La disciplina della circolazione di merci

Come ben evidenziato già dai primi commenti in dottrina (cfr. S. Peers, Analysis 2 of the Brexit deal: EU/UK Trade and Cooperation Agreement – overview, in EU Law Analysis), riguardo alla circolazione delle merci l’accordo sugli scambi commerciali tra l’UE e il Regno Unito poggia su tre pilastri: l’assenza di dazi doganali e di restrizioni quantitative (art. GOODS.5) – se non, quanto a queste ultime, ai sensi dell’art. XI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT 1994); il principio del trattamento nazionale (art. GOODS.4), ex art. III GATT 1994, in relazione alle imposizioni e alle normative interne; la libertà di transito (art. GOODS.4 bis), tramite le rotte più convenienti per il transito internazionale, secondo quanto disposto dall’art. V GATT 1994. Per tutti e tre tali fondamenti del titolo primo («Scambio di merci»), rubrica prima («Commercio»), della sua parte seconda («Commercio, trasporti, pesca e altri accordi»), l’accordo rinvia dunque esplicitamente alla disciplina derivante dall’accordo di Marrakech del 15 aprile 1994, istitutivo dell’OMC, integrandola così al suo interno.

Quanto ai dazi doganali, da intendersi come qualsiasi onere applicato all’importazione di una merce, essi sono in linea generale vietati così come lo sono dazi, imposte o altri oneri applicati all’esportazione di una merce verso una parte dell’accordo ove tali misure, non rispettando il principio del trattamento nazionale, risultino «superiori a quell[e] che sarebbero applicat[e] a merci simili destinate al consumo interno» (art. GOODS.6, par. 1). Esulano dall’ambito di applicazione della disposizione, non ricadendo dunque nel divieto generale, diritti e altri oneri applicati da una parte all’importazione/esportazione di una merce dell’altra parte ove «limitati al costo approssimativo dei servizi prestati» (art. GOODS.7, par. 1) non potendo essere considerati, se così, né strumenti di protezione indiretta rispetto alle merci di produzione interna né misure di tassazione delle importazioni/esportazioni a fini fiscali. Rispetto alle restrizioni quantitative, il rinvio all’art. XI GATT 1994 rende possibile per le parti, seppure in via d’eccezione e naturalmente nel rispetto del generale principio di non discriminazione, l’adozione di misure che limitino la circolazione delle merci a motivo, fra gli altri, di far fronte, temporaneamente, a situazioni critiche dovute alla penuria di prodotti alimentari o di altri prodotti essenziali ovvero, nel mercato agricolo e della pesca, a fenomeni, eccezionali e imprevisti, quali, ad esempio, la necessità di riassorbire un’eccedenza temporanea del prodotto nazionale similare. Resta inoltre ferma la facoltà per le parti di far ricorso a misure di salvaguardia. Il principio del trattamento nazionale, come ben noto, stabilisce che la merce importata non possa essere gravata da tasse o regolamentazioni interne superiori o più onerose rispetto a quelle applicate alle merci interne similari. Quanto, infine, alla libertà di transito, in virtù del rinvio all’art. V GATT 1994 merci (bagagli inclusi), navi e altri mezzi di trasporto sono considerati in transito, beneficiando della relativa libertà ex art. GOODS.4 bis, quando il passaggio attraverso il territorio di una parte rappresenta la frazione di un viaggio completo che abbia inizio e termine oltre i confini della parte il cui territorio è attraversato. L’art. GOODS.4 bis, inoltre, afferma espressamente che l’art. V GATT 1994 deve comprendere anche i movimenti dei prodotti energetici «mediante, tra l’altro, condotte o reti elettriche».

Il capo 2, «Regole di origine», rappresenta il complesso di disposizioni dall’effetto concreto indubbiamente più rilevante, determinando esso condizioni e procedure necessarie affinché una merce possa beneficiare del regime di preferenza fin qui sinteticamente ricordato. È da considerarsi “originario” delle parti dell’accordo il prodotto che sia ottenuto interamente in una di esse ai sensi dell’art. ORIG.5 (come, a puro titolo esemplificativo, le piante e i prodotti del regno vegetale coltivati o raccolti in tale parte o i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate); il prodotto fabbricato in una delle parti esclusivamente a partire da materiali originari di tale parte; il prodotto fabbricato in una delle due parti incorporando materiali non originari purché nel rispetto delle prescrizioni di cui all’allegato ORIG-2 (da intendersi, peraltro, alla luce dell’art. ORIG.6 che detta alcune tolleranze, al fine di ritenere i prodotti di volta in volta in esame comunque originari di una parte, sebbene tali prescrizioni non siano soddisfatte). Ancora, rispetto a questi ultimi prodotti, vale la pena ricordare come, in via di deroga, l’art. ORIG.7 disponga che non siano considerati originari i prodotti la cui produzione, avvenuta nel territorio di una delle parti, consista esclusivamente in talune operazioni effettuate su materiali non originari quali, ad esempio, le operazioni di conservazione (essiccazione, congelazione, conservazione in salamoia), di pulitura e lavaggio, di stiratura (per materiali tessili), di sbucciatura, snocciolatura e sgusciatura (per la frutta, gli ortaggi e i legumi), di apposizione o stampa di marchi, etichette, loghi o altri segni distintivi simili sui prodotti o sui loro imballaggi. Quanto a questi ultimi, inoltre, in via generale e al pari dei contenitori per la spedizione non sono presi in considerazione per determinare l’origine del prodotto, così come non rileva l’origine di alcuni degli elementi che siano stati utilizzati nella produzione della merce originaria come, fra gli altri, i combustibili, i lubrificanti, gli stampi, i dispositivi e le forniture di sicurezza impiegati per la produzione.

Rispetto alla procedure di origine, l’art. ORIG.18 subordina l’applicazione del trattamento tariffario preferenziale a una richiesta in tal senso, da parte dell’importatore e di norma inclusa nella dichiarazione doganale di importazione, che sia basata, alternativamente, su un’attestazione di origine rilasciata dall’esportatore in cui il prodotto è dichiarato originario ovvero sulla conoscenza del carattere originario del prodotto da parte dell’importatore. Quanto alla prima, valida in linea generale 12 mesi (e comunque non più di 24), tale attestazione è redatta in una delle versioni linguistiche indicate dall’allegato ORIG-4 (le lingue ufficiali dell’Unione, eccetto l’irlandese) e rilasciata su una fattura o su qualsiasi altro documento che descriva il prodotto originario «in modo sufficientemente dettagliato da consentirne l’identificazione». Qualora invece la richiesta si fondi sulla conoscenza del carattere originario del prodotto, l’importatore è chiamato a fornire ogni informazione utile a dimostrare che il prodotto è, appunto, originario e conforme alle prescrizioni del capo 2 dell’accordo. Se informazioni necessarie a tal fine non vengono rilasciate all’importatore dall’esportatore, il quale, ad esempio, le ritenga riservate o, in ogni caso, «per qualsiasi altro motivo» (art. ORIG.21, par. 2), l’esportatore può fornire un’attestazione di origine in modo che l’importatore possa richiedere il trattamento preferenziale ai sensi della previsione generale di cui all’art. ORIG.18, par. 2, lett. a). L’autorità doganale della parte importatrice può procedere alla verifica del carattere originario del prodotto (così come del rispetto di tutte le prescrizioni del capo 2) «sulla base di metodi di valutazione del rischio, che possono comprendere la selezione casuale» (art. ORIG.24, par. 1), oltre che richiedere informazioni all’importatore al momento della presentazione della dichiarazione di importazione, prima o dopo lo svincolo dei prodotti. Tali richieste non possono tuttavia avere a oggetto se non informazioni espressamente previste dall’art. ORIG.24, fra le quali, ad esempio, nel caso di una richiesta basata su un’attestazione di origine, ed eventualmente oltre a essa, le informazioni relative alla conformità dei criteri di origine ovverosia, fra gli altri, ove tale criterio sia basato sul peso, il peso del prodotto finale e quello dei pertinenti materiali non originari utilizzati nel prodotto finale; ove il criterio consista, nella sostanza, in uno specifico processo di produzione, la descrizione di quel processo. Qualora la richiesta di trattamento preferenziale sia fondata sulla conoscenza da parte dell’importatore, a quest’ultimo l’autorità doganale può chiedere informazioni supplementari, ove le ritenga necessarie, come pure «documenti specifici, ove opportuno» (par. 5). Ai fini di una corretta applicazione di tali disposizioni, è previsto un generale obbligo di cooperazione amministrativa fra le autorità doganali delle parti (art. ORIG.25); il capo 5 («Dogane e agevolazione degli scambi») prevede poi norme più specifiche volte a garantire l’efficacia dei controlli doganali nella piena applicazione della legislazione doganale e, in generale, della disciplina del commercio e dello scambio di merci, come nel rispetto di adeguati standard di sicurezza nella protezione dei cittadini. Rispetto a tale ultimo capo, merita di essere evidenziato l’impegno delle parti a prevedere procedure doganali semplificate (nelle quali, ad esempio, siano ritenute sufficienti dichiarazioni in dogana contenenti una serie ridotta di dati o un numero ridotto di documenti giustificativi) al fine di ottenere una riduzione dei tempi e dei costi per gli operatori e per le imprese, «comprese le piccole e medie imprese» (art. CUSTMS.5).

Completano il titolo I della parte seconda dell’accordo il capo 3, dedicato alle misure sanitarie e fitosanitarie, e il capo 4, relativo agli ostacoli tecnici agli scambi. Per entrambi, l’accordo rinvia alle determinazioni assunte e vincolanti per le parti nel contesto OMC, rispettivamente con l’accordo SPS e l’accordo TBT, prevedendo poi disposizioni più specifiche che si innestano su tale quadro generale.

Come ben rilevato in dottrina (cfr. G. Caggiano, Nota sulla Brexit e sulle nuove relazioni fra Unione europea e Regno Unito, in I Post di AISDUE, II, 2020), con riguardo alla disciplina dello scambio di merci, le disposizioni dell’accordo in parola «vanno al di là dei recenti accordi di libero scambio conclusi dall’UE con partner come il Canada e il Giappone». In particolare, l’assenza di dazi doganali e di restrizioni all’importazione e all’esportazione qualifica fortemente la zona di libero scambio, istituita ex art. OTH.3, fra l’Unione europea e il Regno Unito. Nella sua decisione 2020/2252,8 relativa alla firma e all’applicazione a titolo provvisorio, per l’essenziale, dell’accordo in commento, del resto, il Consiglio ricorda esplicitamente come, per via del suo particolarissimo (e finora del tutto inedito) status di paese che ha receduto dall’Unione, il Regno Unito si trovi «in una situazione diversa ed eccezionale in relazione all’Unione rispetto ad altri paesi terzi con cui l’Unione ha negoziato e concluso accordi» e non possa perciò non tenersi conto del fatto che, a conclusione del periodo transitorio di cui all’accordo di recesso, «la base della cooperazione con gli Stati membri dell’Unione è […] a un livello molto elevato, in particolare nei settori del mercato interno» (cons. 16). Tutto ciò, in una prospettiva di diritto dell’Unione europea, conferma la centralità dello scambio di merci nel contesto del mercato interno in termini, in particolare, di obiettivo, sostanzialmente raggiunto nel suo complesso, che costituisce un valore assoluto e, dunque, irrinunciabile anche nei rapporti che l’Unione intende intraprendere con un partner esterno (per quanto, come detto, del tutto sui generis); dal lato britannico, invece, deve tale risultato considerarsi anche in relazione agli elevatissimi costi che una soluzione meno favorevole avrebbe determinato, non essendo fin dall’inizio apparso verosimile immaginare un esito differente e, dunque, penalizzante per il Regno Unito. Può senz’altro dirsi che, a differenza di altri settori, nel negoziato tali due esigenze si siano pienamente sovrapposte e ciò a indubbio vantaggio degli operatori del mercato in oggetto.


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