La direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine penale

Il 3.4.2014 Parlamento europeo e Consiglio hanno approvato – a distanza di 4 anni dall’originaria proposta (GUUE C 165 del 24.6.2010) e non senza significativi emendamenti – la direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine penale (OEI – GUUE L 130 del 1.5.2014). L’istituto si colloca (verosimilmente) a conclusione dei plurimi interventi volti ad agevolare l’acquisizione ed il trasferimento della prova penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, rappresentando ad oggi il tentativo più organico di applicare il principio del reciproco riconoscimento alla materia in parola. La direttiva, che ha base giuridica nell’art. 82, par. 1, TFUE, consentirà – se opportunamente attuata – che le misure investigative o atti di indagine “ordinati” dalla competente autorità di un determinato Stato (c.d. Stato di emissione) producano effetti anche in un diverso Stato membro (c.d. Stato di esecuzione), assicurando in tal modo un più celere e semplificato reperimento di prove e dati collocati ultra fines.

Il superamento dell’originario meccanismo rogatoriale in favore dell’applicazione del principio del reciproco riconoscimento anche alle decisioni non definitive in materia penale e, segnatamente, alle decisioni giudiziarie in materia di prova, era già stato teorizzato dalle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999. Tuttavia, gli strumenti adottati in attuazione dei punti 33 e 36 di tali conclusioni – ovvero la (decisione quadro) DQ 2003/577/GAI, che ha esteso l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni di blocco dei beni e sequestro probatorio (GUUE L 196 del 2.8.2003.) e la DQ 2008/978/GAI relativa al mandato europeo di ricerca della prova (MER; GUUE L 350 del 30.12.2008) – non si sono rivelati idonei a conseguire i risultati auspicati. La pressoché nulla trasposizione di tali strumenti negli Stati membri è stata unanimemente addebitata non (sol)tanto alla diversa e sicuramente meno autorevole natura giuridica dello strumento adoperato – la decisione quadro, appunto – ma, soprattutto, al loro ristrettissimo ambito applicativo, circoscritto, nel caso della DQ 577/2003, alle sole prove potenzialmente oggetto di misure cautelari reali e, nel caso della DQ 978/2008, alle sole prove pre-costituite e comunque di immediata disponibilità. Tali soluzioni hanno lasciato, infatti, sopravvivere il binomio assistenza giudiziaria – reciproco riconoscimento.

Sulla scorta delle critiche ai menzionati strumenti, raccolte soprattutto in occasione delle consultazioni avviate tra gli Stati membri con ilLibro verde sulla ricerca delle prove in materia penale tra Stati membri e sulla garanzia della loro ammissibilità(COM(2009)624 def.), la nuova direttiva si prefigge l’obiettivo di dar vita ad «un sistema generale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera» (in linea con le previsioni di cui al punto 3.1.1 del programma di Stoccolma del 2009). Si chiarisce, infatti, nel suo considerando 35, chel’applicazione della direttiva tra i (ventisei) Stati membri da essa vincolati (sono esclusi Danimarca e Irlanda) è «preminente» rispetto alle convenzioni di assistenza giudiziaria, anche approvate nel contesto del Consiglio d’Europa. Il ricorso all’assistenza giudiziaria sarà reso superfluo essenzialmente dal fatto che il nuovo strumento, definito non a caso “onnicomprensivo”, potrà operare anche per l’acquisizione di prove non ancora disponibili nella giurisdizione nazionale dello Stato di esecuzione, andando al di là del principio di disponibilità consacrato nel programma dell’Aja del 2004.

Il principale discrimen con gli strumenti preesistenti risiede, quindi, nell’ampia sfera di applicazione dell’OEI, che, infatti, vanterà «una portata orizzontale» (considerando 8) e sarà sperimentabile per «tutti gli atti di indagine finalizzati all’acquisizione di prove», fatta eccezione per «la costituzione di una squadra investigativa comune […] e l’acquisizione di prove nell’ambito di tale squadra», disciplinate dalla DQ 2002/465/GAI.

Tale disposizione manifesta una scelta metodologica diametralmente opposta rispetto a quella adottata dalla precedente DQ MER, che aveva intenzionalmente aggirato il problema terminologico dell’individuazione di un concetto di “atto di indagine” unanimemente valido per la totalità degli Stati coinvolti. La predetta DQ aveva, di fatto, limitato i poteri ascrivibili all’autorità di emissione alla sola possibilità di fissare un obiettivo da raggiungere – attraverso la segnalazione all’autorità ricevente degli “oggetti, documenti, dati” da acquisire – lasciando interamente nelle “mani” dello Stato di esecuzione la scelta delle modalità per conseguire tale fine. La direttiva 2014/41 ha, invece, optato per rimettere la scelta in merito all’atto di indagine da eseguire proprio in capo all’autorità di emissione, che – si legge al considerando 10 – «è nella migliore posizione per decidere, in base alla sua conoscenza dei dettagli dell’indagine interessata, a quali atti ricorrere» e che soprattutto dovrà, in ultima analisi, avvalersi dei risultati probatori eventualmente ottenuti.

La sfera di operatività dello strumento è, dunque, delimitata dal significato che può essere attribuito al concetto di «atto di indagine». Non dovrebbero esservi dubbi in merito all’applicazione dell’OEI anche alla categoria delle prove costituende, precedentemente escluse: esso così sarà adottabile, oltre che per ispezioni e sequestri, altresì per l’acquisizione della prova dichiarativa, le indagini corporali, in particolare la ricerca di materiale genetico (DNA). Rientrano a pieno titolo tra le misure di cui potrà essere ordinata l’esecuzione anche le verifiche, i controlli ed in generale gli accertamenti su conti correnti bancari e sulle transazioni finanziarie (come specificato nel considerando 27). La novità è particolarmente importante, non soltanto perché buona parte delle investigazioni transfrontaliere coinvolge proprio i flussi di denaro, ma soprattutto perché questi strumenti erano resi disponibili unicamente dal 2° protocollo della convenzione di assistenza giudiziaria del 2000, ratificato da un numero ristretto di Stati membri. In tali casi, peraltro, è probabile che l’indagine possa sfociare nell’applicazione della misura della confisca. È dunque importante che l’autorità di emissione presti attenzione alla possibile sovrapposizione di finalità probatorie, cautelari e sanzionatorie (considerando 34). Ed il testo dovrà, infatti, coordinarsi con la nuova direttiva 2014/42/UE, sempre del 3.4.2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea (GUUE L 127 del 29.4.2014). Sembra, inoltre, che in linea di principio la direttiva potrà trovare applicazione anche rispetto all’acquisizione di estratti del casellario giudiziario, nonostante l’esistenza di strumenti appositamente elaborati dall’UE. Perdurano, invece, dubbi in merito alla possibilità di esperire l’OEI per il compimento di atti solo prodromici rispetto al compimento di attività istruttoria, segnatamente la notificazione e la citazione di testi, per i quali il rischio è che si debba continuare a ricorrere al tradizionale sistema dell’assistenza giudiziaria.

Sotto il profilo soggettivo, l’OEI potrà essere emesso (art. 2) da: i) «un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente o ii) da qualsiasi altra autorità competente, definita dallo Stato di emissione». In questo secondo caso, che potrà verificarsi nel quadro dei procedimenti di cui all’art. 4 lett. b) – vale a dire nell’ambito di procedimenti avviati da autorità amministrativa «la cui decisione possa dar luogo ad un procedimento davanti ad un organo giurisdizionale competente […] in materia penale» – l’ordine, prima di essere trasmesso, dovrà essere convalidato da un’autorità giudiziaria.

L’art. 1 par. 3 introduce, inoltre, la possibilità che l’emissione possa essere sollecitata dalla «persona sottoposta alle indagini o dal soggetto imputato», anche a mezzo del proprio «avvocato, nel quadro dei diritti della difesa applicabili e conformemente al diritto nazionale», garantendo il diritto alla prova anche in un’ottica transnazionale.

Quanto all’autorità deputata a ricevere l’OEI viene – ancora una volta (come già accaduto nella DQ MER) – recuperata la possibilità per lo Stato di esecuzione di designare anche un’autorità centrale, con il limite del rallentamento della procedura. Eventualmente gli Stati coinvolti possono anche avvalersi della rete giudiziaria europea.

All’occorrenza, l’OEI già emesso potrà essere integrato da un nuovo ordine di indagine (art. 8).

L’emissione dell’OEI dovrà essere preceduta un duplice vaglio di ammissibilità.

In primo luogo, l’emissione dovrà apparire «necessaria e proporzionata» rispetto alle finalità del procedimento in corso, «tenendo conto dei diritti della persona sottoposta alle indagini e imputata». La valutazione dovrà riguardare la necessità e la proporzionalità della prova richiesta, nonché del mezzo prescelto. Trattandosi di una valutazione rimessa unicamente all’autorità di emissione (che ex art. 6, par. 2 «vi procederà caso per caso») alcune delegazioni di Stati membri (si v. doc. del Consiglio del 19.4.2011, n. 8474/11) hanno espresso la preoccupazione che i risultati del giudizio di necessità e proporzionalità possano non essere condivisibili dallo Stato di esecuzione in base al proprio diritto interno. Attenua, almeno in parte, queste preoccupazioni l’art.10, che tenta un bilanciamento tra le esigenze probatorie dello Stato di emissione e l’importanza di preservare le prerogative dello Stato di esecuzione. Da un lato, infatti, l’art 10, al par. 3, dà atto della possibilità che l’atto di indagine ordinato non sia contemplato dal diritto nazionale dello Stato di esecuzione, ovvero non sia utilizzabile in un caso nazionale analogo, consentendo all’autorità di esecuzione di ricorrere ad un diverso, «alternativo», atto di indagine, a patto però che «assicuri lo stesso risultato dell’atto richiesto con risultati meno intrusivi». La circostanza che non esista un simile mezzo alternativo costituisce, peraltro, motivo legittimo di rifiuto dell’esecuzione, che deve essere tempestivamente comunicato all’autorità di emissione. Dall’altro lato, il par. 2 dell’art. 10 limita comunque la possibilità dello Stato di esecuzione di sottrarsi all’esecuzione della misura investigativa richiesta, introducendo un elenco di atti che «devono sempre essere disponibili in base al diritto nazionale dello Stato di esecuzione», fatta eccezione soltanto per il caso che ricorra uno dei motivi di non riconoscimento di cui all’art. 11. Lo Stato di esecuzione dovrà dunque sempre consentire: «a) l’acquisizione di informazioni o prove che sono già in possesso dell’autorità di esecuzione; b) l’acquisizione di informazioni contenute in banche dati della polizia o delle autorità giudiziarie; c) l’audizione di un testimone, di un esperto, di una vittima, di una persona sottoposta ad indagini o di un imputato o di terzi, nel territorio dello stato membro di esecuzione; d) atti di indagine non coercitivi definiti dal diritto dello Stato di esecuzione; e) l’individuazione di persone titolari di un abbonamento a uno specifico numero telefonico o indirizzo IP».

La seconda condizione di cui all’art. 6 impone invece che «l’atto o gli atti di indagine menzionati nell’OEI possano essere emessi alle stesse condizioni in un caso nazionale analogo». La disposizione intende scongiurare il rischio che l’ordine di indagine sia utilizzato per eludere le restrizioni vigenti all’interno dello Stato di emissione, in particolare che esso possa dare adito all’esecuzione di misure investigative in assoluto non ammesse in base al diritto nazionale di tale Stato o non ammesse a parità di circostanze.

Rispetto alla proposta originaria, il testo definitivamente approvato arricchisce il novero dei motivi di rifiuto del riconoscimento. L’esecuzione può essere rifiutata quando il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi ovvero altre limitazioni alla responsabilità penale relative alla libertà di stampa o, ancora, quando leda interessi essenziali di sicurezza nazionale, ovvero metta in pericolo la fonte delle informazioni o comporti l’uso di informazioni di intelligence. Il rifiuto può essere motivato anche dalla contrarietà al principio del ne bis in idem. Ma, soprattutto,lo Stato di esecuzione può negare il riconoscimento quando «sussistano seri motivi per ritenere l’OEI incompatibile con [i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dal]l’art. 6 TUE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Sarebbe stato, però, opportuno che venisse esplicitato – al pari di quanto accaduto in altre DQ sul reciproco riconoscimento (nella stessa DQ MER) – anche un ulteriore motivo di rifiuto, ovverosia la possibilità di diniego dell’esecuzione in ragione dell’età dell’imputato, essendo la soglia di imputabilità un parametro rimesso alla discrezionalità degli Stati membri, su cui neppure la Corte di Strasburgo ha inteso interferire. Tra i motivi ostativi compare anche il mancato rispetto del principio della doppia incriminazione, prevedendosi che l’autorità di esecuzione possa «negare il riconoscimento quando il fatto non costituisca reato in base al suo diritto nazionale», salvo per le fattispecie criminose di cui all’allegato D (le stesse trentadue già individuate dalla DQ 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo), che siano punibili nello Stato di emissione con una pena della durata massima di almeno tre anni. È comune alle normative sul reciproco riconoscimento anche la clausola di territorialità che impedirà l’emissione dell’OEI qualora «il fatto si presuma commesso fuori del territorio dello Stato di emissione e interamente o parzialmente nel territorio dello Stato di esecuzione, e la condotta non costituisca reato nello Stato di emissione».

Quanto alle regole procedurali che dovranno guidare l’autorità di esecuzione – quale regola generale si prevede che essa procederà attuando «le formalità e le procedure espressamente indicate dall’autorità di emissione, salvo qualora la […] direttiva disponga altrimenti, sempre che tali formalità e procedure non siano in conflitto con i principi fondamentali del diritto dello Stato di esecuzione» (art. 9, par. 2). A governare il funzionamento dell’OEI sarà, dunque, il principio della lex fori, a garanzia dell’ammissibilità e utilizzabilità della prova raccolta dinanzi alla giurisdizione dello Stato che ha emesso il provvedimento. Tra le formalità segnalabili figura la possibilità che all’esecuzione prendano parte una o più autorità dello Stato di emissione. Si derogherà invece parzialmente alla lex fori per specifici atti di indagine potenzialmente forieri di complicazioni (quali il trasferimento di persone detenute, l’audizione in video/teleconferenza, intercettazione di comunicazioni, ecc.), che, trovano una più speciale disciplina negli artt. 22 ss..

Va segnalato che la direttiva si propone di assicurare il rispetto delle garanzie difensive dei soggetti coinvolti anche a mezzo del richiamo alle direttive 2010/64/UE, 2012/13/UE e 2013/48/UE (rispettivamente sul diritto all’interpretazione e traduzione, sul diritto all’informazione e sul diritto di avvalersi di un difensore nonché di informare un terzo in caso di privazione della libertà personale) anziché semplicemente rinviare alle legislazioni nazionali pertinenti.

Sebbene solo la prassi consentirà di formulare un giudizio sulla reale efficacia di questo nuovo strumento (da trasporre entro il 22.5.2017) non può non evidenziarsi, con un certo entusiasmo, che la direttiva denota, se non altro, il superamento delle originarie resistenze alla circolazione della prova penale nell’Unione europea. Occorre comunque ricordare che il reciproco riconoscimento, specie in questo settore, non potrà prescindere dall’elaborazione di norme minime comuni sull’assunzione della prova e che, pertanto, solo un intervento ex art. 82 TFUE, par. 2, lett. a), TFUE sembra potrà garantire un impiego effettivo e non sporadico di questo nuovo istituto.


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