La direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali

1. Profili introduttivi: la direttiva (UE) 2016/342

La direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali– che è stata pubblicata in GUUE l’11 marzo 2016 e che dovrà essere recepita entro il1° aprile 2018 – costituisce la prima “concretizzazione” di una serie di misure previste dalla Commissione europea nel novembre 2013 (COM (2013) 820 def.) al fine di rafforzare (dopo la “road map” tracciata nel 2009 e le direttive adottate sulla base della stessa) le garanzie delle persone indagate o imputate nei procedimenti penali nell’ambito del c.d. “spazio europeo di giustizia” (v., per tutti, A. Di Stasi, Spazio europeo e diritti di giustizia. Il Capo VI della Carta dei diritti fondamentali nell’applicazione giurisprudenziale, Padova, 2014).

Del “pacchetto” del 2013 fanno parte – oltre all’atto supra citato – anche due proposte di direttiva aventi ad oggetto la tutela di soggetti particolarmente “vulnerabili”, quali i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2013 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali, COM(2013) 822 def., di imminente adozione nella versione definitiva) ed i soggetti economicamente svantaggiati, beneficiari del c.d. patrocinio a spese dello Stato (proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2013 sull’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo, COM (2013) 821 def.). Mirano a rafforzare ulteriormente i diritti ivimenzionati due raccomandazioni aventi ad oggetto, rispettivamente, le garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate nei procedimenti penali ed il diritto al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati in procedimenti penali.

La direttiva 2016/343/UE disciplina non soltanto alcuni aspetti del principio della presunzione di innocenza ma anche il diritto di non autoincriminarsi, il diritto di rimanere in silenzio ed il diritto dell’imputato di presenziare al processo nei procedimenti penali.

Com’è facilmente intuibile, tale atto è stato adottato al fine di rafforzare il diritto ad un equo processo nei procedimenti penali e, soprattutto, di stabilire norme minime comuni – ai sensi dell’art. 82, par. 2, lett. b), TFUE, che ne costituisce la base giuridica – in relazione ad alcuni aspetti del principio della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo. In tal modo, esso intende promuovere (anche) la fiducia reciproca tra gli Stati membri e facilitare il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale nonché favorire la libera circolazione dei cittadini.

Giova precisare che nell’adozione della direttiva ha avuto un ruolo determinante, inter alia, il c.d. Programma di Stoccolma, segnatamente il punto 2.4 concernente i «diritti della persona nei procedimenti penali», ove il Consiglio ha invitato la Commissione europea a «esaminare ulteriori aspetti dei diritti procedurali minimi di indagati e imputati e valutare se sia necessario affrontare altre questioni, ad esempio la presunzione di innocenza, per promuovere una migliore cooperazione nel settore».

2. L’esigenza di rafforzare “alcuni” aspetti del principio della presunzione di innocenza

La direttiva persegue, innanzitutto, l’obiettivo di rafforzare alcuni aspetti della presunzione di innocenza dei soggetti indagati o imputati nei procedimenti penali «sino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza (art. 3).

Invero, la versione definitiva della stessa costituisce il “compromesso” finale di un acceso dibattito inter-istituzionale in ordine alla definizione dell’esatta portata di una serie di disposizioni previste nell’originario testo proposto dalla Commissione europea.

In particolare, tra i punti oggetto di maggiore discussione si colloca la questione dell’ambito di applicazione della direttiva che – nel testo finale – risulta limitato soltanto ai procedimenti penali così come intesi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, fatta salva la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (da qui in prosieguo Corte EDU) con esclusione, pertanto, dei procedimenti civili e dei procedimenti amministrativi «anche quando questi ultimi possono comportare sanzioni, quali i procedimenti in materia di concorrenza, commercio, servizi finanziari, circolazione stradale, fiscalità o maggiorazioni d’imposta, e alle indagini connesse svolte da autorità amministrative»(considerandon. 11).

Un altro aspetto oggetto di ampia discussione ha, inoltre, riguardato l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva in commento e, in particolare, la sua estensione anche alle persone giuridiche: il testo definitivo circoscrive – come chiaramente si evince dall’art. 2 e dal considerandon. 12 – le garanzie ivi contenute soltanto alle persone fisiche che sono indagate o imputate in un procedimento penale. La ratio di siffatta “esclusione” è desumibile dal considerandon. 13, ove si fa riferimento all’esistenza di «diversi livelli ed esigenze di tutela di alcuni aspetti della presunzione di innocenza con riferimento alle persone fisiche e giuridiche. Per quanto riguarda le persone fisiche, tale protezione rispecchia la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di giustizia ha tuttavia riconosciuto che i diritti derivanti dalla presunzione di innocenza non sorgono in capo alle persone giuridiche allo stesso modo rispetto a quanto accade per le persone fisiche». Inoltre, vi si legge che sul piano del diritto dell’UE appare (addirittura) prematuro legiferare in materia di presunzione di innocenza con riferimento alle persone giuridiche, laddove per queste ultime si rinvia alla protezione offerta dalle garanzie normative e dalla giurisprudenza esistenti. Tuttavia, è fatta salva l’applicazione della presunzione di innocenza alle persone giuridiche così come sancita nella CEDU e come interpretata dalla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo.

Con riferimento all’ambito di applicazione ratione temporis, ai sensi dell’art. 2 la direttiva copre «ogni fase del procedimento penale, dal momento in cui una persona sia indagata o imputata per aver commesso un reato o un presunto reato sino a quando non diventi definitiva la decisione che stabilisce se la persona abbia commesso il reato». Tale disposizione può essere letta in combinato disposto con il considerandon. 12, ove si precisa che la direttiva in commento si applica anche prima che una persona sia informata, mediante notifica ufficiale o in un altro modo, di essere indagata o imputata.La stessa disposizione chiarisce, inoltre, che sono escluse dall’ambito applicativo della direttiva «[l]e azioni legali e i mezzi di ricorso che sono disponibili solo quando tale decisione è divenuta definitiva, comprese le azioni dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Particolare rilievo assume, inoltre, l’art. 4, concernente i riferimenti in pubblico alla colpevolezza: ivi si precisa che – fino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza di un indagato o imputato – gli Stati membri adottano le misure necessarie a garantire che «le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole». Le «dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche», ai sensi del considerandon. 17, sono quelle riconducibili ad un reato e provenienti da un’autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all’applicazione della legge, o da un’altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che ciò lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunità.

Resta ferma, comunque, la possibilità di divulgare informazioni sui procedimenti penaliove ciò si riveli «strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale» (ad esempio, ai sensi del considerandon. 18, in caso di diffusione di materiale video e allorchè si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato)«o per l’interesse pubblico» (ad esempio, sempre ai sensi dello stesso considerando, nel «caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico»). Così come restano «impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità».

Siffatta disposizione, specie se letta in combinato disposto con il considerandon. 16, costituisce una chiara – sia pur implicita – espressione dei principi elaborati dalla Corte EDU in quanto le dichiarazioni pubbliche – così come le decisioni giudiziarie – non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole.

Segue l’art. 5 della direttiva, rubricato «presentazione degli indagati e imputati», ai sensi del quale «[g]li Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica. […] Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri applichino misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi». Tale disposizione appare ulteriormente rafforzata se letta alla luce del considerando n. 20, che annovera, tra le misure di coercizione fisica, le manette, le gabbie di vetro o di altro tipo e i ferri alle gambe, e n. 21 che invita, invece, le autorità degli Stati membri a non presentare indagati ed imputati con uniformi carcerarie«onde evitare di dare l’impressione che siano colpevoli».

L’art. 6 della direttiva, ancora una volta riecheggiando la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, stabilisce che l’onere della prova incombe sulla pubblica accusa «fatti salvi l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile». Al contempo, «[g]li Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta» (c.d. principio del favor rei).

Orbene, nel garantire il rispetto della presunzione di innocenza, la direttiva de qua recepisce, in buona sostanza, i principi elaborati dalla Corte EDU, soprattutto in relazione al contenuto “tipico” di tale diritto, ovvero l’impossibilità di trarre elementi di colpevolezza dalle decisioni o dalle dichiarazioni che precedono la sentenza definitiva; l’attribuzione dell’onus probandi in capo alla pubblica accusa e l’applicazione del principio del favor rei in caso di dubbi sulla colpevolezza dell’imputato; infine, il diritto dell’imputato di essere informato delle accuse nei suoi confronti (v., ex multis, Corte EDU, sentenza 6 dicembre 1998, ricorsi nn. 10588/83, 10589/83 e 10590/83, Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, par. 77).

3. I “corollari” della presunzione di innocenza: il diritto di rimanere in silenzio ed il diritto di non autoincriminarsi

Come anticipato, la direttiva sancisce anche, all’art. 7, il diritto di rimanere in silenzio ed il diritto di non autoincriminarsi, considerati aspetti specifici del principio della presunzione di innocenza: essi mirano ad evitare che gli indagati e gli imputati siano in qualche modo “costretti” a produrre prove o documenti ed a fornire informazioni che possano indurli ad autoincriminarsi.

Ad ogni modo, l’esercizio di tali diritti – che evidentemente non possono essere invocati in relazione a domande concernenti l’identificazione dell’indagato e dell’imputato – determina una duplice conseguenza: in primis, le autorità giudiziarie potrebbero tenere in debito conto, al momento dell’adozione della decisione finale, il comportamento collaborativo degli indagati e degli imputati. In secondo luogo, le autorità competenti non possono considerare l’esercizio di siffatti diritti come una prova di colpevolezza.

La stessa disposizione precisa, inoltre, che l’esercizio del diritto di non autoincriminarsi non impedisce «alle autorità competenti di raccogliere prove che possono essere ottenute lecitamente ricorrendo a poteri coercitivi legali e che esistono indipendentemente dalla volontà dell’indagato o imputato»: in quest’ultimo caso, si pensi, ad esempio, al materiale ottenuto sulla base di un mandato, o per il quale sussista l’obbligo per legge di conservarlo e fornirlo su richiesta, o l’analisi dell’aria alveolare espirata, del sangue o delle urine, o dei tessuti corporei per la prova del DNA (considerandon. 29). Ancora, come precisato dal sesto paragrafo dell’art. 6, gli Stati membri possono «prevedere che, in relazione ai reati minori, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell’indagato o imputato da parte delle autorità competenti in merito al reato ascritto loro, purché ciò rispetti il diritto a un equo processo» (si pensi ad esempio alle infrazioni minori del codice della strada).

Anche con riferimento a tale disposizione sono richiamati i principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo: basti pensare che il considerandon. 27 prevede, tra l’altro, che «[p]er determinare se il diritto al silenzio o il diritto di non autoincriminarsi sia stato violato, è opportuno tener conto dell’interpretazione del diritto a un equo processo ai sensi della CEDU data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo». Inoltre, gli indagati e gli imputati dovrebbero essere informati del diritto di non autoincriminarsi sia quando ricevono informazioni sui loro diritti, sia quando ricevono la comunicazione dei diritti ai sensi, rispettivamente, degli artt. 3 e 4 della direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali.

4. Il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali

La direttiva cristallizza, infine, il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali che, com’è noto, costituisce un’espressione del diritto ad un equo processo, di cui all’art. 6 della CEDU. L’esercizio di tale diritto comporta, in capo agli indagati ed agli imputati, la possibilità di chiedere che la data del processo venga differita, qualora siano impossibilitati a prendervi parte «per ragioni che sfuggono al loro controllo» (considerandon. 34). Ci sono, tuttavia, dei casi in cui lo svolgimento del processo o l’adozione della decisione sulla colpevolezza o innocenza possono avvenire anche in assenza del soggetto interessato: nel primo caso, qualora «quest’ultimo sia stato informato del processo e abbia conferito mandato a un difensore, nominato da lui o dallo Stato, per rappresentarlo in giudizio e che abbia rappresentato l’indagato o imputato» (considerandon. 37); nel secondo caso, qualora l’indagato o imputato sia stato informato in tempo utile del processo e delle conseguenze di una mancata comparizione e sia rappresentato da un difensore (art. 8, par. 2 e considerandon. 36).

Gli Stati membri possono comunque consentire l’adozione e l’esecuzione di una decisione anche nell’ipotesi in cui l’indagato o l’imputato non possa essere rintracciato in alcun modo, ad esempio in caso di fuga o latitanza. In tali ipotesi, tuttavia, i soggetti interessati dovrebbero essere informati, per iscritto o oralmente (purché ciò risulti verbalizzato) non soltanto dell’adozione della decisione nei loro confronti ma anche della possibilità di impugnarla e del diritto a un nuovo processo, o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale «che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria» ai sensi dell’art. 9 della stessa direttiva.

Il diritto di presenziare al processo non impedisce al giudice di allontanare temporaneamente l’indagato o l’imputato, qualora ciò risulti necessario per il corretto svolgimento del procedimento penale (ad esempio anche qualora la sua presenza ostacoli l’audizione di un testimone) e fatti salvi, ovviamente, i diritti della difesa. Tale diritto – che, per consolidata giurisprudenza della Corte europea, non è assoluto, in quanto gli indagati e gli imputati possono rinunciarvi – è garantito soltanto se le norme procedurali nazionali consentano lo svolgimento di una o più udienze mentre non opera ove esse non siano affatto previste o sia prevista solo una procedura scritta.

Sono fatte salve, inoltre, soprattutto per il diritto di presenziare al processo e per il diritto ad un nuovo processo, le esigenze specifiche delle persone vulnerabili, ed in particolare dei minori. All’uopo è richiamata la già menzionata raccomandazionedella Commissione del 27 novembre 2013 sulle garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate in procedimenti penali che considera “vulnerabili” gli indagati o imputati che non siano in grado di capire o partecipare efficacemente al procedimento penale per ragioni di età, condizioni mentali o fisiche o eventuali disabilità.

Infine, gli Stati membri sono tenuti a garantire ad indagati ed imputati un mezzo di ricorso effettivo nell’ipotesi in cui siano violati i diritti sanciti dalla direttiva.

5. Brevi considerazioni conclusive

In conclusione, se è vero che la direttiva (UE) 2016/343 intende rafforzare soltanto taluni aspetti del principio della presunzione di innocenza e del diritto di partecipare al processo, è altrettanto evidente che alcune disposizioni della stessa non appaiono affatto convincenti, al punto che ci si interroga se essa sia effettivamente in grado di consolidare l’equo processo e la fiducia reciproca tra gli Stati membri, così come voluto dal legislatore europeo. Infatti, alla luce dell’esame espletato, è possibile affermare che la direttiva de qua costituisce una riproduzione “parziale” della giurisprudenza della Corte EDU e testimonia un atteggiamento di eccessiva “cautela” nella definizione e nella disciplina dei diritti in essa contenuti al punto tale che – come rilevato anche dal rapporteur della commissione LIBE del PE, Nathalie Griesbeck – rischia di armonizzare le disposizioni nazionali “verso il basso”.


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