La nuova direttiva sulla tutela consolare dei cittadini europei

1. L’art. 20, par. 2, lett. c), TFUE attribuisce ai cittadini europei il diritto di godere, nel territorio di uno Stato non-UE in cui il loro Stato nazionale non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi altro Stato UE. La cittadinanza europea trova così anche una sua rilevante manifestazione “esterna”, poiché questo diritto è azionabile nel momento in cui il cittadino europeo si trova al di fuori del territorio dell’Unione.

Il diritto alla tutela diplomatica e consolare – non alla protezione diplomatica –, disciplinato dall’art. 23 TFUE e ribadito nell’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, è manifestazione del principio di non discriminazione. Un cittadino europeo che si trova in uno Stato non-UE e ha necessità di assistenza ha il diritto di rivolgersi, qualora manchi una rappresentanza diplomatica o consolare del proprio Stato nazionale, a quella di ogni altro Stato membro presente in quel territorio, e di ricevere il medesimo trattamento che sarebbe riservato ad un cittadino di quello Stato. Come può facilmente comprendersi, si tratta di un diritto che sta progressivamente acquisendo maggiore rilievo, in considerazione del numero rilevante di cittadini europei che, per i motivi più disparati, si trovano in uno Stato non-UE e che possono trovarsi in situazioni di difficoltà, dovute a vicende individuali (arresto, smarrimento di documenti, malattia, ecc.), ma anche a fenomeni improvvisi che colpiscono contemporaneamente un numero significativo di individui (attentati terroristici, calamità naturali, incidenti a mezzi di trasporto, ecc.).

Di questo diritto si occupa la direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio, del 20 aprile 2015, sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei paesi terzi e che abroga la decisione 95/553/CE. Essa, approvata dopo diversi anni di confronto tra gli Stati membri, rafforza il diritto dei cittadini europei alla tutela consolare. Ma non avrà un effetto immediato, poiché dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 1° maggio 2018, data nella quale sarà abrogata la decisione 95/553/CE.

2. La direttiva 2015/637 risulta interessante sotto diversi profili. Anzitutto, un atto tipico di diritto derivato sostituisce un atto atipico; la decisione 95/553/CE, adottata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio il 19 dicembre 1995, non è infatti un atto di diritto derivato, imputabile al Consiglio, ma un progetto di accordo internazionale, adottato collettivamente dagli Stati membri. Essa è entrata in vigore nel maggio 2002, quando gli Stati UE hanno notificato il completamento delle procedure previste dai rispettivi ordinamenti interni ai fini della sua attuazione (come richiesto dall’art. 8 della stessa decisione).

Questa sostituzione è stata favorita dalle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona del 2007 con riferimento alla base giuridica del diritto alla tutela diplomatica e consolare per i cittadini europei. Mentre in passato l’art. 8C TCE (poi divenuto art. 20 TCE) prevedeva che gli Stati membri stabiliscono «tra loro» le disposizioni necessarie a garantire tale diritto, l’art. 23, co. 1, TFUE dispone che essi «adottano» le disposizioni necessarie a tal fine. A Lisbona è stato poi aggiunto il co. 2 all’art. 23, secondo il quale è il Consiglio, attraverso una procedura legislativa speciale e consultato il Parlamento europeo, ad adottare direttive «che stabiliscono le misure di coordinamento e cooperazione necessarie per facilitare tale tutela», il che è avvenuto con la direttiva 2015/637.

Queste modifiche dell’art. 23 ed il passaggio da un atto atipico ad una direttiva comportano una positiva evoluzione della disciplina di diritto europeo in materia di tutela diplomatica e consolare, attraverso il passaggio dal metodo intergovernativo a quello sovranazionale, pur con alcune limitazioni. In primo luogo, il coinvolgimento del Parlamento europeo, pur con una semplice consultazione, garantisce una maggiore trasparenza del procedimento legislativo. Sotto questo aspetto, peraltro, l’adozione dell’atto con procedura legislativa ordinaria, o almeno con l’approvazione, non con la mera consultazione, del Parlamento, favorirebbe un maggiore controllo democratico sulle scelte relative a questo rilevante profilo della cittadinanza europea.

In secondo luogo, l’adozione di una direttiva consentirà il ricorso alle competenze della Corte di giustizia, mentre ciò appare dubbio con riferimento alla decisione del 1995, stante la sua atipicità. Inoltre, la direttiva 2015/637 appare suscettibile di produrre effetti diretti verticali, una volta scaduto il termine per il suo recepimento, poiché presenta i caratteri della chiarezza e precisione ed è suscettibile di conferire ai singoli dei diritti invocabili nei confronti degli Stati membri. Essa, anche prima della scadenza del 1° maggio 2018, potrà produrre per gli Stati UE quegli effetti che solitamente caratterizzano una direttiva: l’obbligo di stand-still, quello di adottare tutti i provvedimenti necessari per il suo recepimento, l’obbligo di notificare alla Commissione le misure di recepimento, l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno, il possibile risarcimento del danno subito dal singolo per mancata attuazione della direttiva.

3. La direttiva 2015/637 arriva a vent’anni di distanza dalla decisione del 1995. In questo periodo le istituzioni europee hanno adottato altri atti e documenti rilevanti in tema di tutela diplomatica e consolare. Ricordiamo, tra i principali: la decisione 96/409/PESC, adottata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio il 25 giugno 1996, relativa all’istituzione di un documento di viaggio provvisorio (anch’essa qualificabile come atto atipico sotto forma di progetto di accordo internazionale, è entrata in vigore il 3 maggio 2006); il libro verde della Commissione sulla protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell’Unione nei paesi terzi, COM(2006) 712 def. del 26 novembre 2006; il piano d’azione 2007-2009 della Commissione per un’efficace tutela consolare nei paesi terzi: il contributo dell’Unione europea, COM(2007) 767 def. del 5 dicembre 2007; la raccomandazione della Commissione 2008/355/CE, adottata in pari data, sull’inserimento all’interno dei passaporti rilasciati dagli Stati membri del riferimento al diritto alla tutela diplomatica e consolare; le linee direttrici in materia di tutela consolare dei cittadini europei, approvate e periodicamente aggiornate da un apposito gruppo di lavoro “Affari consolari” (COCON) attivo in seno al Consiglio, e le connesse linee direttrici dell’UE relative all’attuazione del concetto di Stato guida in materia consolare.

La questione del rafforzamento della tutela consolare per i cittadini europei, unita alla volontà di dare seguito alle modifiche introdotte con il Trattato di Lisbona, anche al fine di garantire una maggiore chiarezza e certezza del quadro normativo, hanno indotto la Commissione a presentare, il 14 dicembre 2011, una proposta di direttiva del Consiglio sulla tutela consolare, COM(2011) 881 def., che è all’origine della direttiva 2015/637. La proposta della Commissione è stata emendata dal Parlamento europeo, che ha espresso il suo parere il 25 ottobre 2012 (risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Consiglio sulla tutela consolare dei cittadini dell’Unione all’estero).

La direttiva 2015/637, nel testo deciso dal Consiglio il 20 aprile, risulta però sensibilmente diversa sia dalla proposta presentata dalla Commissione nel 2011, sia dalla risoluzione legislativa approvata dal Parlamento europeo nel 2012, a dimostrazione della volontà del Consiglio di utilizzare appieno il ruolo di rilievo che gli è riconosciuto dalla procedura legislativa speciale prevista dall’art. 23, co. 2, TFUE. Ciò si nota sin dal titolo della direttiva, che non si riferisce genericamente alla tutela consolare ma, riprendendo testualmente la disposizione del TFUE, riguarda le «misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare» dei cittadini europei nei Paesi non-UE.

4. Rispetto alla decisione del 1995, la direttiva del 2015 risulta assai più articolata e dettagliata; ciò è dovuto anche alla necessità di tenere conto e sistematizzare la prassi normativa e operativa sviluppatasi nei primi anni di funzionamento del sistema di assistenza consolare per i cittadini europei. Il comune punto di partenza è l’affermazione della parità di trattamento che lo Stato cui si chiede la tutela consolare deve riconoscere tra i cittadini europei e i suoi nazionali. L’art. 2, par. 1, della direttiva è inequivocabile a tal riguardo: «Le ambasciate e i consolati degli Stati membri forniscono tutela consolare ai cittadini non rappresentati alle stesse condizioni riservate ai loro cittadini».

La nozione di “assenza di rappresentanza” è fornita dall’art. 6 della direttiva, il quale, oltre ai casi in cui uno Stato UE non è rappresentato in uno Stato non-UE, la estende alle situazioni in cui lo Stato UE, pur rappresentato, non «sia in grado di fornire efficacemente tutela consolare in un determinato caso». Questa scelta appare opportuna, poiché predilige il profilo sostanziale (la necessità di offrire assistenza a un cittadino europeo in difficoltà) piuttosto che il dato formale (la presenza o meno all’interno dello Stato non-UE di una rappresentanza dello Stato di nazionalità del cittadino europeo in difficoltà). Si pensi al caso in cui l’ambasciata dello Stato nazionale si trovi a notevole distanza dal luogo in cui si trova il cittadino, mentre il consolato di un altro Stato UE risulti facilmente raggiungibile; o ad una situazione di temporanea chiusura o inutilizzabilità dei servizi dell’ambasciata o del consolato dello Stato nazionale, che risultano quindi “virtualmente” fruibili, ma “praticamente” inutilizzabili per ragioni contingenti. La direttiva non intende mettere in secondo piano il ruolo dello Stato di cittadinanza del soggetto che richiede la tutela, ma l’obiettivo è garantire al cittadino europeo il godimento dell’assistenza consolare. L’art. 3 dispone che lo Stato di cittadinanza può domandare a quello cui il proprio cittadino si è rivolto di trasferirgli il caso «al fine di potergli fornire tutela consolare in conformità del diritto o della prassi nazionale». Il trasferimento non è però automatico, ma avviene «appena lo Stato membro di cittadinanza conferma che sta fornendo tutela consolare al cittadino non rappresentato».

Mentre a carico delle ambasciate e dei consolati la direttiva pone l’obbligo di fornire la tutela consolare, parzialmente diversa è la situazione per quanto concerne i consoli onorari; la direttiva, in ragione della non omogeneità della normativa degli Stati membri in merito alle funzioni da essi svolte, lascia al riguardo una mera facoltà di applicare la direttiva anche ai consoli onorari. Più in generale, essa non entra nel merito nel tipo di tutela consolare offerta dalla normativa dei diversi Stati membri, che risulta non armonizzata; né potrebbe essere diversamente, stante la chiara indicazione derivante dall’art. 23 TFUE. Può quindi accadere che, qualora la legislazione dello Stato membro non riconosca ai suoi cittadini il “diritto” alla tutela consolare, anche il cittadino europeo che si rivolge a tale Stato rimanga privo di tutela, poiché sarà trattato allo stesso modo dei cittadini di quello Stato; né il cittadino di uno Stato membro potrà pretendere di ricevere, da un altro Stato membro, la medesima tutela che gli spetterebbe in base all’ordinamento del suo Stato nazionale. È peraltro opportuno segnalare come l’art. 16 della direttiva in commento disponga che gli Stati membri «possono stabilire o mantenere disposizioni più favorevoli», purché con questa compatibili.

Il permanere della differenza normativa può produrre un fenomeno di “consular shopping”, spingendo il cittadino europeo che si trovi in uno Stato non-UE nel quale manca una rappresentanza del suo Stato nazionale a valutare quale Stato UE presente in quel terrirorio può garantirgli un’assistenza migliore. L’art. 7 della direttiva conferma che il cittadino può rivolgersi all’ambasciata o al consolato di qualsiasi Stato membro e, forse proprio al fine di evitare che il carico dell’assistenza gravi su uno o pochi Stati membri, favorisce la conclusione di accordi pratici «sulla condivisione delle responsabilità di fornire tutela consolare», disponendo che questi accordi siano notificati alla Commissione e al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e che siano pubblicizzati dall’UE e dagli Stati membri (anche l’art. 12 della direttiva indica lo strumento degli accordi pratici al fine di garantire una efficace tutela dei cittadini europei non rappresentati). Più in generale, l’art. 10 della direttiva impegna le autorità diplomatiche e consolari degli Stati membri a cooperare e coordinarsi strettamente tra loro e con l’UE per garantire l’effettività del diritto di cui all’art. 23 TFUE. Ciò implica, per lo Stato che riceve la richiesta di assistenza, l’obbligo di consultarsi senza indugio con quello di cui la persona si dichiara cittadino; salvo casi di estrema urgenza, esso è tenuto a farlo prima di prestare assistenza. Lo Stato membro cui appartiene il cittadino, dal canto suo, deve fornire allo Stato che presta assistenza tutte le informazioni sul caso in questione.

I casi di tutela consolare sono indicati dall’art. 9 della direttiva 2015/637, che indica: arresto e detenzione; persona vittima di reato; incidente o malattia grave; decesso; necessità di aiuto o di rimpatrio in caso di emergenza; necessità di documenti di viaggio provvisori ai sensi della decisione 96/409/PESC. Si tratta peraltro di un elenco esemplificativo, non tassativo, potendosi realizzare situazioni ulteriori, diverse da quella appena indicate, nelle quali un cittadino europeo non rappresentato abbia necessità di richiedere assistenza consolare.

Un elemento non disciplinato dalla decisione del 1995, ma emerso nella prassi di funzionamento della tutela consolare per i cittadini europei e che trova una formalizzazione nella direttiva del 2015, riguarda il trattamento dei familiari non-cittadini europei di cittadini europei, che li accompagnano in un Paese terzo e che necessitino di tutela consolare. L’art. 5 della direttiva 2015/637 impegna gli Stati membri a fornire anche ai familiari non-cittadini europei la tutela consolare «nella stessa misura e alle stesse condizioni in cui sarebbe fornita ai familiari dello Stato membro che presta assistenza, che non sono cittadini dell’Unione, conformemente al diritto o alla prassi nazionale di tale Stato membro». Anche a tale riguardo, quindi, trova applicazione il principio di non discriminazione, ferme restando le differenze tra gli ordinamenti degli Stati membri.

Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, l’art. 14 della direttiva si muove in una duplice direzione. Da un lato, impegna il cittadino europeo che riceve assistenza a restituire al suo Stato nazionale il costo della tutela consolare, alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato che gli ha prestato assistenza (ulteriore manifestazione del principio di non discriminazione); sarà il suo Stato nazionale a decidere se chiedergli di rimborsare tale costo. Dall’altro lato, lo Stato UE che fornisce assistenza consolare può chiedere allo Stato membro di cittadinanza della persona assistita il rimborso del costo della tutela consolare e quest’ultimo è tenuto a fornire tale rimborso in tempi ragionevoli, non oltre i 12 mesi.

5. Un elemento del tutto nuovo della direttiva 2015/637 è rappresentato dal ruolo attribuito alle delegazioni dell’Unione europea (quindi al SEAE) nel contribuire all’attuazione del diritto alla tutela consolare per i cittadini europei che si trovino in uno Stato non-UE. Questo aspetto era poco rilevante nella proposta della Commissione del 2011, mentre numerosi degli emendamenti approvati dal Parlamento europeo nella risoluzione del 2012 erano rivolti a mettere in rilievo il ruolo delle delegazioni dell’Unione nei Paesi terzi. Il Consiglio, nel testo finale della direttiva approvato il 20 aprile 2015, ha tenuto conto di una parte di queste indicazioni. Del resto, un ruolo per le delegazioni è prefigurato dalla stessa decisione 2010/427/UE del Consiglio, del 26 luglio 2010, istitutiva del SEAE. L’art. 5, par. 10, di questa decisione, infatti, dispone, in ottemperanza degli articoli 3, par. 5, e 35, co. 3, TUE, che le delegazioni dell’Unione «assistono gli Stati membri nelle loro relazioni diplomatiche e nella loro funzione di protezione consolare dei cittadini dell’Unione nei Paesi terzi». Lo stesso par. 10 dispone che l’assistenza offerta dalla delegazione del SEAE deve avvenire «su base neutra dal punto di vista delle risorse», una precisazione di non agevole comprensione.

Anche nella direttiva del 2015, in continuità con quanto stabilisce la decisione istitutiva del SEAE, non si prevede che le delegazioni UE esercitino la tutela consolare nei confronti di cittadini europei, ma solo che prestino assistenza alle delegazioni dell’UE agli Stati membri; né potrebbe essere diversamente, considerati i limiti posti nei Trattati. L’art. 11 della direttiva impegna le delegazioni dell’Unione a contribuire alla cooperazione e al coordinamento locali e nelle situazioni di crisi e indica, tra i compiti principali loro assegnati: fornire il sostegno logistico; facilitare lo scambio di informazioni tra le autorità degli Stati membri (l’art. 10, par. 4, impegna gli Stati UE a notificare al SEAE il punto o i punti di contatto pertinenti all’interno dei rispettivi Ministeri degli esteri) e tra queste e le autorità locali; mettere a disposizione informazioni generali sull’assistenza consolare. A tale ultimo riguardo, abbiamo già rilevato il ruolo del SEAE nel pubblicizzare gli accordi pratici raggiunti tra gli Stati membri al fine di condividere le responsabilità nel fornire tutela consolare. In una prospettiva più generale, sotto il profilo del coordinamento delle attività la direttiva colloca le delegazioni dell’UE su un piano di parità con le autorità (ambasciate e consolati) degli Stati membri, fermo restando che solo a questi compete il ruolo operativo di fornire la tutela consolare.

6. Un ultimo profilo di interesse della direttiva 2015/637 riguarda le situazioni di crisi, non definite nell’atto, ma verosimilmente da intendere come i casi dovuti ad eventi naturali eccezionali (terremoti, inondazioni, ecc.) o ad altre situazioni di emergenza (attacchi terroristici, incidenti ferroviari o ad impianti nucleari, ecc.) che mettano in pericolo o comunque coinvolgano un numero significativo di cittadini europei all’interno di uno Stato non-UE. Si tratta di un profilo particolarmente importante e che rafforza il diritto alla tutela consolare per i cittadini europei, tanto più vulnerabili e abbisognanti di assistenza in una situazione di emergenza.

La direttiva, in caso di crisi, prevede procedure facilitate sia ai fini dell’attivazione della tutela consolare, sia per quanto riguarda gli aspetti finanziari. In merito al primo aspetto, l’art. 13 si preoccupa anzitutto della pianificazione, stabilendo che quella di emergenza locale tenga conto dei cittadini non rappresentati e che gli Stati membri e la delegazione dell’UE presenti in quel territorio definiscano dei piani di emergenza al fine di offrire ai cittadini europei non rappresentati una piena assistenza consolare in caso di crisi. Inoltre, prevede che in caso di crisi l’Unione e gli Stati membri cooperino strettamente per garantire un’assistenza efficace ai cittadini europei non rappresentati. Sotto il profilo operativo, lo Stato guida o quello che coordina le operazioni di assistenza ha il compito di gestire le operazioni di sostegno ai cittadini europei non rappresentati, con l’appoggio degli altri Stati membri, della delegazione dell’UE e del SEAE. Gli Stati UE possono ricevere sostegno dalle squadre di intervento esistenti a livello di Unione e chiedere il coinvolgimento delle strutture di risposta alle crisi del SEAE e del meccanismo unionale di protezione civile (decisione 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013).

Per quanto invece riguarda gli aspetti finanziari della tutela consolare in situazioni di crisi, secondo l’art. 15 della direttiva 2015/637 lo Stato UE che presta assistenza richiede allo Stato di nazionalità della persona assistita l’eventuale rimborso dei costi sostenuti, anche qualora il cittadino europeo non rappresentato non abbia sottoscritto una promessa di restituzione dei costi per l’assistenza consolare ricevuta; lo Stato nazionale è libero di chiedere il rimborso al proprio cittadino in base alla normativa nazionale. Inoltre, lo Stato membro che presta assistenza può chiedere allo Stato di nazionalità dei cittadini assistiti un rimborso pro quota, suddividendo le spese sostenute per il numero dei cittadini assistiti. In ogni caso, qualora il meccanismo unionale di protezione civile abbia finanziato le operazioni di assistenza, occorrerà tener conto di questo finanziamento al fine di ridurre la richiesta di rimborso presentata allo Stato UE di nazionalità dei cittadini assistiti.

7. In conclusione, l’adozione della direttiva 2015/637 costituisce un indubbio rafforzamento del diritto alla tutela consolare per i cittadini europei che abbiano necessità di assistenza quando si trovano in uno Stato non-UE in cui non sono rappresentati. In primo luogo, perché un atto tipico prende il posto di un atto atipico (la decisione del 1995), con positive conseguenze in termini di trasparenza del processo decisionale e di tutela giurisdizionale per i singoli. In secondo luogo, perché la direttiva riprende e razionalizza una disciplina in precedenza contenuta in numerosi atti e documenti dall’incerto valore giuridico, contribuendo alla certezza del diritto.

Sotto il profilo contenutistico, la direttiva in commento va valutata positivamente perché è rivolta a garantire una tutela effettiva ai cittadini europei, perché è finalizzata ad assistere, oltre ai cittadini europei, anche i loro familiari non-cittadini europei, perché valorizza, nei limiti del possibile, il ruolo delle delegazioni dell’UE nel sostenere l’azione di tutela consolare svolta dagli Stati membri e, infine, perché stabilisce procedure semplificate in caso di eventi eccezionali.

Si tratta quindi, nel complesso, di un buon passo in avanti nella direzione di accrescere i diritti dei cittadini europei, nonché la loro consapevolezza di poter disporre di questi diritti. Un rilievo critico riguarda i tre anni che gli Stati, attraverso la direttiva approvata in sede di Consiglio, si sono dati per recepire questa direttiva. Un tempo probabilmente troppo lungo, considerato il contenuto della stessa.


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