La nomina dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza nella dinamica delle relazioni tra Stati membri e istituzioni.

I. La carica istituzionale. Sotto la denominazione di “Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza” (in prosieguo: A.R.), il Trattato di Lisbona – coerentemente con l’abolizione della originaria struttura dell’Unione, che separava il pilastro comunitario dal settore della politica estera e di sicurezza comune (c.d. secondo pilastro) e dal settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (c.d. terzo pilastro) – ha unificato le attribuzioni in precedenza assegnate a due distinte personalità:l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e il Commissario europeo per le relazioni esterne.

La fusione dei due ruoli preesistenti non rappresenta, in verità, una novità assoluta: l’A.R. riproduce, infatti, la figura già tratteggiata dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 2004 che, infatti, all’art I- 28, introduceva il ruolo di Ministro degli Esteri dell’Unione Europea, attribuendogli le funzioni oggi conferite all’A.R.

Eliminata, quindi, soltanto la denominazione – ritenuta eccessivamente “federalista” – di “Ministro”, la configurazione prevista dal Trattato di Lisbona conferma le caratteristiche e le attribuzioni previste per tale figura già dal Trattato costituzionale, nell’ottica di offrire alla politica estera europea «maggiore impatto, coerenza e visibilità» (cfr. Comunicazione della Commissione sulla revisione dell’Europa per il XXI secolo, COM(2007) 412 def.).

Pertanto, sotto la nuova veste di A.R. risultano oggi incorporate competenze “comunitarie” ed intergovernative. In base a quanto specificato dall’art. 27, par. 1, TUE l’A.R. innanzitutto «contribuisce con proposte all’elaborazione della politica estera e di sicurezza comune» ed «assicura l’attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio». Conduce, quindi, «il dialogo politico con i paesi terzi[,] esprimendo la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali ed in seno alle conferenze internazionali». Unitamente al Consiglio, inoltre, l’A.R., «assicura l’unità, la coerenza e l’efficacia dell’azione dell’Unione».

La figura di A.R., come delineata nel nuovo testo del TUE è, dunque, dotata – almeno sulla carta – di ampi ed incisivi poteri che fanno capo a tre principali attribuzioni: a) il potere di sollecitare e di orientare l’azione del Consiglio, sulla base, naturalmente, degli orientamenti generali definiti dal Consiglio europeo; b) il compito di assicurare l’attuazione delle decisioni assunte dal Consiglio europeo e dal Consiglio nell’ambito delle rispettive competenze; c) infine, il compito di riprodurre all’“esterno”, nelle relazioni diplomatiche e nelle negoziazioni bilaterali e multilaterali, la linea politica intrapresa.

“Minimo comune denominatore” di tutte le menzionate attribuzioni è dunque – nonostante quanto si dirà in prosieguo circa i limiti dell’operato dell’A.R. – la funzione di assicurare, come accennato, la “coerenza” dell’azione esterna dell’Unione, che passa, infatti, attraverso il potere di indirizzare e coordinare l’adozione di una strategia politica unitaria, di vigilare sulla sua attuazione e di proiettarla all’esterno.

Affinché l’A.R. possa esercitare il proprio potere di iniziativa politica, garantire l’attuazione delle decisioni e la coerenza dell’azione esterna, il TUE ha previsto una “doppia investitura” ed una correlata, duplice funzione, in seno al Consiglio e in seno alla Commissione. Si prevede, infatti, che l’A.R. adempia al ruolo di “stimolo” e di controllo dell’elaborazione della PESC agendo quale “mandatario del Consiglio” ed assumendone la presidenza nella formazione “affari esteri” (art. 18, par. 3, TUE), l’unica formazione ad avere una presidenza stabile. Al contempo, la funzione di “razionalizzazione” dell’azione esterna dell’UE è perseguita attribuendogli la qualità di membro di diritto della Commissione, in seno alla quale è investito ex officio del ruolo di vicepresidente (art. 18, par. 4, TUE) e della gestione del portafoglio “Relazioni esterne”.

 

II. Nomina dell’A.R. e “doppio cappello” La natura ibrida dell’A.R. si riflette anche sulla sua nomina.

L’art. 18, par 1, TUE prevede che esso sia «nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata e con l’accordo del Presidente della Commissione». Ma, come per il Presidente e gli altri membri della Commissione, la sua nomina deve essere poi sottoposta, ex art. 17, par.7, TUE, al voto di approvazione del Parlamento europeo (in prosieguo: PE) e il suo mandato ha durata quinquennale. Nel caso di mozione di censura, peraltro, l’.A.R. cessa unicamente dalle funzioni di commissario, non invece dal ruolo all’interno del Consiglio, continuando a presiedere la formazione “affari esteri”, non decadendo anche da tale funzione, dalla quale potrà essere rimosso unicamente attraverso la medesima procedura prevista per la sua nomina dal menzionato art. 18 TUE.

In qualità di commissario, l’A.R. è tenuto ad assumersi le responsabilità che incombono su tale istituzione e deve agire in piena indipendenza dai Governi nazionali. L’art. 17, par. 3, TUE, facendo espressamente salva la previsione dell’art. 18, par 2, TUE, consente, invece, di bilanciare la regola in base alla quale i commissari non possono sollecitare né accettare istruzioni da ogni altra istituzione, organo o organismo con la natura dell’A.R. quale “mandatario del Consiglio”.

 

III. La prossima scadenza del mandato dell’A.R. attualmente in carica. In vista della scadenza – il 31 ottobre 2014 – del mandato dell’A.R. attualmente in carica, la britannica Catherine Ashton, è opportuno fare un bilancio dei primi cinque anni di operatività della figura e vagliare le prospettive della stessa per il futuro.

Nonostante gli ampi poteri individuati, attualmente, dagli artt. 18 e 27 TUE, gli scarsi risultati ottenuti nel corso del primo mandato dell’A.R. hanno indotto i commentatori a ritenere il suo ruolo di scarsa incisività, a causa soprattutto della commistione di prerogative ancora sostanzialmente detenute da altri soggetti istituzionali o dagli stessi Stati membri dell’Unione.

Benché, infatti, il Trattato attribuisca formalmente all’A.R. il compito di orientare la politica estera dell’Unione, contribuendo con “proposte” all’elaborazione di una linea politica comune per l’azione esterna, si deve prendere atto che gli Stati membri continuano a diffidare di una politica estera europea, ostacolando l’elaborazione di una strategia politica unitaria (cfr. Lettera43)

Neppure il potere di rappresentanza esterna dell’Unione è di esclusiva spettanza dell’A.R.

Compete, infatti, anche al Presidente del Consiglio europeo – in base all’art. 15, par. 6, TUE – il compito di «assicurare la rappresentanza dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune». La norma fa espressamente salve le attribuzioni dell’A.R., alludendo però unicamente al compito, fissato proprio dal richiamato art. 27, par. 2, TUE, di «condurre, a nome dell’Unione, il dialogo politico con i terzi ed esprimere la posizione dell’Unione delle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali».

Inoltre, l’azione esterna dell’A.R. risente, nondimeno, del potere di rappresentanza affidato alla Commissione nelle altre politiche. La competenza dell’A.R. nella dimensione esterna si configura, infatti, come una «responsabilità diversamente graduata» che va scemando in relazione alla proiezione esterna delle singole politiche settoriali, riducendosi a «mero coordinamento dei Commissari competenti per quelle azioni» (cfr. R. Adam, A. Tizzano, Manuale di Diritto dell’Unione europea, 2014, p. 790). In tale ottica, occorre soffermarsi anche sulla circostanza che l’A.R., nell’esercizio delle sue funzioni, dovrebbe avvalersi dei membri del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), composto, in conformità all’art. 27, par. 3, TUE, da funzionari del segretariato generale del Consiglio e della Commissione, nonché da personale proveniente dai servizi diplomatici degli Stati membri. Tale composizione “mista” rende frequenti i contrasti tra le istruzioni impartite dall’A.R. e quelle impartite dalla Commissione ai propri delegati del SEAE nei settori dell’azione esterna rimasti di sua competenza.

Il permanere della predetta sovrapposizione di funzioni non solo comprime le attribuzioni dell’A.R., ma inoltre non ha permesso, come invece auspicato sin dagli anni ‘70, l’individuazione di un unico interlocutore europeo di fronte ai soggetti terzi, ancorché l’istituzione – avvenuta sempre per effetto delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona – di una presidenza stabile del Consiglio europeo, in carica per due anni e mezzo, dovrebbe contribuire ad evitare l’affacciarsi ogni sei mesi di nuove personalità sulla scena politica internazionale.

 

IV Nomina del nuovo A.R.. Il 30 agosto 2014, con la decisione 2014/639/UE il Consiglio europeo, secondo la procedura prevista dall’art 18, par. 1, TUE – e, dunque, come detto, a maggioranza qualificata (La Lituania, come aveva già preannunciato, si è astenuta, cfr. The Economist) e d’intesa con il Presidente della Commissione – ha nominato l’italiana Federica Mogherini (già Ministro degli Esteri del Governo Renzi), Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Essa sarà chiamata a sostituire, a far data dal 1° novembre 2014, l’Alto Rappresentante attualmente in carica, nell’ambito della nuova Commissione, presieduta dal nuovo Presidente Jean-Claude Juncker (sulla cui nomina cfr. il post di C. Giussani, in questo blog, 12 agosto 2014).

Contestualmente, con la decisione 2014/638/UE, è stato designato il nuovo Presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk (che ha goduto di un appoggio unanime), che prenderà il posto dell’attuale Presidente Herman Van Rompuy e con il quale l’A.R., come accennato, dovrà condividere – in base alle disposizioni degli artt. 15, par. 6, e 27, par. 2, TUE – l’importante funzione di rappresentare l’Unione europea nei rapporti con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali.

Entrambe le nomine sono state criticate per la scarsa esperienza e lo scarso peso istituzionale delle personalità prescelte (sul punto cfr. anche Le Monde), in particolare per l’asserita inadeguatezza nell’attrarre consensi in due ruoli che, invece, per le loro caratteristiche imporrebbero una grande capacità di creare coesione.

In particolare, con riferimento alla nomina di Federica Mogherini, foriera di preoccupazioni è la convinzione che, nonostante le prerogative previste dal Trattato, la figura di A.R. sia invero un involucro privo di reale spessore istituzionale e che, pertanto, per essere valorizzato, avrebbe richiesto un nome di grande personalità ed esperienza. Le critiche hanno manifestato soprattutto il timore che tale scelta possa consentire alle potenze politiche più forti di prevalere e di dettare le linee di politica internazionale. Ma la presunta “debolezza” del nuovo AR farebbe temere anche per una sua “influenzablità” da parte dello stesso Governo Italiano (la nomina era infatti già stata «osteggiata dai paesi dell’ex blocco sovietico e dalla Svezia, i quali giudicano eccessivamente filo-russa la politica del nostro governo»: amplius, cfr. il citato post di C. Giussani).

Tra le ragioni che hanno probabilmente concorso alla sua nomina non si è fatto mistero che la candidatura del ministro italiano fosse fortemente sostenuta dal PSE, deciso- dopo l’elezione alla presidenza della Commissione di Jean Claude Junker, esponente del PPE– a ripristinare l’“equilibrio” politico e ad ottenere una corrispondenza con i risultati delle elezioni europee (sulla ventata di novità data dalla scelta di proporre un candidato da parte dei partiti politici principali cfr. sempre il post di C. Giussani). La scelta era stata però altresì sponsorizzata per garantire un certo grado di rappresentatività di figure femminili all’interno della Commissione e scongiurare così il rischio di una mancata approvazione da parte del PE (cfr. Eunews).

Si tratta, pertanto, di determinare se la nomina sia stata unicamente strumentalizzata dalle dinamiche volte a garantire un bilanciamento “politico”, “geopolitico” e di “genere” nella distribuzione delle “poltrone” tra i rappresentanti dei Paesi membri, o se, al contrario, possa rivelarsi, oltre che nella forma, anche nella sostanza, una carica di rilievo.

Certamente le limitazioni riscontrate nell’operato del predecessore Ashton avvalorano la tesi secondo la quale nell’esperienza concreta la funzione dell’A.R. possa essere valorizzata solo sulla base di una serie di elementi estremamente variabili, quali la personalità dell’incaricato ed i rapporti interistituzionali ed extraistituzionali che saprà creare. Sul peso dell’A.R. incideranno quindi, probabilmente, innanzitutto, le sinergie con le altre istituzioni e gli incarichi di vertice al loro interno, nonché con gli altri membri della Commissione europea, nel cui ambito l’A.R. sarà incardinato.

In tale direzione merita un approfondimento l’organigramma previsto per la futura Commissione Junker, in quanto circoscrive il contesto in cui il nuovo A.R. si troverà, appunto, ad operare. Stando alla composizione che è stata presentata ufficialmente in data 10 settembre – ma che deve essere ancora sottoposta alle “interrogazioni” scritte e all’audizione da parte delle commissioni parlamentari competenti (il cui calendario è già stato fissato), e, poi, collegialmente, al voto di approvazione del PE – le novità sono molte e molto significative.

Rispetto al passato, il Presidente neo-eletto ha attribuito maggior peso al profilo dei candidati (che sono prevalentemente ex ministri e, addirittura, primi ministri) e ha optato per l’accorpamento dei tradizionali portafogli all’interno di nuclei tematici o aree di competenza individuati sulla base delle priorità politiche, che saranno posti sotto la direzione ed il coordinamento di sette vicepresidenti. Federica Mogherini, in quanto A.R, sarà uno dei “vicepresidenti-coordinatori”, ma diversamente dal suo predecessore non il primo dei Vicepresidenti, tale ruolo essendo stato conferito all’olandese Timmermans. A lei il compito di coordinare i commissari per la Politica di vicinato e di allargamento, Commercio, Cooperazione Internazionale e Sviluppo, Aiuti umanitari e Gestione delle crisi (http://www.elections2014.eu/en/new-commission/portfolios-and-candidates). A tutti i coordinatori, peraltro, sarà attribuito un potere di veto, che potrà contribuire a rafforzare anche i poteri del nuovo A.R. Jean-Claude Junker, infine, avrà il ruolo di “coordinare i coordinatori”.

Il “metodo Junker” ha già raccolto molti consensi. Per De Volkskrant (stampa olandese) sarà «quanto meno sulla carta, un contrappeso ai capi di governo, che hanno sempre più influenza sull’UE» (cfr. rassegna stampa Voxeurop). Si deve però dare atto che vi è il rischio che un numero così alto di ex primi ministri e ministri possa, al contrario, indebolire l’indipendenza effettiva della Commissione dai Governi nazionali.

Colpisce, poi, la scelta di Junker di inserire tra i nomi dei nuovi commissari di tre personalità conservatrici e non in linea con i valori dell’Unione (cfr. http://www.euractiv.it/it/news/istituzioni/9888-commissione-team-juncker-sindrome-buttiglione.html), che, se venissero confermati dal PE, potrebbero farsi portatori all’interno della stessa Commissione di propensioni euroscettiche dei Paesi membri.

Anche l’asserita nomina “debole” di Federica Mogherini potrebbe essere interpretata come segno della volontà degli Stati membri di mantenere il controllo e la gestione diretta della politica estera. Naturalmente ciò dipenderà dal suo concreto operato: il nuovo A.R. potrebbe, infatti, smentire le previsioni. E un primo segnale di cambiamento, almeno formale, pare esserci già stato: Federica Mogherini avrà, infatti, il suo ufficio principale nel palazzo della Commissione, il Berlaymont.

Alla luce di tutto quanto osservato si può comunque concordare sul fatto che, benchè la carica di A.R. sia una funzione certamente ancora “giovane” – che deve quindi tutt’oggi trovare la sua esatta collocazione istituzionale e che potrebbe essere consolidata attraverso il ricorso a “buone prassi” nella scelta del candidato – allo stato attuale la sua nomina risulta ancora fortemente legata a contingenze politiche e agli equilibri interstatuali.


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