La politica europea delle telecomunicazioni (comunicazioni elettroniche): la nuova sfida della net-neutrality

 1. Il progressivo intervento comunitario nel settore delle telecomunicazioni.

Il Trattato di Roma del 1957 non conteneva alcun riferimento alle telecomunicazioni. Gli Stati fondatori avevano deciso di «escludere le telecomunicazioni (insieme alle altre utilities), ben consci del loro ruolo strategico, dall’ambito d’azione della nascente Comunità economica europea» (v. M. Thatcher, Unione Europea: lo scambio tra governi nazionali e Commissione, in E. Pontarollo, A. Aglietti, Regole e regolatori nelle telecomunicazioni europee, Bologna, 2003, pp. 264-265).

Di conseguenza, gli Stati Membri poterono mantenere, pur secondo modalità diverse, un sistema monopolistico in cui l’esercizio dell’attività di gestione e fornitura di reti e servizi di telecomunicazione era riservato ad un’azienda pubblica oppure ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica.

L’inazione della Comunità Europea nel settore delle telecomunicazioni durò sino agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso. I primi sintomi della rivoluzione elettronica ebbero un effetto determinante sulle scelte comunitarie. L’industria europea riconvertita alle nuove tecnologie esigeva, infatti, “un libero spazio ed una vera concorrenza” (B. Olivi, B. Somalvico, La nuova Babele elettronica, Bologna, 2003, p. 205). Contemporaneamente, i processi di liberalizzazione dei mercati americani e giapponesi mostrarono all’Europa le opportunità per lo sviluppo economico che l’apertura dei mercati delle telecomunicazioni avrebbe potuto favorire (G. Venturini, Servizi di telecomunicazioni e concorrenza, Torino, 1999, 91).

L’intervento comunitario nel settore delle telecomunicazioni è stato preceduto dalla presentazione nel 1987 del Libro Verde sullo sviluppo del mercato comune dei servizi ed apparati di telecomunicazioni. Il Libro Verde della Commissione indicava, con grande lucidità, la strada che la Comunità Europea avrebbe dovuto seguire. Gli obiettivi individuati e poi puntualmente seguiti erano: a) la necessità di procedere alla liberalizzazione formale dei mercati attraverso l’abolizione dei diritti speciali o esclusivi previsti dalle legislazioni nazionali; b) l’opportunità di un contestuale riavvicinamento delle normative nazionali; c) l’integrale applicazione, alle imprese operanti nel settore, delle norme sulla concorrenza contenute nei Trattati.

Il primo intervento normativo della Comunità europea si è avuto con la direttiva della Commissione 88/301/CEE (cd. direttiva terminali) che ha vietato la concessione da parte degli Stati di diritti speciali o esclusivi ad imprese, sia pubbliche che private, al fine di commercializzare, di allacciare, di installare e di procedere alla manutenzione degli apparecchi terminali di telecomunicazioni. L’obiettivo perseguito è stato quello di consentire alle imprese produttrici di apparecchi telefonici di commercializzare i propri prodotti su tutto il territorio europeo.

Il vero primo punto di svolta della politica europea si è prodotto con la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione e con il contemporaneo riavvicinamento delle relative legislazioni nazionali. Gli atti normativi di riferimento più volte emendati ed integrati, sono stati la direttiva di liberalizzazione della Commissione 90/388/CE e la direttiva del Consiglio 90/387/CE, adottati secondo un modello duale in cui la direttiva di liberalizzazione della Commissione è completata dall’intervento del Consiglio.

Il modello di liberalizzazione prescelto è quello della cd. “services based competition”, ossia della parità di accesso dei fornitori di servizi alla rete di trasmissione ancora gestita, in questa fase, in regime di monopolio.

L’accesso paritario è, in quel contesto, assicurato da una regolazione asimmetrica che grava sull’operatore di rete (in questa fase, gli operatori ex monopolisti proprietari della rete) e lo obbliga a contrattare con gli altri operatori, fornitori di servizi, l’accesso alla propria rete di telecomunicazione a condizioni non discriminatorie ed orientate ai costi.

Il “governo” della regolazione asimmetrica definito dalle direttive comunitarie è affidato, fin da questo momento, ad Autorità nazionali di regolazione (ANR). La normativa comunitaria obbliga gli Stati a garantire l’indipendenza delle ANR da tutti gli operatori per assicurare l’imparzialità delle loro decisioni. Questo determina in tutti gli Stati Membri, pur se con modalità e tempistiche alquanto differenti, il trasferimento di competenze di regolazione dal Ministro di settore ad Autorità nazionali.

Il modello della service based competition accompagna la transizione dei servizi di telecomunicazione dal monopolio al mercato. Partendo da pochi servizi cd. a valore aggiunto si estende, in meno di un decennio, a tutti i servizi, inclusi quelli di telefonia mobile nel frattempo sviluppatisi. Infine, la liberalizzazione si completa a decorrere dal 1 gennaio del 1998 con l’apertura del mercato della telefonia vocale fissa.

L’attoche completa il processo di abolizione dei diritti esclusivi liberalizzando il mercato dei servizi di telefonia vocale fissa, è la direttiva della Commissione 96/19/CEE, cd. direttiva full competition.

Tale direttiva ha però soprattutto il merito di aprire una nuova stagione della politica europea delle telecomunicazioni. Essa, infatti, vieta il mantenimento dei monopoli anche per ciò che riguarda le reti di trasmissione. L’obiettivo è quello di consentire e, al tempo stesso, spingere gli operatori precedentemente entrati sui mercati dei servizi a costruire progressivamente una propria rete di trasmissione, secondo la teoria della cd. ladder of investment.

L’apertura del mercato delle reti rinnova la politica comunitaria nel settore delle telecomunicazioni: la cd. service based competition cede il passo alla cd. networks based competition. Le direttive di riavvicinamento (v. direttiva 97/33/CE) definiscono e disciplinano ex novo il fenomeno dell’interconnessione consentendo ai nuovi operatori di collegare le proprie reti a diversi punti (cd. unbundling o accesso disaggregato) della rete dell’ex monopolista.

Le norme in materia di accesso disaggregato alla rete e di apertura dell’ultimo miglio divengono, in questo contesto, di importanza strategica. Esse sono supportate da una rimodulazione degli obblighi asimmetrici posti in capo agli operatori ex monopolisti.

In questa fase, progredisce anche enormemente l’intervento comunitario in materia di titoli di abilitazione all’attività d’impresa nel settore delle telecomunicazioni (direttiva 97/13/CE) ed in materia di servizio universale degli utenti (direttiva 98/10/CE). Entrambi gli interventi segnano un avanzamento del ruolo europeo nel settore. In particolare, la normativa sugli obblighi di servizio universale indica che la Comunità inizia ad intervenire in maniera organica sul livello di protezione sociale dei consumatori/cittadini stabilendo un livello minimo di servizi che debbono essere garantiti a tutti e a prezzi abbordabili.

2. La nascita del settore delle comunicazioni elettroniche e il dirompente impatto di Internet.

Non si è ancora concluso il processo di liberalizzazione formale dei servizi e delle reti di telecomunicazioni, quando, prima il Libro Bianco del 1993, Crescita, competitività, occupazione: le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, poi lo studio Rapporto sull’Europa e la Società dell’informazione globale (meglio noto come Rapporto Bangemann) ed, infine, il Libro Verde della Commissione pubblicato nel 1997 sulla convergenza tra i settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo e delle tecnologie e sulle sue implicazioni normative, mostrano come l’irrompere della società dell’informazione possa trasformare profondamente il settore delle telecomunicazioni.

La convergenza tecnologica tra il settore delle telecomunicazioni, il settore della radiotelevisione ed il settore dell’informatica è l’elemento di novità più importante con cui la politica europea deve confrontarsi.

Questa convergenza è il prodotto, innanzitutto, dello sviluppo della tecnologia digitale e della diffusione di reti di trasmissione di nuova generazione. La tecnologia digitale consente, infatti, l’ibridazione delle reti di trasmissione. I servizi di telecomunicazione ed i servizi radiotelevisivi che in precedenza erano legati ad una specifica tipologia trasmissiva possono essere ora veicolati indifferentemente e contemporaneamente sulla medesima rete di trasmissione.

Si fa strada di qui l’idea che la tradizionale separazione a livello normativo tra il settore delle telecomunicazioni ed il settore radiotelevisivo sia anacronistica, in particolare per ciò che riguarda la disciplina delle reti di trasmissione.

La gestazione del nuovo sistema normativo è piuttosto lunga ed incrocia il tumultuoso sviluppo della rete Internet. Il corpo normativo infine approvato, cd. Framework 2002 è, dunque, un complesso intervento normativo che è elaborato a cavallo dell’era pre- e post Internet.

L’ambito dell’intervento normativo sono le reti ed i servizi di comunicazione elettronica che sono disciplinate, salvo poche eccezioni per i servizi radiotelevisivi, in maniera indifferente rispetto al tipo di servizio veicolato e fornito.Di qui in avanti è possibile parlare di politica europea delle comunicazioni elettroniche anziché solamente di politica europea delle telecomunicazioni.

Il Framework 2002 presenta sia elementi di continuità sia elementi di netta discontinuità rispetto al sistema normativo precedente.

I due macro obiettivi della nuova politica comunitaria sono la razionalizzazione del quadro normativo precedentemente in vigore all’interno del nuovo sistema delle comunicazioni elettroniche e la definizione di un quadro comune europeo fondato sul principio della sussidiarietà della regolazione rispetto alla capacità dei mercati di autoregolarsi oppure di intervenire ex post con gli strumenti antitrust.

Il primo obiettivo è, dunque, il riordino di una normativa comunitaria che si è andata formando in modo incrementale. Il Framework 2002 razionalizza il sistema normativo precedente: le sei direttive che lo compongono abrogano, infatti, ben venticinque atti normativi.

Gli atti che compongono il Framework 2002, tuttora vigenti, sono la direttiva 21/2002/CE, cd. direttiva quadro, le direttive 19/2002/CE, 20/2002/CE, 22/2002/CE, 58/2002/CE, cd. direttive speciali e la direttiva della Commissione 2002/77/CE, cd. direttiva concorrenza.

La direttiva 21/2002/CE, cd. direttiva quadro, è la cornice normativa comune del nuovo intervento: essa definisce il nuovo ambito dell’intervento comunitario (cfr. P. Nihoul, P. Rodford, EU electronic communications law: competition and regulation in the European telecommunications market, Oxford University press, 2004, pp. 15-17), rende uniformi le caratteristiche istituzionali e funzionali delle ANR (S. Cassese, in F. Donati, G. Morbidelli, Comunicazioni: verso il diritto della convergenza?, Torino, 2003, pp. 33 ss.), riforma alla radice il procedimento per l’imposizione di regole asimmetriche (cfr. C. Koenig, A.Bartosch, J-D. Braun, EC Competition and Telecommunication Law, Kluwer, 2002, pp. 309 ss.)

Le direttive speciali definiscono, in parte razionalizzando l’esistente ed in parte innovando, gli obblighi di regolazione generale e gli obblighi asimmetrici, semplificano le procedure di accesso ai mercati attraverso l’adozione generalizzata del sistema dell’autorizzazione generale, operano una tipizzazione degli obblighi di servizio universale e delle loro modalità di finanziamento, individuano, infine, un set di obblighi in materia di data protection La direttiva “concorrenza” della Commissione consolida in un unico testo normativo ed estende al nuovo settore delle comunicazioni elettroniche i principi e le regole elaborati dalla Commissione durante il processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni (v. C.Koenig, A.Bartosch, J-D. Braun, 2002, 359, 441 e 474 ss.).

Il secondo obiettivo perseguito dal Framework 2002 è la creazione di un quadro normativo comune a livello europeo che ispirato al principio di sussidiarietà comporti una riduzione del livello di regolazione. Il riavvicinamento normativo è un elemento di continuità rispetto al passato; l’elemento di novità sta invece nell’obiettivo della riduzione delle regole sia di quelle generali ed asimmetriche. Esso richiede infatti una radicale modificazione tanto dei presupposti del riavvicinamento normativo quanto del modus con cui la Comunità procede all’armonizzazione delle normative nazionali.

Il presupposto non è più, o meglio non è più solo, la definizione di un minimo comune denominatore di regole idoneo a favorire lo sviluppo concorrenziale dei mercati nazionali. Il Framework 2002 punta, in primis, ad individuare un sistema di regole comuni idoneo a consentire la nascita di un mercato europeo delle comunicazioni elettroniche. Il grado di uniformazione necessario è senza dubbio maggiore rispetto al passato. In secundis, l’intervento comunitario, ormai non più condizionato, come nella prima fase, dalla necessità di liberalizzare mercati chiusi, ha l’obiettivo di definire un’efficace politica della concorrenza che consenta innanzitutto lo sviluppo di mercati transnazionali e l’affermarsi di operatori transnazionali. Il principio della sussidiarietà della regolazione si traduce, dunque, nella semplificazione delle modalità di accesso al mercato e nella riduzione degli obblighi generali ed asimmetrici di regolazione (F. Donati, L’ordinamento amministrativo delle comunicazioni, Torino, 2007).

Il modus con cui la Comunità procede all’uniformazione appare anch’esso una novità: il tentativo è quello di stabilire un equilibrio tra semplificazione delle normative primarie e devoluzione di funzioni alle ANR.

Le direttive comunitarie, per un verso, infatti, individuano regole generali, in particolare, riguardanti i titoli abilitativi, gli obblighi di servizio universale, e gli obblighi in materia di data protection che gli Stati Membri devono recepire. Il grado di dettaglio di queste norme è tale da ridurre il grado di discrezionalità degli Stati nella loro implementazione. La normativa comunitaria prevede, peraltro, che siano le ANR a garantire ed a vigilare sul loro enforcement.

Per un altro verso, le direttive comunitarie individuano un set di obblighi asimmetrici. Essi nel nuovo sistema possono essere imposti dalle ANR, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo qualora le ANR individuino al termine di un procedimento di valutazione dei mercati rilevanti uno o più operatori in posizione dominante. La procedura ed i criteri di analisi sono stabiliti dalle norme comunitarie e dagli atti di indirizzo adottati dalla Commissione. La definizione concreta delle misure è rimessa alle ANR che devono imporle solo quando strettamente necessario e mantenerle solo fintanto che dura lo squilibrio concorrenziale.

Pochi anni dopo la sua entrata in vigore, il Framework 2002 appare già in affanno rispetto alle innovazioni che lo sviluppo tecnologico e quello straordinario di Internet stanno dischiudendo. In particolare, lo sviluppo del web 2.0 mostra come la prospettiva di una regolazione europea dei servizi di comunicazione elettronica tradizionali al fine di creare un mercato unico europea sia, almeno in parte, inidonea ad applicarsi non tanto agli ISP quanto ai cd. fornitori overthetop, i quali sfruttano la rete Internet per offrire i loro servizi a persone in ogni parte del mondo.

Il Telecom Package del 2009, senza cambiare l’impostazione di fondo del Framework 2002, rappresenta una prima parziale risposta a questa esigenza.

Con tale pacchetto normativo, composto di due nuove direttive (2009/140/CE e 2009/136/CE) e del Regolamento 1211/2009, l’Unione europea si propone sia una messa a punto di alcune criticità emerse nell’attuazione del Framework 2002 sia di affrontare alcuni nodi nuovi e tuttora assai attuali.

Per quanto riguarda gli interventi correttivi occorre citare, almeno, la definizione di nuove regole asimmetriche cd. straordinarie – come ad esempio l’obbligo di separazione funzionale, l’istituzione di un organismo europeo composto dai rappresentanti nazionali delle Autorità nazionali di regolazione (cd. BEREC) ed il rafforzamento dei requisiti d’indipendenza richiesti alle Autorità nazionali di regolazione.

Per quanto riguarda le questioni più ampie emerse all’orizzonte bisogna sottolineare, innanzitutto, la rivisitazione degli obblighi di servizio universale, ed in particolare l’inclusione dell’obbligo per gli Stati membri di garantire la disponibilità a prezzi abbordabili di almeno una rete fissa idonea a supportare una connessione Internet a velocità adeguata.

Quest’obbligo rappresenta un primo tentativo, spesso sottovalutato, di garantire ai cittadini europei l’accesso alla rete in condizioni di servizio universale. Non, quindi, un vero e proprio diritto di accesso a Internet, ma certamente un passo molto importante e soprattutto concreto rispetto a proposte a prima vista più convincenti ma che in concreto si sono dimostrate velleitarie

A tale obbligo si deve legare anche la previsione normativa introdotta nella direttiva quadro, dopo un lungo tira e molla, per cui gli interventi restrittivi riguardanti l’accesso o l’uso di servizi e applicazioni Internet da parte dei cittadini attraverso reti di comunicazione elettronica debba, dunque, rispettare le previsioni costituzionali dei Paesi Membri ed essere «appropriata, proporzionata e necessaria nel contesto di una società democratica». Concretamente la norma subordina eventuali provvedimenti restrittivi al «rispetto del principio della presunzione d’innocenza e del diritto alla privacy» e all’espletamento di una procedura preliminare equa ed imparziale che preveda il diritto alla difesa e, rispetto alla quale sia successivamente garantito il ricorso giurisprudenziale (Orofino M.,Il Telecoms package: luci ed ombre di una riforma molto travagliata, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2, 2010, 538)

Più in generale, può affermarsi che il Telecom Package 2009, modificando il quadro normativo del 2002 senza stravolgerlo, ha previsto un rafforzamento delle tutele del cittadino e del consumatore. Questo è avvenuto in un contesto in cui l’Unione europea è sembrata porre maggiore attenzione alla regolazione pro-sociale rispetto ad un passato in cui l’attenzione appariva maggiormente incentrata su una regolazione pro-concorrenziale.

3. Le sfide del futuro ed il Regolamento 2015/2120 sulla net-neutrality.

La sfida del futuro è la Digital Single Market Strategy elaborata dalla Commissione europea. Essa persegue l’obiettivo dichiarato di aprire opportunità digitali per le persone e per le imprese e di migliorare la posizione dell’Europa come leader mondiale nell’economia digitale.

Dentro questa strategia si colloca il cd. connectivity package relativo alle comunicazioni elettroniche, di cui la Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council establishing the European Electronic Communications Code è indubbiamente il perno centrale.

L’iter che dovrebbe condurre all’adozione del nuovo European Electronic Communication Code è appena iniziato e non è , quindi, possibile immaginare ora se e quando esso vedrà la luce e soprattutto quali modifiche verranno apportate al quadro normativo oggi in vigore.

Proprio per i tempi che questo nuovo riordino normativo necessariamente richiederà, l’Unione europea è intervenuta subito con il Regolamento 2015/2120 che anticipa due obiettivi/capisaldi della nuova politica europea: il primo è l’abolizione dei sovrapprezzi di traffico al dettaglio. Esso è in parte eredità del passato, ma comunque passaggio indispensabile per la creazione di un mercato davvero europeo dei servizi di telefonia mobile. Il secondo è la definizione di norme comuni a tutela della cd. net-neutrality.

Il tema della net-neutrality ha origini lontane, ma è oggi come pochi altri capace di suscitare notevole interesse nell’opinione pubblica. Questo perché esso incrocia il tema della libertà di accesso ad Internet, di una rete Internet aperta e, più in generale, del governo della rete (M. Orofino, 2016).

Il Regolamento dell’UE interviene specificamente su due punti di estremo rilievo: quello dei limiti al cd. traffic management e quello dei servizi ottimizzati.

Per quanto riguarda il cd. traffic management ossia, in termini generali, la possibilità che gli ISP diano la precedenza nell’instradamento a taluni pacchetti di dati rispetto ad altri, la regola generale posta dal nuovo Regolamento è che tale pratica sia sempre vietata per esigenze commerciali e consentita solo per esigenze tecniche (congestione delle reti e sicurezza delle medesime) in casi, tempi e condizioni specifiche.

Per quanto, invece, riguarda i cd. servizi ottimizzati, ossia la predisposizione di un accesso privilegiato alla rete Internet per la fornitura di determinati servizi che richiedono maggiore velocità ed ampiezza di banda, esso è, invece, consentito, ma a patto che la banda disponibile sia adeguata e che ciò non vada a detrimento della qualità dei servizi normalmente offerti.

Per entrambe le fattispecie, la nuova normativa europea ritaglia un ruolo di primo piano per le ANR, le quali sono chiamate a vigilare sui divieti posti e a controllare che concretamente esistano le condizioni per offrire i servizi ottimizzati. Come da tradizione consolidata, la capacità delle ANR di prendere decisioni uniformi in casi simili sarà il vero punto che determinerà il successo o il fallimento della specifica normativa.

In conclusione, va detto che l’intervento regolamentare europeo non esaurisce evidentemente tutte le questioni che il dibattito sulla net-neutrality porta con sé. Molte sono evidentemente rimesse ai prossimi interventi normativi ed è innegabile che tale tema sarà al centro del dibattito nei prossimi anni.

Per questa ragione così come per una certa indeterminatezza nella tipizzazione delle fattispecie che consentono operazioni di management tecnico o l’offerta di determinati servizi ottimizzati (De Minico, 2016), il Regolamento è stato oggetto di critiche sia da parte di chi richiedeva ed immaginava un intervento più penetrante a difesa della neutralità sia da chi, invece, auspicava una maggiore libertà d’azione per i fornitori di servizi di accesso ad Internet.

In realtà, esso ha un’importanza che trascende la normativa stessa – che pure a giudizio di chi scrive appare abbastanza equilibrata, ancorché richieda un’attenta opera di attuazione da parte delle ANR in collaborazione con l’organismo europeo dei regolatori (M. Orofino, 2016) – perché con tale atto l’Unione europea interviene dimostrando due cose, forse banali a prima vista, ma invece fondamentali. Innanzitutto l’UE dimostra di aver compreso l’importanza che l’accesso a Internet riveste per i cittadini e per le imprese europee in una realtà in cui offline e online sono ormai inestricabilmente legati e che l’esercizio di diritti fondamentali attraverso Internet è ormai la prassi. In secondo luogo, dà prova di voler affrontare la questione della net-neutrality in modo concreto piuttosto che ideologico. Il che non è di secondaria importanza soprattutto in un momento in cui le decisioni politiche sembrano essere sempre più prese sull’onda dell’emozione del momento piuttosto che all’esito di un corretto bilanciamento degli interessi realmente in gioco.


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