Il COVID-19 ferma i trasferimenti Dublino da e per l’Italia

Il Ministero dell’interno italiano ha deciso di sospendere sino a fine marzo 2020 i trasferimenti dei richiedenti asilo nel quadro del sistema Dublino da e per l’Italia al fine di consentire alle autorità di predisporre misure sanitarie atte a fronteggiare l’emergenza sanitaria riconducibile al Covid-19. Lo annuncia con un comunicato del 26 febbraio 2020 la Segreteria di Stato per la migrazione svizzera (SEM), nonché secondo quanto riportato da alcune testate giornalistiche italiane, l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati tedesco (BAMF). Il Ministero dell’Interno non ha dato direttamente notizia del provvedimento, ma la decisione risulta essere stata “veicolata” alle Unità Dublino con una lettera e una successiva circolare. Nessun atto normativo è stato adottato.

La notizia proviene, non a caso, da Germania e Svizzera. Da due Paesi particolarmente interessati da fenomeno dei c.d. dublinati di ritorno ovvero i richiedenti asilo che, attraverso un riscontro dei dati Eurodac (la banca dati europea delle impronte digitali), risultano essere entrati in Europa dall’Italia e dunque, pur trovandosi in un altro Paese Dublino, vengono trasferiti in tale Stato di primo ingresso, competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale. La Germania è lo Stato che trasferisce in Italia il più alto numero di richiedenti: nel 2016 ha presentato 11.969 domande di ripresa a carico, di cui 9.184 sono state accolte; nel 2017, 36.592 di cui 10.131 accolte; nel 2018, 16.707 di cui 12.297 accolte. La Svizzera applica in modo molto rigoroso il regolamento Dublino, rinviando ad altri Paesi una percentuale assai elevata di richiedenti asilo, in particolare in Italia dove, nel 2016, ha presentato 8.023 domande di ripresa a carico (seconda solo alla Germania) di cui 5.681 sono state accolte; nel 2017 (terzo paese dopo Germania e Francia) ha presentato 4.274 domande di cui accolte 3.213; nel 2018 (terzo paese dopo Germania e Francia) 2516 domande di cui 1864 accolte (cfr. Ufficio centrale di statistica del Ministero dell’Interno).

La sospensione dei trasferimenti per motivi di sanità pubblica non trova espressa codificazione nel regolamento (UE) n. 604/2013 (c.d. Dublino III). L’art. 3 par. 2, invero, prevede la possibilità di non trasferire un richiedente verso uno Stato se “si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza che implichino un rischio di trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. La norma, tuttavia, riconosce l’esercizio di questa valutazione in capo allo Stato che deve trasferire il richiedente asilo e non in capo al Paese che lo deve prendere a carico, affermando un principio ormai consolidato espresso dalla Corte di Giustizia (cfr. da ultimo, ordinanza del 13 novembre 2019, Bundesrepublik Deutschland c. Adel Hamed e Amar Oma, in causa C-540/17 e C-541/17 ECLI:EU:C:2019:964). L’art. 33, d’altro canto, definisce un meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi laddove vi sia “un rischio comprovato di speciale pressione sul sistema di asilo di uno Stato membro e/o da problemi nel funzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro”, riferendosi dunque a difficoltà endemiche di funzionamento del sistema d’asilo in un Paese Dublino (ad. esempio la Grecia; cfr. la sentenza CEDU del 21 gennaio 2011, M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09 cui ha fatto seguito CG 21 dicembre 2011, N.S. e M.E., C‑411/10 e C‑493/10) ovvero flussi migratori di particolare intensità.

In assenza di una specifica prescrizione nel regolamento Dublino III, il blocco dei trasferimenti Dublino voluto dal Ministero dell’Interno italiano può comunque essere ancorato ad altre fonti normative identificabili, tenendo presente che il provvedimento è inteso a tutelare la salute dei richiedenti asilo e non già limitarne la circolazione, considerando gli stessi un pericolo per la sanità pubblica italiana. In quest’ottica occorre innanzitutto rammentare che l’applicazione delle norme comunitarie in materia d’asilo deve avvenire nel rispetto della CEDU di cui gli Stati Dublino sono parti contraenti. In relazione al tema qui esaminato, rileva, in particolare, l’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani o degradanti) dal quale la Corte EDU ha dedotto l’obbligo per gli Stati di accoglienza di fornire un alloggio e condizioni materiali dignitose ai richiedenti asilo, comprensive di adeguate condizioni igienico-sanitarie. Lo stesso precetto, peraltro, è presente anche nella direttiva 2013/33/UE c.d. direttiva accoglienza, laddove chiede di garantire “la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti” (art. 17 par. 2). La Carta dei diritti fondamentali dell’UE, infine, oltre a disporre che “[…] Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana” (art. 35 che riprende il contenuto dell’ 9 TFUE), riafferma all’art. 4 il divieto di cui all’art. 3 CEDU riportando nell’alveo dell’acquis communautaire l’interpretazione offerta nel quadro della Convenzione.

La sospensione dei trasferimenti, dunque, può essere intesa quale misura adottata in via precauzionale in quanto l’Italia, stante l’epidemia in atto, non è in grado di garantire condizioni di accoglienza dignitose e idonee a tutelare la salute dei migranti, come imposto dalle norme sopra menzionate.

Nonostante l’individuazione di tale ratio, il provvedimento solleva alcuni aspetti problematici. Innanzitutto, la decisione delle autorità italiane “ribalta” sul piano soggettivo la valutazione. sull’opportunità di effettuare i trasferimenti propria del sistema Dublino. Invero, applicando la clausola di sovranità (art. 17 regolamento Dublino III), spetta al Paese che deve trasferire i richiedenti avocare a sé l’esame della domanda d’asilo qualora ritenga non idonee le condizioni di accoglienza offerte nello Stato di destinazione. Si tratta, peraltro, di un esame che viene fatto caso per caso, con particolare attenzione ai casi c.d. vulnerabili e non in via generale, salvo sia stata ravvisata una crisi endemica di un sistema d’asilo nazionale.

In secondo luogo, il provvedimento indica un blocco temporale (per ora sino a fine marzo 2020) senza tuttavia prevedere una corrispondente sospensione del termine per operare i trasferimenti (sei mesi, art. 29 regolamento Dublino III), con il rischio che in taluni casi tale termine venga superato, vanificando l’applicazione delle norme in materia. La sospensione, poi, tocca indistintamente tutti i trasferimenti da e per l’Italia, anche i ricongiungimenti familiari per i quali sarebbe forse stato opportuno effettuare una valutazione specifica.

D’altro canto, l’eventuale presunta lesione di un diritto in capo al richiedente che volesse contestare la sospensione, sarebbe fortemente pregiudicata dalla mancanza di un atto normativo di riferimento essendo, come si è detto, prevista in una lettera e in una circolare esplicativa, e mancando una decisione specifica per ogni singolo caso.


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