I riflessi della Direttiva PIF sulla disciplina delle violazioni doganali nell’ordinamento italiano

  1. 1. E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 15 luglio 2020, il d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 6 luglio 2020 in attuazione della direttiva PIF (2017/1371/UE), relativa alla lotta contro le frodi che ledonogli interessi finanziari dell’Unione europea (sulla genesi della direttiva PIF e per le prime valutazioni in ordine alla conformità o meno dell’ordinamento italiano ai principi in essa stabiliti v. per tutti M. Aranci, La Direttiva (UE) 2017/1371 del 5 luglio 2017: la protezione degli interessi finanziari UE mediante il diritto penale, 8.10.2017, in Eurojus.it, e F. La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Alcune riflessioni in tema di adattamento dell’ordinamento italiano, 8.6.2018,in Eurojus.it.

Il decreto legislativo n. 75/2020, in vigore dal 30 luglio 2020, introduce alcune significative modifiche al codice penale (innalzamento delle pene per i reati di cui agli artt. 316, 316-ter, 319-quater qualora il fatto offenda «gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto [siano] superiori a euro 100.000); al d.lgs. n. 74/2000, recante la «nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» (introduzione della punibilità del tentativo quando i reati di cui agli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 74/2000 siano compiuti nel territorio di uno stato membro e al fine di evadere l’imposta per un valore complessivo superiore a 10 milioni di euro); al d.lgs.231/01 relativo alla disciplina della responsabilità amministrativa dell’ente (implementazione dell’elenco dei reati presupposti previsti dagli artt. 24 e 25 del citato decreto e aggiunta degli artt. 25 quinquiesdecies e sexdiesdecies); alla legge n. 898/1986 in materia di frodi nel settore degli aiuti comunitari al settore agricolo (innalzamento della pena della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il danno o il profitto siano superiori a 100.000 euro); al testo unico delle leggi doganali d.P.R. 23.1.1973, n. 43, anche in relazione alla disciplina della depenalizzazione introdotta con d.lgs. n. 8/2016.

2.Il punto che in questa sede interessa maggiormente segnalare riguarda proprio l’introduzione di alcune modifiche alla disciplina delle violazioni doganali di cui al d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (TULD): l’occasione è utile per tracciare il quadro di riferimento delle violazioni doganali previste dall’ordinamento italiano, in relazione all’ordinamento doganale dell’Unione europea.

È noto come l’art. 3, lett. a) ed e), TFUE, attribuisca alla competenza esclusiva dell’Unione europea il settore dell’unione doganale e della politica commerciale comune. La normativa doganale dell’Unione europea è il risultato di una lunga evoluzione, il cui attuale punto di arrivo è costituito dal codice doganale dell’Unione (regolamento (UE) n. 952 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, di seguito: CDU 2013, e dai suoi regolamenti complementari (regolamento delegato (UE) n. 2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, e di esecuzione (UE) n. 2447, del 24 novembre 2015, tutti divenuti efficaci dal primo maggio 2016. Non bisogna cadere nell’equivoco, tuttavia, di ritenere che la materia doganale sia stata del tutto sottratta agli Stati membri. Vi sono ampi settori, che riguardano ad esempio gli strumenti di attuazione, che restano affidati agli ordinamenti nazionali; così anche per tutto quanto attiene ai profili sanzionatori. È lo stesso CDU 2013 che offre una nozione ampia ed articolata di «normativa doganale» o «customs rules» nella versione inglese della norma. In relazione alle violazioni doganali è da tempo allo studio una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, con l’obiettivo di armonizzare le sanzioni doganali irrogabili negli Stati membri per la violazione delle customs rules, secondo criteri di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva.

3. La nozione di customs rules è contenuta nell’art. 5, punto 2, CDU 2013: si intende per tale «il corpus legislativo costituito da quanto segue: a) il codice o le disposizioni integrative o di attuazione del medesimo adottate a livello dell’Unione o a livello nazionale;b) la tariffa doganale comune; c) la normativa relativa alla fissazione del regime unionale delle franchigie doganali; d) gli accordi internazionali contenenti disposizioni doganali, nella misura in cui siano applicabili nell’Unione».

Tra gli accordi internazionali richiamati alla lettera d) di questa definizione si possono ricordare, ad esempio, la Convenzione di Istanbul sull’ammissione temporanea del 26.6.1990, e la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione, adottata a Washington il 3.3.1973. Il problema dell’individuazione delle norme integrative del codice doganale non è di facile soluzione. Le maggiori disposizioni integrative o di attuazione sono tipizzate e facilmente individuabili nel reg. delegato (UE) n. 2446/2015, nel reg. delegato transitorio (UE) n. 341/2016 (RDT 2015), e nel reg. di esecuzione n. 2447/2015 (RE 2015); si tratta, tuttavia, soltanto della punta di un iceberg.

4.Tra le altre disposizioni integrative di carattere unionale si possono ricordare i regolamenti che istituiscono dazi antidumping sulla base del regolamento (UE) n. 1036/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8.6.2016; mentre tra le disposizioni integrative di carattere nazionale si possono ricordare i provvedimenti riconducibili agli ordinamenti dei singoli Stati membri che disciplinano luoghi e modalità di attraversamento della linea doganale, in relazione ai segmenti nazionali delle linee che delimitano il territorio doganale del­l’Unione europea (per l’ordinamento doganale italiano cfr. art. 16 TULD, in relazione al precetto di cui all’art. 135 CDU 2013 che impone alla «persona che introduce le merci nel territorio doganale dell’Unione» di trasportarle «senza indugio […] seguendo la via indicata dalle autorità doganali e conformemente alle loro eventuali istruzioni»).

Non è questa la sede per approfondire il tema della composizione delle customs rules; qui preme sottolineare come gli ordinamenti nazionali svolgano ancora un ruolo di primo piano nell’attuazione della normativa doganale dell’Unione europea. Questo ruolo diventa decisivo anche sotto il profilo sanzionatorio, laddove il codice doganale dell’Unione, al primo comma dell’art. 42, indica il percorso per una possibile armonizzazione delle sanzioni doganali stabilendo che «[c]iascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive» secondo il costante insegnamento impartito dalla Corte di giustizia fin dalla sentenza del 21 settembre 1989, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica ellenica, causa 68/88, ECLI:EU:C:1989:339, punto 24.

L’impianto delle sanzioni previste per le violazioni doganali contenuto nel testo unico n. 43/1973, TULD, risale all’ordinamento doganale dell’unità d’Italia. Gli articoli da 282 a 291 bis TULD distribuiscono le ipotesi di contrabbando doganale in ben venticinque fattispecie diverse. Le disposizioni contenute negli artt. da 282 a 341 TULD riprodussero pressoché fedelmente la disciplina contenuta negli artt. da 97 a 148 della legge doganale n. 1424 del 25 settembre 1940, come è attestato anche nella relazione illustrativa allo stesso testo unico. A sua volta, la legge doganale n. 1424/1940 aveva coordinato ed in parte innovato le disposizioni penali del testo unico delle leggi doganali contenuto nel r.d. 26 gennaio 1896, n. 20, modificato con r.d. 2 settembre 1923, n. 1960; inutile dire che il testo unico n. 20/1896 aveva attinto a piene mani dai decreti reali che si erano susseguiti dal 1861 in questa materia. Per effetto delle leggi di depenalizzazione succedutesi nel tempo, molta parte del titolo VII del d.P.R. n. 43/1973 contiene ormai la disciplina delle sanzioni amministrative applicabili agli illeciti doganali che non costituiscono contrabbando aggravato. Tuttavia, è innegabile che a distanza di quasi 160 anni l’impianto punitivo delle violazioni doganali sia rimasto immutato e che all’evoluzione della realtà sociale ed economica dovrebbe corrispondere una revisione funditus dell’intero sistema delle violazioni doganali; revisione che non può più limitarsi ad una mera depenalizzazione, ma deve muoversi nel solco dei principi costituzionali e di quelli del diritto del­l’Unio­ne europea così come è interpretato dalla Corte di giustizia UE.

L’entrata in vigore della direttiva PIF (2017/1371/UE) può costituire un buon viatico per un possibile e indifferibile percorso di riforma del quadro sanzionatorio nazionale relativo alle violazioni doganali, il cui primo passo può essere individuato nell’adozione del decreto di attuazione della suddetta direttiva. In tal senso, il d.lgs. 76/2020: (i) ricriminalizza condotte che erano state recentemente depenalizzate dal d.lgs. 15.1.2016, n. 8; (ii) introducenell’art. 295 TULD un’aggravante speciale per i delitti di contrabbando – inasprendo così il trattamento sanzionatorio di questi ultimi – ove i danni o i vantaggi siano considerevoli, ovverosia quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti siano superiori a centomila euro; (iii) inserisce i delitti di contrabbando disciplinati dal TULD tra i c.d. reati presupposto ai fini della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche (d.lgs. n. 231/2001).

Vediamo ora il dettaglio delle modifiche.

Ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 15.1.2016, n. 8, «non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’am­men­da». L’effetto di questa disposizione era stato quello di depenalizzare tutte le ipotesi di contrabbando semplice previste nel testo unico n. 43/1973, per cui era prevista la sola pena della multa «non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine dovuti» (cfr. art. 292 TULD). In attuazione di quanto previsto dall’art. 7, comma 4, della direttiva 2017/1371/UE, l’art. 4 del predetto decreto legislativo, introducendo una eccezione al d.lgs. 8/2016, riduce la portata della depenalizzazione, limitandola alle sole condotte di contrabbando semplice nel caso in cui i diritti di confine asseritamente dovuti siano inferiori o uguali alla soglia di 10.000 EUR.

5.L’art. 3 del d.lgs. 75/2020 inserisce inoltre il comma «d-bis» al secondo comma dell’art. 295 TULD, dove sono descritte le aggravanti speciali per il delitto di contrabbando. La novella introduce una nuova aggravante che ricorre «quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti [sia] superiore a centomila euro», in conformità a quanto previsto dall’art. 7, comma 3, della direttiva. È una delle ipotesi in cui, in aggiunta alla pena pecuniaria, è prevista la pena della reclusione da tre a cinque anni. Il terzo comma dell’art. 295 TULD, introdotto dall’art. 7, comma 1, l. 29 settembre 2000, n. 300, prevedeva un’aggravante speciale per l’ipotesi in cui l’evasione dei diritti di confine fosse superiore alla somma di lire 96 milioni e 800 mila (pari ad euro 49.993,03). Oltre questa soglia, alla multa è aggiunta la reclusione fino a tre anni. L’art. 3 del d.lgs. 75/2000 ha sostituito il testo di questa disposizione per armonizzarne il contenuto al nuovo alinea «d-bis» introdotto nel comma precedente dalla novella, prevedendo che questa aggravante ricorra «quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti è maggiore di cinquantamila euro e non superiore a centomila euro».

Infine, ma non meno importante, l’art. 5 del decreto che recepisce la direttiva PIF introduce il nuovo art. «25-sexdiesdecies» nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. In questo caso la novella prevede l’inserimento dei delitti di contrabbando di cui al d.P.R. n. 43/1973, TULD, nell’elenco dei c.d. reati presupposto. La sanzione amministrativa pecuniaria è differenziata nella misura massima (fino a 200 quote oppure fino a 400 quote) a seconda che l’ammontare dei diritti di confine asseritamente evasi sia inferiore o superiore alla soglia di centomila euro. Il comma 3 della nuova disposizione sancisce, inoltre, l’applicazione anche delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e), d.lgs. n. 231/2001.


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