Il Regno Unito ratifica l’Accordo che istituisce un Tribunale Unificato dei Brevetti: un passo in avanti verso l’entrata in vigore del brevetto europeo con effetto unitario?

Introduzione.

Conformemente alle anticipazioni rilasciate sin dalla fine del 2016, lo scorso 26 aprile il Regno Unito ha ratificato l’accordo internazionale che istituisce il Tribunale Unificato dei Brevetti (“TUB”), firmato a Bruxelles da 25 Stati membri dell’Unione europea, il 19 febbraio 2013.

L’accordo fa parte del c.d. Pacchetto brevetti, il quale rappresenta la prima grande riforma del diritto brevettuale nell’ambito regionale europeo a seguito dell’adozione della Convenzione sul Brevetto Europeo del 1973 (“CBE”). Tramite lo stesso, infatti, gli Stati membri hanno perseguito l’obiettivo – non integralmente realizzato (cfr. infra §2) – di introdurre un titolo avente natura e dotato di effetto unitario nell’ambito territoriale dell’Unione europea in materia brevettuale, come in passato avvenuto rispetto al marchio e ad altri diritti di proprietà intellettuale.

L’art. 89 dell’accordo TUB subordina la propria entrata in vigore alla necessaria ratifica di Regno Unito, Francia e Germania, ossia dei «tre Stati nei quali il maggior numero di brevetti europei aveva effetto nell’anno precedente a quello in cui ha luogo la firma dell’accordo». L’entrata in vigore dell’accordo TUB, a sua volta, costituisce condizione necessaria per l’applicabilità del Regolamento UE n. 1275/2012, contenente la disciplina sostanziale del nuovo titolo.

La notizia della ratifica britannica è stata perciò accolta positivamente dal Comitato preparatorio per il TUB e dal Presidente dell’European Patent Organization, Benoît Battistelli , il quale l’ha definita come un decisivo passo in avanti verso l’entrata in vigore del nuovo brevetto.

Rimane nondimeno incerto come e quando il sistema del brevetto europeo con effetto unitario entrerà effettivamente in funzione.

Questo non solo in ragione del ricorso attualmente pendente dinanzi al Bundesverfassungsgericht avverso la legge di ratifica dell’accordo TUB adottata dal parlamento tedesco, ma anche alla luce delle rilevanti questioni giuridiche di compatibilità con il sistema comunitario presentate dall’attuale struttura dell’accordo, specie se osservate alla luce della imminente fuoriuscita del Regno Unito dall’UE.

In particolare, si ritiene di centrale importanza stabilire se, una volta avvenuta la Brexit,la perdurante partecipazione del Regno Unito al TUB possa incidere negativamente sulla compatibilità dell’accordo coi principi comunitari riguardanti l’autonomia del sistema giurisdizionale, la competenza esterna esclusiva dell’UE, e la responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione.

1.      La particolare struttura del Pacchetto brevetti ed il ricorso agli strumenti di c.d. integrazione differenziata

Il Pacchetto brevetti rappresenta una singolare combinazione di strumenti giuridici riconducibili al fenomeno dell’integrazione differenziata, altrimenti conosciuto come differenziazione, in parte aventi natura di diritto dell’Unione europea ed in parte aventi natura di diritto internazionale(cfr. B. De Witte, An Undivided Union? Differentiated Integration in Post-Brexit Times, in CMLRev, 2018, p. 227-250).

In particolare, il Pacchetto risulta composto dai seguenti atti: (i) la decisione del 10 marzo 2011, con cui il Consiglio, ai sensi dell’art. 329 TFUE, ha autorizzato una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria (attualmente sono parte della cooperazione tutti gli Stati membri ad eccezione della Spagna e della Croazia); (ii) i regolamenti comunitari n. 1257/2012 e 1260/2012, coi quali il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno messo in atto detta cooperazione, introducendo, rispettivamente, una parte della disciplina sostanziale del titolo di proprietà intellettuale ed relativo regime linguistico; e infine (iii) l’accordo TUB, trattato internazionale con cui gli Stati parte della cooperazione rafforzata (tutti tranne la Polonia) hanno provveduto alla creazione di un sistema giurisdizionale internazionale loro comune, allo scopo di assicurare una tutela uniforme ed unitaria al nuovo titolo di brevetto. L’accordo TUB, inoltre, contiene una parte rilevante della disciplina sostanziale del nuovo titolo di brevetto, giacché nella sua versione definitiva ha accolto anche gli originari articoli da 6 a 8 del progetto di regolamento di attuazione della cooperazione rafforzata, concernenti la definizione della tutela offerta dal nuovo titolo di privativa industriale (ora artt. 25–30 TUB).

Infine, il Pacchetto brevetti rinvia in toto alla CBE per quanto concerne la procedura e le condizioni di concessione, nonché i presupposti di validità del nuovo brevetto.

Stante la natura eterogenea delle fonti del diritto cui attinge il Pacchetto brevetti, parte della dottrina ha ritenuto in modo condivisibile che lo stesso non è riuscito completamente a realizzare l’obiettivo degli Stati membri di istituire un nuovo titolo di brevetto autenticamente comunitario (cfr. J.-C. Galloux, Le brevet européen à effet unitaire: greffe et chimère, Propr. intell., 2012, p. 193-199, in particolare a p. 193; H. Ullrich, Le futur système de protection des inventions par brevets dans l’Union européenne : un exemple d’intégration (re-) poussée?, Propr. intell., 2014, p. 382-385).

Nel caso del Pacchetto brevetti, il ricorso combinato a diversi strumenti di differenziazione è dipeso dall’impossibilità degli Stati membri di procedere secondo una soluzione interamente comunitaria con riferimento a due principali aspetti.

In primis, nel dibattito politico che ha accompagnato l’introduzione della nuova disciplina era emersa l’impossibilità di raggiungere il consenso unanime in Consiglio prescritto dall’art. 118, par. 2, TFUE al fine di introdurre il regime linguistico applicabile al nuovo titolo di proprietà intellettuale. La strenua opposizione di Italia e Spagna all’adozione di un regime trilinguistico – comprensivo soltanto dell’inglese, del francese e del tedesco – ha pertanto portato gli altri Stati membri a intraprendere la via della cooperazione rafforzata per l’adozione sia della disciplina sostanziale che del regime linguistico ad esso applicabile, poi seguita da due ricorsi annullamento dinanzi alla Corte di giustizia (a riguardo, si rinvia all’articolo di P. Gallo, Via libera dall’Avvocato generale alle cooperazioni rafforzate in materia di brevetto unitario, in questa rivista).

In secondo luogo, secondo l’opinione prevalente, il ricorso allo strumento dell’accordo internazionale per la creazione del TUB sarebbe stato determinato dal desiderio della comunità dei patent users e di una parte degli stessi Stati membri di poter usufruire di una giurisdizione fortemente specializzata, che fosse al contempo il più possibile estranea all’influenza della giurisprudenza della Corte di giustizia. Per questa ragione, pertanto, gli Stati parte della cooperazione rafforzata avrebbero scelto di non di avvalersi degli artt. 256 e 262 TFUE, i quali avrebbero consentito di attribuire ai giudici di Lussemburgo, eventualmente tramite la creazione di tribunali specializzati, la competenza a conoscere delle controversie inerenti il nuovo titolo.

Come è noto, inoltre, la scelta degli Stati membri di articolare l’accordo UPC in termini di accordo inter se, senza cioè prevedere la partecipazione di Stati terzi o della stessa Unione europea, è stata condizionata anche dal riferimento al modello della Corte del Benelux in materia di marchi d’impresa operato dalla Corte di giustizia nel parere 1/09, relativo all’originario Progetto di Accordo per l’istituzione di un Tribunale dei brevetti europeo e comunitario (di seguito il “Progetto di Accordo”), al quale avrebbero dovuto partecipare sia gli Stati membri dell’UE, che l’Unione europea, oltre che gli Stati terzi parte della CBE.

In quel contesto, si ricorda, la Corte aveva escluso la compatibilità con il sistema giurisdizionale dell’Unione europea del Progetto di Accordo, nella misura in cui attribuiva ad un nuovo giudice internazionale un’ampia sfera di competenza esclusiva nell’interpretazione e nell’applicazione del futuro regolamento sul brevetto comunitario, comprimendo al contempo il ruolo della Corte di giustizia ex art. 267 TFUE, stante la previsione della mera facoltà per il tribunale (e mai l’obbligo) di operare il rinvio pregiudiziale.

L’indebita alterazione dell’istituto del rinvio pregiudiziale, definito dal parere come uno strumento «essenziale ai fini della tutela del carattere comunitario del diritto istituito dai Trattati», avrebbe pertanto violato la competenza dei giudici comunitari così come concepita nei Trattati UE e FUE, e, per tale via, messo in crisi l’autonomia del sistema giurisdizionale comunitario (punto 83).

Ebbene, proprio a tale riguardo, la Corte sottolineava che la posizione del nuovo giudice internazionale di cui al progetto di accordo, avrebbe dovuto tenersi distinta «da quella della Corte di giustizia del Benelux, oggetto della sentenza 4 novembre 1997, causa C 337/95, Parfums Christian Dior […] dato che quest’ultima costituisce un organo giurisdizionale comune a diversi Stati membri e, di conseguenza, è situata nel sistema giurisdizionale dell’Unione, le sue pronunce sono soggette a procedure in grado di garantire la piena efficacia delle norme dell’Unione»; per l’effetto, nessuna lesione del principio di autonomia del diritto dell’Unione poteva riscontrarsi nel caso della Corte del Benelux (punto 82).

Infine, si ricorda altresì che nel parere 1/09 la Corte aveva escluso la compatibilità del Progetto di accordo evidenziando che, stante l’illustrata natura internazionale e non comunitaria del nuovo giudice, nel caso in cui esso con una propria pronuncia avesse violato il diritto UE, tale fattispecie non avrebbe potuto costituire oggetto di un giudizio di infrazione, né avrebbe potuto determinare l’insorgere di una responsabilità extracontrattuale per violazione del diritto dell’Unione in capo a uno o più Stati membri, secondo il modello tracciato dalla Corte in Köbler (cfr. punto 86-89).

2.      L’attuale assetto dell’accordo TUB e i dubbi di compatibilità con l’ordinamento dell’Unione europea

Nella sua versione definitiva, l’accordo TUB continua a prevedere la competenza giurisdizionale esclusiva del nuovo giudice dei brevetti relativamente alla maggior parte del contenzioso inerente il brevetto europeo con effetto unitario ed il brevetto europeo previsto dalla CBE. Tuttavia, assumendo come modello ispiratore la Corte del Benelux, lo stesso ha riservato la partecipazione ai soli Stati membri ed ha qualificato il TUB come un organo giurisdizionale comune a questi ultimi in virtù di un accordo inter se (art. 1 TUB).

Tale assetto ha trovato riscontro nel Regolamento n. 542/2014, di modifica del Regolamento n. 1215/2012 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che ora statuisce espressamente all’art. 71 bis la natura di «autorità giurisdizionale comune» sia del Tribunale Unificato dei Brevetti, sia della Corte di giustizia del Benelux, accostandoli l’uno all’altra.

In secondo luogo, il restyling del TUB in termini di giurisdizione comune agli Stati membri ha incluso l’espresso riconoscimento dei principi del primato e del rispetto del diritto dell’Unione europea (art. 20), nonché la piena estensione della disciplina del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 TFUE, compresa la relativa disciplina procedurale e l’obbligo di rinvio per la corte d’appello del TUB (art. 21 TUB).

Sempre allo scopo di correggere le lacune riscontrate con il parere 1/09, infine, l’accordo TUB ora prevede la responsabilità solidale degli Stati membri partecipanti in caso di violazione del diritto comunitario da parte del nuovo tribunale, la quale risulta censurabile sia con azione di responsabilità extracontrattuale (art. 22 TUB) sia con la procedura di infrazione ex artt. 258-260 TFUE (art. 23 TUB).

Nonostante i correttivi apportati all’accordo TUB, sono tuttavia ancora numerosi i potenziali elementi di incompatibilità che lo stesso presenta con l’ordinamento dell’Unione europea.

In primo luogo, come evidenziato , in poco convince che il nuovo TUB risponda effettivamente nella nozione di giudice comune agli Stati membri ai sensi della giurisprudenza Parfums Christian Dior(cfr. in questo senso, oltre all’opera di Ullrich già cit. supra, B. De Witte, A Selfish Court? The Court of Justice and the Design of International Dispute Settlement beyond the European Union, in M. Cremona, A. Thies (a cura di), The European Court of Justice and External Relations Law: Constitutional Challenges, Oxford, 2014, p. 33-46; B. Cortese, A la recherche d’un parcours d’autoconstitution de l’ordre juridique interindividuel européen: essai d’une lecture pluraliste 50 ans après Van Gend en Loos et Costa contre ENEL, in B. Cortese (a cura di), Studi in onore di Laura Picchio Forlati, Torino, 2014, p. 301-339; T. Jaeger, What’s in the Unitary Patent Package, Max Planck Institute for Innovation & Competition Research Paper No. 14-08, Munich, 2014).

Da un lato, infatti, diversamente dalla Corte del Benelux, la creazione del nuovo giudice non risulta autorizzata da nessuna norma di diritto primario; dall’altro, mentre la Corte del Benelux procede unicamente ad applicare il diritto internazionale contenuto nel relativo accordo istitutivo, l’art. 24 dell’accordo TUB prevede che il nuovo tribunale dei brevetti applichi anche ed innanzitutto il diritto dell’Unione europea (cfr. il punto 22 della sentenza Parfums Christian Dior).

Inoltre, richiamando la sentenza Miles contro Scuole europee, è stato evidenziato che, diversamente da quanto accade per la Corte del Benelux, nel contesto della quale «» (punto 41), il nuovo TUB continuerebbe ad essere dotato di una competenza esclusiva sulle liti brevettuali e non presenterebbe i necessari elementi di collegamento con gli organi giurisdizionali nazionali degli Stati membri (si dà conto, in ogni caso, che tale lettura non risulta unanime in dottrina; cfr., a riguardo, J. Alberti, New developments in the EU system of judicial protection: the creation of the Unified Patent Court and its future relations with the CJEU, in MJ, 2017, p. 6-24).

Il principio enunciato Corte di giustizia nella sentenza Miles è stato espressamente confermato dalla Grande Sezione della Corte nella recente pronuncia del 6 marzo 2018, Achmea BV.

Tale pronuncia ha in particolare escluso la compatibilità con il principio dell’autonomia del diritto dell’Unione della clausola compromissoria contenuta nell’accordo internazionale per la promozione e la tutela reciproche degli investimenti tra il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica federale ceca e slovacca del 1991 (“TBI”).

Appurato che il collegio arbitrale, nell’esercizio della competenza conferitagli dal TBI, risultava competente ad interpretare ed applicare anche il diritto dell’Unione europea, la Corte ha infatti escluso che lo stesso potesse qualificarsi in termini di giurisdizione “di uno degli Stati membri” ex art. 267 TFUE. I giudici di Lussemburgo, più precisamente, hanno riscontrato, come prevedibile, che il collegio non poteva ritenersi giurisdizione nazionale, non costituendo elemento del sistema giurisdizionale stabilito nei Paesi Bassi e in Slovacchia (punto 45).

La Corte ha inoltre ritenuto di aggiungere che il collegio non poteva qualificarsi nemmeno come una giurisdizione comune a vari Stati membri, paragonabile alla Corte di giustizia del Benelux, sottolineando in tal senso che “mentre, da un lato, quest’ultima è incaricata di assicurare l’uniformità nell’applicazione delle norme giuridiche comuni ai tre Stati del Benelux e, dall’altro, il procedimento instaurato dinanzi ad essa costituisce un incidente nell’ambito delle cause pendenti dinanzi ai giudici nazionali, in esito al quale viene fissata l’interpretazione definitiva delle norme giuridiche comuni al Benelux, il collegio arbitrale di cui al procedimento principale non presenta un simile collegamento rispetto ai sistemi giurisdizionali degli Stati membri” (punti 47 e 48).

Così stando le cose, a prescindere dai correttivi formali introdotti nella nuova versione dell’accordo TUB, il sistema di tutela giurisdizionale dallo stesso introdotto non rispetterebbe le caratteristiche di autonomia che connotano il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, il quale, come ribadito dalla Corte di giustizia nel parere 2/13, costituisce la «chiave di volta del sistema giurisdizionale» comunitario (punti 176 e 198).

Al riguardo, peraltro, si ricorda che tali rilievi non potrebbero ritenersi superati in ragione della qualificazione del TUB in termini di “giurisdizione comune agli Stati membri” da parte del Regolamento n. 542/2014, il quale, in quanto atto di diritto derivato, risulta del tutto inidoneo a scalfire la portata della disciplina dei Trattati e la sua interpretazione ad opera del supremo giudice comunitario.

Una seconda questione riguardante la compatibilità dell’accordo TUB concerne la competenza degli Stati membri a concluderlo.

Con riferimento al Progetto di accordo bocciato dal parere 1/09 si era dapprima posta la questione se lo stesso non ricadesse nella competenza esclusiva dell’Unione in base al c.d. principio del parallelismo o “effetto AETS”, codificato all’art. 3, par. 2, TFUE (cfr. S. Peers, The Constitutional Implications of the EU Patent, EuConst, 2011, p 229-266, in particolare a p. 251; F. Dehousse, The Unified Court on Patents: the new Oxymoron of European Law, Egmont Paper 60, 2013, in particolare alla n. 28).

In base a tale principio, infatti, sin dal Parere 1/03, la Corte di giustizia ha adottato la posizione che nel settore della giurisdizione, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile sussiste la competenza esterna esclusiva dell’Unione, in ragione della previa adozione, da parte di quest’ultima, del Regolamento n. 44/2001 (ora sostituito dal Regolamento (UE) n. 1215/2012).

Stante la sussistenza di evidenti collegamenti tra la giurisdizione in materia brevettuale e la disciplina comunitaria in materia di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni civili, l’esistenza di una competenza esclusiva dell’UE per l’istituzione tramite accordo internazionale con gli altri Stati della CBE di un nuovo tribunale dei brevetti era già stata peraltro evidenziata nel 2003 sia dalla Commissione europea che dal Servizio Giuridico del Parlamento europeo, portando all’abbandono di una delle tante bozze dell’accordo che hanno preceduto la versione definitiva del 2013.

Ciò posto, si è notato in modo condivisibile che, per quanto nella sua versione definitiva l’accordo TUB non impegni più l’azione esterna dell’UE, è tuttavia indubbio che dal punto di vista sostanziale lo stesso continua a sovrapporsi estesamente alla preesistente disciplina comunitaria in materia di giurisdizione ed esecuzione delle decisioni civili.

Di conseguenza, questa volta in applicazione della regola tradizionale di pre-emption in ordine all’esercizio delle competenze interne (art. 2, par. 2, TFUE), la dottrina ha evidenziato la preclusione per gli Stati membri della possibilità di disciplinare la materia in via autonoma e al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione (cfr. l’opera di Jaeger, What’s in the Unitary Patent Package?, già cit. supra; T. Mylly, A Constitutional Perspective, in J. Pila, C. Wadlow (a cura di), The Unitary EU Patent System, Oxford, 2014, p. 77-109).

Con riferimento ad entrambe le questioni sopra delineate, l’esclusione dell’Unione dalle parti contraenti della versione definitiva dell’accordo TUB ha consentito agli Stati membri di evitare una seconda valutazione di compatibilità ad opera della Corte di giustizia.

Questo tuttavia non esclude l’operatività del principio generale secondo cui gli accordi internazionali conclusi dagli Stati membri che si pongono in contrasto con il diritto UE devono considerarsi illeciti dal punto di vista comunitario.

Per l’effetto, in applicazione del principio del primato del diritto dell’Unione, i profili di incompatibilità dell’accordo TUB potranno sempre essere sanzionati dalla Corte di giustizia nel contesto della procedura di infrazione, oltre che essere disapplicati dai giudici nazionali, verosimilmente sempre previo rinvio pregiudiziale alla prima.

A riguardo, si evidenzia inoltre che nessun effetto preclusivo può attribuirsi alla pronuncia di rigetto emessa della Corte con riferimento all’impugnazione spagnola del Regolamento n. 1257/12, nella parte riguardante taluni profili di incompatibilità dell’accordo TUB con il diritto dell’Unione europea, la quale è dipesa unicamente dall’inammissibile formulazione della di tali censure. La Corte, infatti, si è limitata a ricordare che nell’ambito del ricorso di annullamento ex art. 263 TFUE, essa non è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un accordo internazionale stipulato dagli Stati membri (punto 101).

Infine, si ricorda che l’incompatibilità dell’accordo TUB con il diritto dell’Unione europea rientra tra i motivi di incostituzionalità sollevati nel ricorso attualmente pendente dinanzi al Bundesverfassungsgericht avverso legge tedesca di ratifica. Sebbene secondo alcune voci il giudizio si concluderà verosimilmente con il rigetto delle questioni di costituzionalità, per il momento la ratifica dell’accordo TUB da parte della Germania risulta sospesa.

3.      La compatibilità dell’accordo TUB alla luce dell’imminente fuoriuscita del Regno Unito

Come anticipato, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 89 TUB, la ratifica del Regno Unito costituisce un passaggio indispensabile per l’entrata in funzione del nuovo sistema del brevetto unitario.

Inoltre, come evidenziato in dottrina, l’intervento della ratifica britannica in un momento precedente all’effettiva fuoriuscita dall’Unione ha consentito di aggirare l’ostacolo che post Brexit sarebbe risultato dall’art. 84 TUB, il quale limita la firma, la ratifica e l’adesione all’accordo solamente agli Stati membri dell’Unione europea (cfr. W. Tilmann, EPUE-Reg and UPCA after Brexit, in EPLAW Patent Blog, 27/6/2016; contra C. Honorati, L’accordo per il Tribunale unificato dei brevetti: quali prospettive dopo la ratifica italiana e la Brexit?, in European Papers, 2016, p. 1127-1136).

Nondimeno, deve evidenziarsi che le suesposte questioni di compatibilità dell’accordo TUB risultano notevolmente accentuate ove lette in vista dell’imminente fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea.

In primo luogo, ammesso e non concesso che allo stato attuale il TUB possa effettivamente qualificarsi come “organo giurisdizionale comune agli Stati membri”, alla luce della giurisprudenza Miles contro Scuole Europee e Achmea, laddove a seguito dell’abbandono dell’UE il Regno Unito continuasse a parteciparvi in veste di Stato terzo, siffatta qualificazione diventerebbe senz’altro inapplicabile (cfr. in questo senso T. Jaeger, Reset and Go: The Unitary Patent System Post-Brexit, in IIC, 2017, p. 254-285, in particolare a p. 20 ss.; C. Honorati, già cit. supra, in particolare a p. 1132).

In particolare, non convincono le opinioni dottrinali che hanno evidenziato che comunque il TUB rimarrebbe organo giurisdizionale comune agli Stati membri dell’Unione, benché non esclusivamente comune agli stessi (cfr. A Ohly, R. Streinz, Can the UK stay in the UPC system after Brexit?, in GRUR Int., 2017, p. 1–11; R. Gordon, T. Pascoe, Opinion for the UK IP Federation on the effect of ‘Brexit’ on the UP Reg. and the Unified Patent Court Agreement, 12/9/2016).

Tali tesi, infatti, si basano su una non condivisibile interpretazione del parere 1/09, che, nel riferirsi alla Corte del Benelux, ha precisato che la stessa costituisce «organo giurisdizionale comune a diversi Stati membri e, di conseguenza, è situata nel sistema giurisdizionale dell’Unione» (punto 82).

Una lettura di tale passaggio, alla luce della giurisprudenza storica della Corte di giustizia relativa al sistema giurisdizionale comunitario, impone infatti di concludere che la riconducibilità entro lo stesso degli organi giurisdizionali comuni agli Stati membri dipende essenzialmente dal fatto che ai giudici nazionali degli Stati membri è riconosciuto il ruolo di giudici decentrati di diritto comune, pienamente integrati nel sistema giurisdizionale autonomo comunitario (cfr. Simmenthal, punti 20-24).

Tanto premesso, deve escludersi che un giudice internazionale del quale sono parte anche Stati terzi, i cui giudici nazionali non sono “giudici decentrati di diritto comune” nel senso delineato dalla Corte, possa qualificarsi come situato nel sistema giurisdizionale comunitario.

Allo stesso modo si rileva che, una volta avvenuta la Brexit, la perdurante partecipazione del Regno Unito, in veste di Stato terzo, all’accordo TUB varrebbe a ricollocarlo nell’area dell’azione esterna, sollevando nuovamente la questione dell’esistenza di una competenza esclusiva a concluderlo in capo all’UE.

A riguardo, poco convince l’argomento di alcuni per cui il Considerando 25 del Regolamento n. 1257/2012, nel riferirsi espressamente all’accordo TUB e all’importanza della sua ratifica, varrebbe ad integrare autorizzazione dell’Unione all’esercizio della competenza esclusiva ex art. 2, par. 1, TFUE (cosìA Ohly, R. Streinz, già cit.).

Difatti, si tratterebbe di un anomalo caso di autorizzazione solamente implicita, quando di norma questa avviene espressamente, in base ad apposito regolamento contenente la definizione puntuale delle procedure e delle condizioni cui l’esercizio della competenza autorizzata è subordinato (per alcuni esempi, si richiamano i seguenti regolamenti: Reg.to (UE) n. 1219/2012; Reg.to (CE) n. 664/2009; Reg.to (CE) n. 662/2009).

L’autorizzazione, inoltre, nel caso del Pacchetto brevetti risulterebbe basata su un atto comunitario in tutto particolare, in quanto frutto della cooperazione rafforzata instaurata da alcuni soltanto degli Stati membri, che, secondo la decisione autorizzativa del Consiglio, avrebbe dovuto avere ad oggetto esclusivamente l’esercizio della base giuridica all’art. 118 TFUE, anche eventualmente fissando norme specifiche in materia giurisdizionale (cfr. Sentenza della Corte del 16 aprile 2013, Regno di Spagna e Repubblica italiana contro Consiglio dell’Unione europea, cause riunite C‑274/11 e C‑295/11, punto 92), ma non certo l’autorizzazione degli Stati Membri ad esercitare una competenza esterna esclusiva dell’Unione.

Da ultimo, si evidenzia che, nella prospettiva della Brexit, ulteriori ritocchi dovranno apportarsi anche alle previsioni dell’accordo TUB in punto di responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto UE commesse dal TUB.

In particolare, si ritiene che dovrà quantomeno estendersi espressamente al Regno Unito, tramite integrazione dell’art. 23 TUB, sia l’obbligo di rispondere dal punto di vista economico dei danni derivanti dalla violazione del diritto dell’Unione, sia lo specifico obbligo di attenersi al parere motivato della Commissione ex art. 258 TFUE, così come all’eventuale sentenza di infrazione ex art. 260 TFUE (cfr. in questo senso anche A. Ohly, R. Streinz, cit. supra).

 Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, si ritiene di concludere che, una volta che la Brexit sarà divenuta realtà, il sistema previsto dal Pacchetto brevetti dovrà verosimilmente andare incontro a profonde modifiche per risultare pienamente conforme al diritto dell’Unione europea.

Ove tali modifiche non fossero introdotte, non si può escludere che prima o poi vengano sollevate dinanzi alla Corte di giustizia le richiamate questioni di compatibilità dell’accordo TUB con il sistema comunitario, concernenti la competenza degli Stati membri a concluderlo, così come la qualificazione del nuovo giudice dei brevetti in termini di giurisdizione loro comune. Ciò, prima dell’entrata in funzione del TUB, potrà eventualmente avvenire in virtù del rinvio pregiudiziale operato da una giurisdizione nazionale adita con un ricorso vertente sulla legittimità della legge di trasposizione del TUB stesso.

 


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