La direttiva 2017/541/UE e il difficile bilanciamento tra esigenze di pubblica sicurezza e rispetto dei diritti umani

1. Premessa.

I diffusi attacchi perpetrati dal terrorismo di matrice jihadista in ogni parte del mondo, diventati più frequenti negli ultimi anni a causa dell’ascesa del Daesh (l’organizzazione terroristica autoproclamatasi Stato Islamico), hanno indotto l’Unione europea a modificare la propria normativa, non più adeguata a fronteggiare l’evoluzione delle modalità operative che il terrorismo utilizza. Questo anche sulla scorta di quanto già previsto a livello internazionale.

Le preoccupazioni destate in particolar modo dalla grande espansione del fenomeno dei foreign fighters, combattenti che dal suolo europeo si recano in zone di conflitto per prendervi parte ovvero per ricevere addestramento al fine di commettere reati terroristici una volta rientrati sul suolo dell’Unione, hanno, infatti, portato all’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, della risoluzione 2178 (2014). Il provvedimento ha imposto agli Stati membri di assicurare nelle legislazioni nazionali la punibilità di determinate condotte, quali il viaggiare o il tentativo di viaggiare in un Paese terzo al fine di perpetrare, pianificare, preparare o partecipare ad attentati terroristici, il finanziamento, l’organizzazione e l’agevolazione di tali viaggi e il ricevere o impartire addestramento a fini terroristici.

La successiva risoluzione 2199 (2015) si è, invece, focalizzata sulla necessità di reprimere le modalità di finanziamento, di supporto esterno e di reimpiego di capitali a vantaggio delle organizzazioni terroristiche, dedicando particolare attenzione al commercio di petrolio, al traffico di opere d’arte, al sequestro a scopo di riscatto, all’abuso di strumenti bancari finanziari e al traffico di armamenti. E così, anche la raccomandazione n. 5 del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI o FAFT) del 2012, relativa al reato di finanziamento del terrorismo, dalla quale discende l’esigenza di affiancare alla criminalizzazione del finanziamento di atti terroristici anche il finanziamento di organizzazioni terroristiche e di gruppi individuali, a prescindere dall’esistenza di un legame concreto con uno o più specifici atti di terrorismo.

Analogamente, il Consiglio d’Europa ha adottato il 19 maggio 2015 un Protocollo addizionale alla Convenzione per la prevenzione del terrorismo del 16 maggio 2005, entrambi firmati dall’Unione il 22 ottobre 2015, qualificante come reati una serie di comportamenti che si affiancano a quelli già previsti dalla Convenzione, in particolare la partecipazione ad un’associazione o gruppo che persegue scopi terroristici, il ricevere addestramento a fini terroristici, il viaggiare all’estero a fini terroristici, il finanziamento e l’organizzazione o la facilitazione di tali viaggi.

Di conseguenza, in adempimento agli obblighi sanciti a livello internazionale e in risposta ai sanguinosi eventi di Parigi del 13 novembre 2015, la Commissione europea ha formulato una proposta di direttiva sulla lotta al terrorismo poi tradottasi nella direttiva 2017/541/UE del 15 marzo 2017, volta a sostituire la decisione quadro 2002/475/GAI così come modificata dalla decisione quadro 2008/919/GAI.

2. La normativa dell’Unione più risalente.

Il quadro normativo previgente la testé menzionata direttiva aveva visto l’adozione nel 2002 di un pacchetto di tre atti in un clima emergenziale, per rispondere all’esigenza di rassicurare l’opinione pubblica circa la capacità dell’Unione di fronteggiare minacce terroristiche transnazionali alla luce degli attentati dell’11 settembre 2001. Il legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’allora terzo pilastro, aveva, così, adottato a distanza ravvicinata la citata decisione quadro 2002/475/GAI sulla lotta al terrorismo, la decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo e la decisione 2002/187/GAI istitutiva di Eurojust, al fine di perseguire il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sul piano sostanziale, di assicurare il reciproco riconoscimento di decisioni volte alla consegna di soggetti da sottoporre a procedimento penale o nei cui confronti eseguire sentenze di condanna e di raggiungere un livello adeguato di coordinamento delle indagini (tra Stati membri) per le forme gravi di criminalità.

La decisione quadro sulla lotta al terrorismo, adottata sulla base degli artt. 29 e 31, par. 1, lett. e) TUE nella versione pre-Lisbona, inquadrava il terrorismo come minaccia ai valori universali sui quali si fonda l’Unione e perseguiva il principale obiettivo di ravvicinare, come anticipato, le normative nazionali sul piano sostanziale, fornendo un’adeguata definizione di reati terroristici nel tentativo di ovviare alle difficoltà riscontrate a livello internazionale per l’individuazione di una definizione di terrorismo in grado di raccogliere il consenso di tutte le parti coinvolte. Il legislatore europeo scelse, dunque, di (1) qualificare determinate condotte come terroristiche quando, da un punto di vista oggettivo, per la loro natura o contesto possono arrecare grave danno a un Paese o ad un’organizzazione internazionale, e quando, da un punto di vista soggettivo, sono commesse al fine di: (i) intimidire gravemente la popolazione, ovvero (ii) costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere qualsiasi atto, ovvero (iii) destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o un’organizzazione internazionale, per poi (2) procedere all’elencazione, corposa ma non esaustiva, di una serie di condotte tipiche eterogenee (art. 1).

Alla punibilità dei reati terroristici si affiancavano i reati riconducibili ad un’organizzazione terroristica (art. 2), intesa come associazione strutturata di più di due persone stabilita nel tempo e che agisce allo scopo di commettere reati terroristici in modo concertato: associazione costituita in modo non fortuito e non necessariamente caratterizzata da una distinzione formale dei ruoli ricoperti dai partecipi, né dalla continuità nella composizione. Agli Stati membri si imponeva di punire con misure idonee sia l’attività di direzione di un’organizzazione terroristica, sia la partecipazione alla stessa, anche estrinsecatasi fornendo informazioni o mezzi materiali, ovvero finanziandone le attività nella consapevolezza del contributo apprestato alle condotte criminose dell’associazione (art. 2 par. 2). E il legislatore europeo aveva previsto dei limiti edittali specifici per le fattispecie in esame, comminandosi la reclusione non inferiore nel massimo a quindici anni per i soggetti posti a direzione di un’organizzazione terroristica e non inferiore nel massimo a otto anni per i partecipi (art. 5 par. 3).

Si punivano, poi, come reati connessi alle attività terroristiche (art. 3) il furto aggravato, l’estorsione e la formazione di documenti apocrifi finalizzati alla commissione di reati terroristici, disposizione sulla quale sono intervenuti i principali emendamenti apportati dalla decisione quadro 2008/919/GAI.

La strumentalizzazione della rete per attività di reclutamento e propaganda, resa possibile dal progresso della tecnologia in materia di comunicazione e informazione, aveva, infatti, richiesto un adeguamento della normativa dell’Unione alle nuove modalità operative delle organizzazioni terroristiche, anche alla luce dell’entrata in vigore della citata Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo del 2005. Quest’ultimo provvedimento vincolava gli Stati contraenti a considerare la pubblica istigazione a commettere reati terroristici, il reclutamento e l’addestramento a fini terroristici come fattispecie di reato, e conseguentemente il legislatore dell’Unione era andato a modificare la normativa “interna” inserendo tali nuove condotte nell’alveo dei reati connessi alle attività terroristiche.

Si segnala, inoltre, come le fattispecie di reato individuate da entrambe le decisioni quadro fossero punibili, ai sensi dell’art. 4, nella forma del concorso, dell’istigazione e del tentativo.

Presa, tuttavia, coscienza della delicatezza dei temi da trattare, trovandosi alcune delle attività incriminate in una fase anticipatoria rispetto alla commissione degli attentati veri e propri, il legislatore europeo sottolineava in entrambi i provvedimenti l’esigenza di agire nella lotta al terrorismo senza pregiudicare i diritti fondamentali riconosciuti dall’Unione, e, in particolare, come gli emendamenti alla decisione quadro non avessero l’effetto di imporre l’adozione di misure confliggenti con la libertà di stampa o di espressione per il tramite dei vari mezzi di comunicazione. Tuttavia, per quanto possano considerarsi dichiarazioni lodevoli, la scelta di non porre in capo agli Stati membri obblighi di adozione di misure a presidio dei diritti fondamentali portava con sé l’elevato rischio di pregiudizio degli stessi nel caso in cui i legislatori nazionali si fossero limitati a trasporre pedissequamente le previsioni delle decisioni quadro senza previamente verificarne la conformità ai principi fondamentali del diritto penale interno.

3. La direttiva 2017/541/UE.

Nonostante gli Stati dell’Unione avessero manifestato la volontà di adottare misure efficaci, gli effetti conseguenti all’entrata in vigore della decisione quadro 2002/475/GAI non avevano, in realtà, confermato le aspettative, anche alla luce della ridotta vincolatività rappresentata dallo strumento della decisione quadro (che non può produrre effetto diretto), oggetto di poche e tardive trasposizioni (avverso cui non era esperibile la procedura di infrazione). Maggior successo avevano riscosso gli emendamenti del 2008, sebbene la Commissione non avesse tardato a mostrare motivi di preoccupazione concernenti le disparità di trasposizione negli Stati membri in merito ai delitti di pubblica provocazione a commettere reati terroristici e all’incriminazione del reclutamento a fini terroristici.

L’esigenza di intervenire sostituendo la decisione quadro del 2002, come “aggiornata” nel 2008, attraverso una direttiva era, quindi, evidente e già stata sottolineata nella risoluzione del Parlamento europeo del febbraio 2015 adottata in risposta agli attentati alla sede parigina della rivista satirica di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015. Il nuovo atto si colloca nell’ambito degli interventi di modifica/revisione/sostituzione degli atti dell’Unione dell’ex terzo pilastro, sulla scorta di quanto richiesto a Parlamento europeo, Consiglio e Commissione dalla dichiarazione n. 50 allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona (benché essa auspicasse interventi siffatti entro la fine del regime transitorio del vecchio terzo pilastro e, dunque, entro il 30 novembre 2014).

Conseguentemente, la direttiva 2017/541/UE, in virtù dei poteri concessi a Parlamento europeo e Consiglio dall’art. 83, par. 1 TFUE, si appresta ad ampliare il novero dei reati terroristici, dei reati connessi ad attività terroristiche e dei reati riconducibili ad un gruppo terroristico, intervenendo anche sulle disposizioni vigenti in materia di concorso, istigazione e tentativo. La direttiva predispone inoltre, sulla base dell’art. 82, par. 2, lett. c) TFUE, particolari garanzie a favore delle vittime di reato. Questo perché la particolare aggressività dei reati di terrorismo porta con sé l’esigenza di apprestare tutele speciali alle vittime di tali eventi sanguinosi, più specifiche rispetto a quanto previsto dalla direttiva 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e non pregiudicando l’applicazione della direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo per le vittime di reato.

In virtù dei Protocolli n. 21 e n. 22 allegati al Trattato di Lisbona e del sistema di geometria variabile creatosi a causa della posizione differenziata di Regno Unito, Irlanda e Danimarca rispetto alla cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia, la direttiva non vincolerà tali Stati. Irlanda e Regno Unito potrebbero decidere di vincolarsi alla direttiva, per quanto risulti improbabile una scelta in tal senso almeno per il Regno Unito, visto il via ufficiale dato alla Brexit in data 29 marzo 2017 con la notifica ex art. 50 TFUE sulla volontà di attivare la procedura di recesso dall’Unione. La Danimarca, al pari dell’Irlanda (in assenza di un eventuale opt-in rispetto alla direttiva), continuerà ad essere vincolata alle disposizioni della decisione quadro 2002/475/GAI, non potendo adottare l’atto senza previamente decidere di rinunciare al regime particolare rispetto al settore in esame nella sua totalità.

Nell’explanatory memorandum allegato alla proposta di direttiva la Commissione spiega le ragioni sottese alla sua adozione, evidenziando come il fenomeno dei foreign fighters desti grande preoccupazione a causa della possibilità di utilizzare le competenze acquisite dai combattenti in territori di conflitto, oltre che per l’organizzazione logistica di attentati su vasta scala, anche per l’attività di reclutamento, addestramento e radicalizzazione, istigazione e raccolta fondi. Accanto a questi si collocano i c.d. lone offenders, estremisti radicalizzati che potrebbero decidere di agire in via autonoma, magari perché impossibilitati a recarsi in territorio straniero a causa di provvedimenti restrittivi della libertà di circolazione. La Commissione prende in considerazione a tal fine anche gli spostamenti interni allo stesso territorio dell’Unione e finalizzati all’elusione di controlli per procurarsi fondi o armi, ovvero al compimento di attentati su territorio diverso dallo Stato membro di residenza/cittadinanza.

Si rimarca altresì l’esigenza di contrastare l’uso di Internet per finalità terroristiche e di implementare l’efficacia dei precedenti interventi del 2008, preso atto del fatto che la rete costituisce il principale strumento utilizzato dai terroristi per attività di propaganda, di diffusione di pubbliche minacce e di rivendicazione e glorificazione di atti di terrorismo.

Sebbene la previsione di norme minime da parte dell’Unione sia giustificabile sotto il profilo del rispetto del principio di sussidiarietà ex art. 5, par. 3, TFUE, al fine di garantire un’azione più efficace per contrastare un fenomeno, quale il terrorismo, di natura transfrontaliera e per facilitare la cooperazione anche con i paesi terzi (vincolati dalla risoluzione 2178, dal Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa e dalle raccomandazioni del GAFI), lo stesso non può dirsi in relazione al rispetto del principio di proporzionalità ex art. 5 TUE. La direttiva, difatti, non precisa quali siano le lacune della normativa previgente da colmare, né le supposte ragioni della sua inefficacia, oltre alla mancanza di una valutazione d’impatto del provvedimento a giustificazione della quale erano state addotte ragioni di urgenza e celerità. Sarebbe stato, invero, auspicabile un’indagine approfondita sugli effetti conseguenti all’adozione di un simile provvedimento, specificando in maniera puntuale le falle degli strumenti previgenti (semplicemente menzionate nell’explanatory memorandum della proposta) approfondendone le cause ed esemplificando le situazioni non fronteggiabili per il tramite della precedente normativa, di modo da giustificare un intervento dell’Unione nel rispetto del principio di proporzionalità. (Meijers Committee – Note on a proposal for a Directive on combating terrorism).

Il legislatore dell’Unione ha deciso di non modificare la definizione di reati terroristici individuata dalla decisione quadro 2002/475/GAI e di riprodurla interamente all’art. 3 della direttiva, con la sola aggiunta della condotta di interferenza illecita relativamente ai sistemi e ai dati ai sensi della direttiva 2013/40/UE in materia di attacchi contro i sistemi di informazione.

Le principali novità si registrano nell’ambito dei reati connessi alle attività terroristiche, attraverso l’imposizione di obblighi specifici in capo agli Stati membri affinché vengano qualificati come reato: (i) ricevere addestramento a fini terroristici (art. 8); (ii) viaggiare a scopi terroristici, sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea (art. 9); (iii) finanziare, facilitare o organizzare tali viaggi (art. 10); (iv) apportare fondi per la commissione di reati terroristici (art. 11). Il legislatore dell’Unione interviene anche rafforzando le disposizioni relative alla propaganda a fini terroristici (art. 5), al reclutamento (art. 6) e all’addestramento (art. 7).

L’intento repressivo si manifesta, dunque, sotto un duplice profilo: oltre a punire il soggetto appartenente all’organizzazione terroristica, in veste di figura apicale o di mero partecipante, si persegue anche l’individuo che contribuisca consapevolmente alla commissione di reati terroristici, benché esterno all’organizzazione vera e propria. E per tutte le fattispecie di reato introdotte dal provvedimento in esame diventa decisiva l’indagine sull’elemento psichico posto a direzione dell’azione dell’agente. Tuttavia, trattandosi di condotte caratterizzate da un marcato arretramento della soglia della punibilità, si rende complessa la fase dell’accertamento o della consumazione del reato, posto che si tratta di attività talvolta collocate a livello temporale in una fase antecedente agli atti preparatori.

Agli Stati membri è imposta, inoltre, l’adozione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive per punire i reati individuati dalla direttiva. Per i delitti di cui all’art. 3, par. 1 (reati di terrorismo) e all’art. 14 (concorso, istigazione e tentativo), le pene detentive dovranno essere più severe rispetto a quanto previsto dal diritto nazionale per i corrispondenti reati comuni in assenza della finalità di terrorismo. Il legislatore dell’Unione, analogamente a quanto già previsto dalla precedente decisione quadro 2002/475/GAI, così come modificata dalla decisione quadro 2008/919/GAI, commina la pena della reclusione non inferiore nel massimo ad anni quindici per la condotta di direzione di un’organizzazione terroristica e non inferiore nel massimo ad anni otto per le attività di partecipazione. La reclusione non inferiore nel massimo ad anni otto si applica anche nel caso in cui il soggetto posto a direzione di un’organizzazione terroristica minacci di commettere uno dei reati terroristici di cui all’art. 3, par. 1 della direttiva (art. 15).

Ulteriori disposizioni sono previste in materia di confisca (art. 20), onde coordinare l’azione repressiva in materia di terrorismo con la disciplina di cui alla direttiva 2014/42/UE in materia di congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, e in materia di contrasto ai contenuti online riconducibili alla pubblica provocazione a commettere reati terroristici (art. 21). Tali previsioni si rendono necessarie affinché anche l’Unione possa giovarsi di strumenti efficaci nel contrasto al terrorismo transnazionale del calibro di quelli già previsti nelle legislazioni nazionali per fronteggiare forme gravi di criminalità.

L’art. 21, in particolare, impone agli Stati membri l’adozione delle misure necessarie al fine di assicurare la tempestiva rimozione di contenuti online di matrice terroristica ospitati nel loro territorio ma anche al di fuori, ovvero di provvedere al blocco dei contenuti qualora non fosse possibile la rimozione degli stessi. Rispetto alla norma in esame sono state mosse molte critiche: essa, in particolare, è stata tacciata di formulazione troppo vaga, di un riferimento troppo generico a Internet e di non precisare cosa si intenda realmente per contenuti riconducibili alla pubblica provocazione, esistendo un’area intermedia tra i contenuti a ideologia radicale e contenuti realmente collegati al terrorismo lasciata interamente alla gestione da parte degli Stati membri (Perez M. F., The time has come to complain about the Terrorism Directive, 2017).

La direttiva dedica infine l’intero titolo V alle disposizioni in materia di diritti, protezione e sostegno alle vittime del terrorismo, tra cui vengono ricomprese non solo la persona offesa e il danneggiato dal reato, ma anche il familiare di una persona deceduta in conseguenza di un attentato terroristico. Il titolo prende in considerazione i soli reati terroristici di cui all’art. 3 della direttiva, consistendo gli altri delitti in condotte preparatorie che, di regola, non mietono vittime dirette. Spicca l’obbligo in capo agli Stati membri di istituire dei servizi di sostegno che siano in grado di affrontare le esigenze specifiche delle vittime del terrorismo, tra cui sostegno emotivo e psicologico per il trauma subito, consulenza ed informazioni su pertinenti questioni giuridiche o finanziarie, di modo da rispondere alle esigenze delle vittime e dei loro familiari immediatamente dopo un attentato terroristico e per tutto il tempo necessario.

4. Segue:L’impatto delle nuove disposizioni della direttiva sulla tutela dei diritti fondamentali.

Ancor prima dell’adozione definitiva della direttiva in esame, Amnesty International aveva denunciato lacune e problematiche delle misure adottate dagli Stati membri dell’Unione europea nel biennio 2014-16 dalle quali emergeva un esercizio di poteri incontrollati che calpestano libertà fondamentali. Aspre critiche erano state mosse nei confronti delle misure restrittive adottate in un’ottica di prevenzione che consentivano l’incriminazione di comportamenti collegati in modo estremamente labile con effettivi atti di terrorismo, restringendo in maniera ingiustificata la libertà di circolazione, la libertà di espressione e di pensiero, oltre che il diritto alla privacy.

Posto che le disposizioni adottate dal legislatore dell’Unione non si discostano in maniera significativa dalle innovazioni che molti Stati membri hanno introdotto negli ordinamenti interni, sono molte le organizzazioni che si sono espresse in maniera critica sulla proposta di direttiva e sul testo finale adottato nel marzo scorso. Il Comitato Meijers e l’European Digital Rights, tra le altre, hanno denunciato la carente documentazione addotta dall’Unione per giustificare una siffatta anticipazione della tutela penale: anticipazione che sarebbe in ogni caso da evitare anche in considerazione del fatto che, per alcune condotte, non risulta nemmeno necessaria la concreta commissione di un attacco terroristico. La vaghezza delle disposizioni non richiederebbe, infatti, un reale collegamento con il reato principale, ponendosi in contrasto con il principio di legalità sancito dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 7 CEDU.

È evidente anche il rischio che vengano puniti semplici simpatizzanti dell’ideologia radicale che non riconoscano necessariamente nella violenza l’unica via per agire, soprattutto in relazione alle condotte di pubblica provocazione a commettere reati di terrorismo ex art. 5, sebbene nel considerando n. 10 si specifichi la necessità di tenere conto, nelle more di trasposizione della menzionata previsione, del contesto in cui l’atto è commesso, dell’entità e della natura verosimile del pericolo.

Si dubita, poi, della conformità della proposta ad altre iniziative dell’Unione europea in merito alla deradicalizzazione e riabilitazione di potenziali terroristi stranieri, in quanto il pericolo di essere perseguiti dall’autorità potrebbe scoraggiare il rientro di individui intenzionati a tornare sul suolo dell’Unione per collaborare con le autorità di intelligence. Gli stessi familiari che nutrano un sospetto di radicalizzazione nei confronti di un parente si potrebbero dimostrare più riluttanti a denunciarlo, a causa del severo trattamento sanzionatorio cui sarebbe condannato. L’incarcerazione, in ogni caso, non dovrebbe costituire la risposta principale al problema del terrorismo, considerata l’elevata esposizione dei detenuti al rischio di radicalizzazione all’interno delle carceri e la questione del sovraffollamento carcerario. (come sostenuto dal Comitato Meijers nel summenzionato commento – Meijers Committee – Note on a proposal for a Directive on combating terrorism).

Nonostante alcune delle critiche siano state accolte nei lavori di preparazione alla direttiva e abbiano portato a modifiche della proposta originaria, tra cui il riferimento al rispetto dei diritti fondamentali ex art. 6 TUE, non più limitato al preambolo del provvedimento ma sancito nel suo art. 23, e la possibilità di esprimere punti di vista radicali o polemici nel dibattito pubblico senza per ciò stesso essere additati di estremismo violento, rimane un pensiero di fondo: la direttiva mette in pericolo la protezione dei diritti degli individui e delle loro libertà fondamentali, facendo trasparire la concezione secondo cui per sconfiggere chi vuole distruggere le libertà fondamentali del mondo occidentale occorra limitare e sospendere queste stesse libertà. (Perez M. F., Terrorism Directive: document pool, 2016).

5. Le (poche) necessità di adeguamento dell’ordinamento italiano.

Il termine entro il quale gli Stati membri dovranno recepire negli ordinamenti nazionali le novità introdotte dalla direttiva 2017/541/UE è l’8 settembre 2018, ma all’Italia non saranno richieste consistenti modifiche per adeguare la normativa nazionale agli obblighi “comunitari”. L’azione del legislatore italiano nella lotta contro il terrorismo, infatti, dapprima con il d. l. n. 144/2005 e successivamente con il d. l. n. 7/2015 e la l. n. 153/2016, ha portato all’adozione di disposizioni volte ad incriminare le fattispecie di finanziamento, di addestramento, di arruolamento, di viaggi a fini terroristici e delle condotte a queste correlate, analogamente a quanto richiesto dal più recente provvedimento normativo comunitario. Gli interventi di adeguamento saranno quindi minimi e limitati all’ampliamento dell’ambito di applicazione di fattispecie già esistenti.

Più nello specifico, sarà richiesta una modifica agli artt. 270-quater e 270-quinquies c.p., rispettivamente dedicati al reclutamento e all’addestramento (attivo e passivo) finalizzati alla commissione di reati terroristici, al fine di estenderne la portata, ora limitata ai casi di azione finalizzata al compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, all’ampia serie di condotte ex art. 3 della direttiva.

L’art. 270-quater.1 c.p., dedicato alla criminalizzazione di viaggi a fini terroristici, attualmente non contempla la punibilità del singolo spostamento e non incrimina direttamente il viaggiatore, carenze cui il legislatore dovrà ovviare.

Si renderà necessario, infine, configurare come fattispecie autonome il furto aggravato, l’estorsione e la produzione/utilizzo di documenti apocrifi allo scopo di commettere un reato terroristico, attualmente punibili attraverso le corrispondenti fattispecie base, ex artt. 625, 629 e 497-bis c.p., aggravate dalla circostanza ex art. 1 d. l. n. 625/1979 che comporta un aumento di pena della metà per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico punibili con pena diversa dall’ergastolo.


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