altro Stato, che abbia correttamente trasposto i crimini internazionali nel proprio ordinamento e che contempli l’esercizio della giurisdizione universale. I vertici dello Stato russo potrebbero così anche essere sottoposti a giudizio davanti ad un giudice interno per il crimine di aggressione.


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