La Carta dei diritti fondamentali e la determinazione della intensità della sua tutela

La Carta dei diritti fondamentali costituisce indubbiamente uno dei testi più avanzati in tema di tutela dei diritti fondamentali. Essa segna uno sviluppo nella teorica dei diritti fondamentali in quanto unifica in un unico strumento di tutela diritti di varia origine e natura, da quelli liberali classici, ai diritti politici, a quelli sociali e collettivi.

Tuttavia, proprio la sua eterogeneità, che le ha consentito una straordinaria forza di penetrazione negli ordinamenti europei, è anche all’origine di una serie di problemi giuridici di non facile soluzione. Fra i più rilevanti, vi è senz’altro quello di determinare l’intensità della tutela dei diritti da essa riconosciuti, anche in relazione a possibili conflitti con altri interessi e valori fondamentali, di carattere individuale o collettivo. Si tratta di un problema che ha attirato l’attenzione della dottrina e ha fatto oggetto di una ampia, se pure controversa giurisprudenza. E tuttavia, tale problema rimane ancora problema, alla ricerca di una soluzione non facilmente raggiungibile. Né il rinvenimento di una soluzione è fra gli obiettivi del presente scritto, destinato esclusivamente a contribuire alla identificazione di una delle problematiche ancora irrisolte nella Carta, a distanza di venti anni dalla sua proclamazione.

Tale problema, concettualmente unitario, si scinde, a propria volta, in una serie di questioni specifiche, in relazione alle diverse tecniche normative utilizzate dai redattori della Carta al fine di diversificare l’intensità della tutela garantita dalla Carta

La prima questione è quella delle limitazioni nell’esercizio dei diritti fondamentali in ragione della possibile collisione con altri diritti o interessi fondamentali. A tale problema, la Carta dedica una sola disposizione, l’art. 52, par. 1, il quale prevede, in via generale, che i diritti riconosciuti dalla Carta potranno essere limitati nel loro esercizio dalla legge, sulla base di un nesso di necessità e proporzionalità rispetto a finalità di interesse generale e all’esigenza di tutelare diritti altrui, sempre che ne venga rispettato il contenuto essenziale.

Si tratta di una disposizione che ha evidentemente un contenuto molto generico. Innanzi tutto, data l’assenza nella Carta di disposizioni di deroga, è ragionevole ritenere che l’art. 52, par. 1, debba regolare anche situazioni di emergenza che, in altri strumenti di tutela dei diritti fondamentali, potrebbero dar luogo a una deroga. Non è però certo che il meccanismo previsto dall’art. 52, par. 1, sia idoneo a far fronte a tali situazioni. Esso è fondato su una tecnica di bilanciamento, appropriata bensì a determinare l’esito di conflitti fra diritti e interessi fondamentali in casi specifici, ma forse meno appropriata a fondare ipotesi di generalizzata compressione dei diritti fondamentali in situazioni emergenziali, come evidenziato dalle recenti misure dell’Unione e degli Stati al fine di fronteggiare la pandemia in atto.

In secondo luogo, proprio la eterogeneità dei diritti contenuti nella Carta – che vanno da quelli senz’altro derogabili ai c.d. diritti assoluti, insuscettibili persino di entrare in rapporto di bilanciamento con altri diritti o interessi fondamentali – rende particolarmente difficile formulare una regola generale.

La genericità del contenuto dell’art. 52, par. 1, sembra dovuta, insomma, proprio all’esigenza di concentrare in una sola disposizione, una disciplina atta a tener conto del valore sociale di un diritto che si riflette nell’intensità della sua tutela in caso di conflitto con altri interessi e valori fondamentali. Particolarmente generica appare la menzione degli altri interessi o diritti che possano relativizzare la tutela della Carta. Essi sono identificati come “finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Sembra incongruo, a prima vista, che qualsiasi finalità di interesse generale e qualsiasi esigenza di proteggere qualsiasi diritto o libertà altrui, possa incidere sui diritti fondamentali. Tale “disinvoltura” legislativa può trovare una spiegazione proprio nella circostanza che la disposizione è tesa a coprire qualsiasi tipologia di interferenza, che va dalla semplice regolamentazione dell’esercizio dei diritti della Carta alle forme più intense di interferenza che arrivano, come si è detto, fino alla deroga fondata sull’esistenza di un fatto emergenziale.

Proprio la genericità e le flessibilità della tecnica di “bilanciamento ad ampio spettro”, adottata dall’art. 52, par. 1, avrebbe dovuto rendere superflua la presenza di altre disposizioni tese a diversificare l’intensità della tutela dei diritti della Carta. I redattori della Carta, però, non si sono lasciati dissuadere e hanno inserito nel testo una seconda e più controversa tecnica di limitazione dell’intensità della tutela, che si trova oggi nell’art. 52, par. 5. Si tratta della nota distinzione fra regole e principi. La disposizione indica, infatti, che i diritti tutelati da “principi” godono di una forma di tutela attenuata rispetto a quelli tutelati da “regole”. A differenza di questi ultimi, i primi possono essere disciplinati da atti subordinati, europei o nazionali, e possono essere applicati dai giudici solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità degli atti subordinati.

Si tratta di una previsione dal contenuto piuttosto oscuro. Da esse, invero, è agevole desumere l’intenzione dei redattori di attenuare l’intensità della tutela di alcuni diritti, in particolare di quelli di carattere sociale. Non è però tecnicamente dato di capire il contenuto di tale attenuazione. Tutte le disposizioni della Carta, infatti, e non solo quelle che formulano principi, “possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità di detti atti”.

L’esistenza di una distinzione fra regole e principi, peraltro, ha fondato una giurisprudenza piuttosto restrittiva, la quale tende a qualificare come principi talune disposizioni della Carta le quali chiariscono che il proprio contenuto normativo dovrà essere precisato da atti di esecuzione, europei o nazionali (v. la sentenza della Corte di giustizia del 15 gennaio 2014, C‑176/12, AMS). Si tratta di una interpretazione particolarmente riduttiva, la quale sembra riproporre su scala europea la distinzione fra norme precettive e norme programmatiche della Costituzione, propria della giurisprudenza italiana dell’immediato Dopoguerra, spazzata dalla prima sentenza della Corte costituzionale (n. 1/1956). Se pur è vero che l’intensità della tutela di un diritto fondamentale dipende in primo luogo dalla formulazione della disposizione che lo riconosce, sarebbe fuorviante, infatti, che esso possa dipendere dall’attività del legislatore, europeo o nazionale. L’idea che i principi della Carta vadano definiti nel loro contenuto da parte del legislatore, europeo o addirittura nazionale, tende a de-costituzionalizzare il valore della Carta e a farla degradare a livello legislativo. In una prospettiva costituzionale, infatti, il contenuto dei diritti della Carta dovrebbe essere desunto, in caso di formulazione imprecisa, per ricorso a fonti di integrazione del medesimo rango, ovvero da elementi di integrazione tratti dall’evoluzione del costume sociale, e non già da fonti prodotte da soggetti tenuti all’osservanza dei diritti in questione (v., in questo senso, la sentenza 6 novembre 2018, causa C-684/16, Max Planck).

Una terza tecnica di limitazione, parzialmente analoga a quella appena menzionata, emerge dalla nota questione degli effetti diretti della Carta. Tale questione è apparentemente complicata dalla diversa questione della definizione della inesistenza di una competenza dell’Unione in tema di diritti fondamentali e, quindi, del ruolo della Carta nell’ambito delle dinamiche normative europee. Ancorché assai diverse fra loro, le due questioni presentano interferenze, per lo meno terminologiche, che ostacolano una chiara impostazione del problema.

Come è noto, la nozione di effetti diretti, nella definizione accolta dalla giurisprudenza della Corte, attiene alla pienezza dispositiva di una disposizione di diritto europeo, tale da produrre posizioni soggettive compiute. Or bene, da questa prospettiva, non vi sarebbe dubbio che le norme della Carta possano produrre effetti diretti. Esse si dirigono, per definizione, agli individui incardinando in capo a essi posizioni soggettive compiute, vale a dire diritti fondamentali. Tale qualità normativa non viene necessariamente meno in relazione al contenuto impreciso di alcune di esse. Come si è evidenziato sopra, l’imprecisione nella redazione di una norma volta a tutelare un diritto fondamentale potrà essere ridotta o eliminata per ricorso a tecniche costituzionali di interpretazione ovvero a fonti di integrazione.

Ma anche qualora un diritto fondamentale mantenesse un residuo ineliminabile di indeterminazione, non per ciò esso sarebbe inidoneo a produrre effetti diretti. La nozione di diritto fondamentale appare radicalmente incompatibile con l’idea dell’effetto a soglia – tutto o niente – che domina la categoria dell’effetto diretto. Come indica l’art. 52, par. 1, anche le disposizioni della Carta che formulano principi potranno essere invocate come parametro di interpretazione e di validità di norme subordinate; di converso, una norma non avente effetti diretti non potrà costituire, allo stato attuale dello sviluppo giurisprudenziale di tale nozione, parametro di validità di norme nazionali confliggenti.

Tuttavia, la circostanza che un diritto fondamentale tutelato dalla Carta abbia effetti diretti non comporta che esso possa produrre tali effetti al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto europeo. È, questa, una conseguenza della circostanza, sottolineata addirittura nei Trattati istitutivi, della assenza di competenza dell’Unione in tema di diritti fondamentali e della circostanza che la Carta non costituisce un titolo di competenza.

In altre parole, a meno che un diritto della Carta non corrisponda a un diverso titolo di competenza dell’Unione previsto dai Trattati, esso non potrà operare, né come parametro di validità o di interpretazione, né in alcun altro modo, al di fuori dei confini di applicazione del diritto europeo. È questo quel che si vuol intendere allorché si dice, in maniera forse impropria, che le disposizioni della Carta non producono effetti orizzontali allorché essi siano invocate al fine di fungere da parametro di validità per leggi interne confliggenti con direttive aventi effetti diretti.

Enzo Cannizzaro, Ordinario di diritto internazionale e dell’Unione europea, Università di Roma “La Sapienza”.


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