La bussola strategica dell’Unione europea

Il 25 marzo 2022, il Consiglio europeo ha approvato la c.d. “bussola strategica”, un piano d’azione volto al rafforzamento della politica di sicurezza e di difesa dell’Unione europea che era in lavorazione già dai primi mesi del 2020 e che il Consiglio dell’Unione aveva a sua volta approvato il 21 marzo 2022. Il documento, intitolato «Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa. Per un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali», si propone di «compiere un deciso salto di qualità per sviluppare un’Unione europea più forte e più capace che agisca quale garante della sicurezza» (p. 6). Dopo avere delineato «una valutazione condivisa del […] contesto strategico» e delle minacce e sfide da affrontare (incluso l’attuale conflitto in Ucraina), il documento individua quattro pilastri di intervento: azione; sicurezza; investimenti; partner.

Gli elementi di maggiore rilievo sono rinvenibili, ad avviso di chi scrive, nell’ambito del primo pilastro. Nelle intenzioni dei redattori, infatti, le misure e azioni ivi indicate dovrebbero permettere all’Unione «di agire in modo rapido ed energico» in caso di crisi (p. 3). A tal fine, gli Stati membri si impegnano (i) a sviluppare e rafforzare entro il primo trimestre del 2023 le missioni civili, così da essere in grado di e pronti a schierare una missione con 200 esperti civili entro 30 giorni anche in ambienti complessi, e (ii) a sviluppare entro il 2025 una capacità di dispiegamento rapido dell’Unione, che permetta il dispiegamento di una forza di massimo 5000 militari, comprese componenti terrestri, aeree e marittime, e dei necessari abilitanti strategici (quali, ad esempio, trasporto strategico, materiale medico e comunicazione satellitare) in ambiente non permissivo (ossia ostile). In relazione a quest’ultimo elemento, il documento infine adottato differisce dalla bozza circolata nel novembre 2021 nella misura in cui prevede che l’Unione debba essere in grado «di rispondere a minacce imminenti o di reagire rapidamente a una situazione di crisi al di fuori dell’Unione in tutte le fasi del ciclo di un conflitto» (p. 14, enfasi aggiunta). Come alcuni hanno rilevato, ciò sembrerebbe includere, all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, la possibilità che l’Unione agisca autonomamente in legittima difesa collettiva, eventualità non esclusa dall’art. 43 TUE ma sinora mai realizzatasi (v. spec. A. Tanca, Difesa europea e rapporti con la NATO, in Guerra in Ucraina. Vie d’uscita e scenari futuri, Università Cattolica, Milano, 28 marzo 2022). Quanto alla tipologia di capacità, però, il documento in esame la riconduce chiaramente all’esperienza, secondo taluni fallimentare, dei gruppi tatticibattlegroups») di 1.500 militari già creati nel 2007 e mai impiegati in teatro: si chiarisce, infatti, che «[l]a capacità consisterà di gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati e di forze e capacità militari degli Stati membri individuate in precedenza, conformemente al principio della “riserva unica di forze”» (p. 14). Quest’ultimo prevede, in particolare, che le forze messe a disposizione dagli Stati possano essere utilizzate dagli stessi «nel quadro dell’UE, per esigenze nazionali come pure in contesti diversi, quali l’ONU e la NATO».

Al fine di assicurarne il dispiegamento efficace, sono previsti alcuni ambiti di intervento. Vale senz’altro la pena di notare tanto l’auspicio di una maggiore flessibilità del processo decisionale quanto il rafforzamento delle strutture di comando e controllo. In particolare, per quanto riguarda il processo decisionale, pur ricordando la regola dell’unanimità ove vi siano implicazioni nel settore militare o della difesa, nella bussola strategica si afferma di volere utilizzare «il potenziale offerto dai trattati dell’UE» (p. 14). In tale prospettiva, si menziona, da un lato, l’istituto dell’astensione costruttiva ex art. 31(1) TUE e, dall’altro, l’intenzione di «decidere modalità pratiche per l’attuazione» dell’art. 44 TUE, cioè di una cooperazione rafforzata, «conformemente al processo decisionale della PSDC [politica di sicurezza e difesa comune], al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci, di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la supervisione politica del Consiglio» (ibidem). Per quanto riguarda, invece, il rafforzamento delle strutture di comando e controllo, il documento menziona la capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC), istituita in seno allo Stato maggiore dell’Unione (EUMS), e la capacità civile di pianificazione e condotta (CPCC). Rispetto alla prima, ci si impegna a intensificare i contributi in termini di personale, sistemi di comunicazione e informazione e strutture, al fine di renderla «pienamente in grado di pianificare, controllare e comandare compiti e operazioni esecutivi e non esecutivi, nonché esercitazioni reali» (p. 16). L’obiettivo dichiarato è di farne «la struttura di comando e controllo di preferenza» per le missioni militari dell’Unione, ferma restando la possibilità di ricorrere, come si è spesso fatto finora, ad altri quartieri generali (quelli messi a disposizione dalla NATO o, come espressamente menzionato dal documento in esame, comandi operativi nazionali individuati in precedenza) (ibidem). Quanto alla CPCC, la bussola strategica si limita a menzionare l’intenzione di migliorarne la capacità di pianificare, controllare e comandare missioni civili, senza fornire ulteriori dettagli.

Alla luce dei recenti eventi in Ucraina, sono altresì degni di nota, nell’ambito del primo pilastro, due elementi ulteriori: da una parte, si fa riferimento all’intenzione di fornire assistenza ai partner «attraverso un maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace» – anche, ad esempio, per fornire materiale militare – e sostenerne così le capacità di difesa in tempo di crisi, proprio come avvenuto nel caso, espressamente menzionato, dell’Ucraina (p. 15); dall’altra, richiamando la clausola di mutua assistenza di cui all’art. 42(7) TUE e quella di solidarietà prevista dall’art. 222 TFUE, si afferma che, conformemente a quanto previsto dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite in materia di legittima difesa (collettiva) e, per i ventuno Stati che ne sono membri, agli impegni assunti nell’ambito della NATO, «[q]ualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso» (p. 17). Si tratta, in entrambi i casi, di modifiche significative rispetto a quanto previsto nella suindicata bozza del novembre 2021, in cui, rispetto al primo elemento, l’espresso riferimento alla fornitura di armi e all’Ucraina erano (comprensibilmente) assenti e, rispetto al secondo, i toni erano senz’altro meno enfatici e maggiormente deferenti al ruolo della NATO.

Gli altri tre pilastri, come menzionato, sono dedicati alla sicurezza, agli investimenti e alla cooperazione con i partner (altre organizzazioni internazionali e Stati terzi). Quello degli investimenti, in particolare, è un tema che era già stato ampiamente affrontato nella dichiarazione di Versailles del 10-11 marzo 2022 e che è poi stato diffusamente richiamato anche nelle conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2022, in occasione del quale si è proceduto all’adozione della bussola strategica. Al riguardo, l’aspetto di maggiore interesse è forse il riferimento agli impegni assunti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente (PESCO), istituita nel 2017 ai sensi degli artt. 42(6) e 46 TUE, così come del Protocollo n. 10 al TUE, al fine di permettere agli Stati membri che lo desiderino e ne siano capaci di collaborare più strettamente nel settore della sicurezza e della difesa. Com’è noto, ad oggi partecipano alla PESCO tutti gli Stati membri dell’Unione ad eccezione di Malta e della Danimarca, ma quest’ultima potrebbe mutare orientamento a seguito del referendum in programma per il 1° giugno di quest’anno. Il documento in esame insiste a più riprese su tale strumento: vi si afferma, fra l’altro, che «gli Stati membri che partecipano alla cooperazione strutturata permanente devono conformarsi entro il 2025 a tutti gli impegni più vincolanti assunti» e che, entro lo stesso anno, «un terzo dei 60 progetti in corso raggiungerà i propri obiettivi»; si delinea, inoltre, l’obiettivo di «andare oltre attuando le priorità concordate in materia di capacità e sviluppando nuovi progetti ambiziosi» (p. 33). Ciò appare in linea, d’altronde, con quanto già affermato nelle conclusioni del Consiglio sulla revisione strategica della PESCO del 20 novembre 2020, in cui la «prossima “bussola strategica”» era espressamente menzionata (pp. 5 e 11).

In conclusione, la bussola strategica riconosce i limiti dell’attuale politica di sicurezza e difesa comune laddove si ammette che «l’UE è collettivamente poco attrezzata per contrastare l’intera gamma di minacce e sfide che si trova ad affrontare» e auspica di «cambiare questa situazione rapidamente e ridurre il divario tra […] aspirazioni e […] azioni» (p. 47). Il compito di vigilare sul progresso nell’attuazione del piano d’azione delineato in tale documento spetterà all’alto rappresentante, il quale, in consultazione con la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa, elaborerà una relazione «che fungerà da base per gli orientamenti politici» delineati dal Consiglio europeo e, alla fine del 2025, «presenterà proposte per un’eventuale revisione» della Bussola strategica (ibidem).


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