Il Regno Unito apre una selezione pubblica per la designazione del giudice del Tribunale dell’Unione europea: una buona prassi anche per l’Italia?

La Corte di giustizia dell’Unione europea costituisce, nelle sue varie articolazioni, un “pilastro” dell’ordinamento UE. La selezione dei suoi membri è dunque un’attività estremamente delicata che tutti gli Stati membri dovrebbero svolgere con la massima scrupolosità, anche in vista della possibile riforma del Tribunale.

Così sembra proprio aver fatto il Governo britannico che ha recentemente avviato una selezione pubblica per la designazione del proprio giudice al Tribunale dell’Unione europea, in sostituzione del giudice Nicholas Forwood, che andrà in pensione nell’ottobre 2015 ed il cui mandato sarebbe scaduto nell’agosto 2019. La “vacancy” è corredata di una serie di documenti che specificano i requisiti che i candidati devono avere in relazione alle funzioni che i giudici sono chiamati a svolgere. È inoltre richiesto di avere due referenze da parte di giudici o esperti, dei quali uno in funzione di responsabile della candidatura. La procedura è gestita dalla Judicial Appointments Commission, secondo i criteri e la tempistica come esplicitati nell’information pack.

Ancora una volta il Regno Unito ci stupisce per la sua capacità di rendere effettivo il principio della trasparenza, in un modo semplice e pragmatico. La selezione pubblica per come è stata congegnata è tale da consentire a chiunque abbia i requisiti richiesti di presentare la propria candidatura e di essere conseguentemente valutato con l’obiettivo di individuare colui o colei che siano ritenuti maggiormente in grado di ricoprire la carica di giudice del Tribunale dell’UE.

D’altra parte sono ormai numerosi gli Stati che si sono dotati di vere e proprie procedure per le selezioni dei giudici europei, pur con una discreta varietà delle soluzioni adottate (T. Dumbrovský, B. Petkova, M. Van Der Sluis, Judicial Appointments: the Article 255 TFEU Advisory Panel and Selection Procedures in the Member States, in Common Market Law Review, 2014, pp. 455-482).

Come noto, infatti, la nomina dei giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea e del Tribunale è di natura squisitamente governativa, nei limiti indicati dagli articoli 253 e 254 del TFUE che, però, contengono criteri molto generici che potrebbero essere soddisfatti da molte persone. Proprio per questo e per ovviare agli effetti perversi che una scelta meramente governativa può produrre, con il Trattato di Lisbona è stato introdotto un apposito articolo, il 255 del TFUE, che istituisce un comitato di esperti con il compito di vagliare le candidature dei governi verificando la sussistenza di quei requisiti ritenuti indispensabili per esercitare la carica di giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il Comitato è composto da sette membri designati dal Consiglio con l’incarico di fornire un parere sull’adeguatezza dei candidati all’esercizio delle funzioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia e del Tribunale, prima che la nomina degli Stati sia formalizzata. Si noti che i membri del Comitato devono essere “sette personalità scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è proposto dal Parlamento europeo”. È evidente che la natura tecnica del Comitato sia garanzia dell’effettività del sistema di selezione e buon senso vorrebbe che fossero evitate designazioni di persone che, pur se giuristi, abbiano svolto incarichi di natura squisitamente politica ed in maniera non occasionale. Così desta una certa sorpresa che lo scorso gennaio 2014 il Consiglio abbia nominato tra i membri del Comitato l’on. Luigi Berlinguer, un politico di indubbia fama.

Dell’attività del Comitato si ha contezza grazie soprattutto ai rapporti sull’attività da esso svolta. In essi è espressamente previsto che la presenza negli Stati membri di una procedura formalizzata, aperta e trasparente per la selezione dei candidati è un fattore del quale il comitato tiene conto nella valutazione complessiva del candidato.

In Italia una timida innovazione in questo senso si è avuta con l’introduzione dell’art. 17 della L. 234/2012, riguardante la nomina dei membri italiani di istituzioni ed organi dell’Unione Europea, prerogativa tradizionalmente di competenza del Governo che per prassi agisce quasi sempre secondo procedure riservate. Secondo la novella legislativa questa prassi deve mutare poiché il Governo deve ora redigere un’informativa al Parlamento italiano e dare conto della «procedura seguita per addivenire alla proposta o alla designazione, delle motivazioni della scelta, nonché del curriculum vitae delle persone proposte o designate, con l’indicazione degli incarichi dalle stesse svolte o in corso di svolgimento». Il contenuto dell’informativa è opportunamente calibrato su quanto richiesto dal Comitato ex art. 255 del TFUE, che successivamente verificherà l’adeguatezza della designazione governativa, potendola anche “bocciare” come risulta dai rapporti sull’attività del Comitato; da questi si evince, infatti, che su trentadue pareri relativi a candidature per un primo mandato, sette sono stati negativi.

L’art. 17 della L. 234/2012 non incide sul potere di designazione di quello che sarà il rappresentante italiano presso le istituzioni europee, che rimane di esclusiva prerogativa governativa, ma impone un obbligo al Governo di informare le Camere della scelta effettuata. Così facendo per la prima volta si introduce un elemento di trasparenza in una prassi caratterizzata dalla totale informalità e opacità di tutta la procedura di selezione, dall’avvio alla sua conclusione. Starà poi al Governo portare a compimento questo processo di trasparenza, instaurando una vera e propria procedura che permetta a chiunque ritenga di avere i requisiti di candidarsi e di non lasciare che questo continui ad avvenire attraverso contatti informali con il livello politico, amministrativo e diplomatico.

In attesa che la procedura delineata dall’art. 17 L. 234/2012 sia effettivamente introdotta e produca i risultati sperati, non resta che l’auspicio che procedure analoghe siano generalizzate alla gran parte delle nomine e designazioni di competenza del Governo e del Parlamento, anche cioè a quelle non relative ad organi dell’Unione ma a qualsiasi altro ente od organismo sia di rilevanza internazionale o nazionale.


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